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Il patrocinio a spese dello
Stato a favore degli avvocati è esteso anche all’assistenza
in mediazione |
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TRIBUNALE DI FIRENZE
Sezione II Civile
Dott.ssa Luciana Breggia |
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Il Presidente,
vista l’istanza dell’avv. G., quale difensore di S. C., per
la liquidazione del compenso professionale a carico dello
Stato; |
Osserva |
1. L’avv. G. ha presentato istanza volta ad ottenere la
liquidazione del compenso per l’attività professionale
svolta a favore della parte sig. S. C., ammessa al gratuito
patrocinio con delibera del Consiglio dell’ordine degli
Avvocati di Firenze del 10.9.14.
Nella domanda per l’ammissione al patrocinio a spese dello
Stato, l’istante aveva premesso di voler iniziare una causa
di usucapione avanti al Tribunale di Firenze, specificando
che la richiesta riguardava anche la procedura di mediazione
obbligatoria, con riferimento alle competenze legali del
procedimento di mediazione.
Nella richiesta di liquidazione, l’istante specifica che la
mediazione ha avuto esito positivo e si è conclusa con
accordo; chiede pertanto che siano liquidate le spese con
riferimento alle attività svolte con riferimento alla fase
di mediazione obbligatoria pre-processuale, prodromica alla
domanda di usucapione.
2. La questione che si pone è se il compenso professionale
dell’avvocato che ha assistito una parte nella procedura di
mediazione, prevista quale condizione di procedibilità della
domanda giudiziale[1], possa essere posto a carico dello
Stato.
Va premesso che la questione non è espressamente affrontata
nella disciplina in materia di mediazione. L’art. 17 dl Dlg.
28/2010, al comma 5-bis, infatti, prevede che quando la
mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai
sensi dell’art. 5, comma 1 bis ovvero è disposta dal giudice
ai sensi dell’art. 5 comma 2, all’organismo non sia dovuta
nessuna indennità dalla parte che si trovi nelle condizioni
per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato ai sensi
dell’art. 76 del t.u. sulle spese di giustizia (D.p.r. n.
115/2002). A tal fine la parte è tenuta a depositare presso
l’organismo una dichiarazione sostitutiva dell’atto di
notorietà, nonché a produrre la documentazione necessaria a
comprovare la veridicità di quanto dichiarato.
L’unica previsione riguarda dunque l’indennità che sarebbe
dovuta all’Organismo; per quanto concerne il compenso
all’avvocato, che deve obbligatoriamente assistere le parti
nelle fasi di mediazione (art. 5 e 8 d.lgs. n. 28/2010), si
rileva invece una lacuna che deve essere colmata in via
interpretativa.
3. Il quadro normativo da esaminare non può che partire
dall’art. 24 Cost.: dopo aver previsto, al primo comma, il
diritto di agire a difesa dei propri diritti e interessi
legittimi, si afferma, al secondo comma, che “la difesa è
diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento
“. Il terzo comma prevede inoltre che “sono assicurati ai
non abbienti con appositi istituiti, i mezzi per agire e
difendersi avanti ad ogni giurisdizione.” Sul piano della
legge ordinaria, l’art. 74 del D.p.r. 115/2002 prevede
l’istituzione del patrocinio per il non abbiente, assicurato
per il processo penale, nonché per il processo civile,
amministrativo, contabile, tributario e per gli affari di
volontaria giurisdizione quando le sue ragioni non risultino
manifestamente infondate. L’articolo 75 del DPR. n.115/2002
(Ambito di applicabilità) prevede al primo comma: <<1.
L’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per
ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure,
derivate ed accidentali, comunque connesse>>.
Secondo l’orientamento tradizionale, poiché le norme fanno
riferimento al processo, si ritiene impossibile far
rientrare nel gratuito patrocinio l’attività stragiudiziale:
se anche vi fosse l’ammissione da parte del Consiglio
dell’ordine, non sarebbe comunque possibile la liquidazione
a spese dello Stato.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24723 del
23.11.2011, ha riaffermato che il patrocinio a spese dello
Stato riguarda esclusivamente la difesa in giudizio non
potendo coprire l’attività stragiudiziale[2]. Con la
pronuncia, tuttavia, la Corte, richiamando un proprio
precedente, fa salva una nozione estesa di attività
giudiziale perché afferma che devono considerarsi giudiziali
anche quelle attività stragiudiziali che, essendo
strettamente dipendenti dal mandato alla difesa, vanno
considerate strumentali o complementari alle prestazioni
giudiziali, cioè di quelle attività che siano svolte in
esecuzione di un mandato alle liti conferito per la
rappresentanza e la difesa in giudizio (sulla base di tale
presupposto, nella precedente decisione, era stato
riconosciuto dovuto il compenso per l’assistenza e
l’attività svolta dal difensore per la transazione della
controversia instaurata dal medesimo).
Anche di recente, la pronuncia della S.C. del 19 aprile
2013, n. 9529 riconferma l’orientamento ricordato:
l’attività professionale di natura stragiudiziale che
l’avvocato si trovi a svolgere nell’interesse del proprio
assistito, non è ammessa, di regola, al patrocinio a spese
dello Stato ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115, in quanto esplicantesi fuori del processo, per cui
il relativo compenso si pone a carico del cliente. Tuttavia,
se tale attività venga espletata in vista di una successiva
azione giudiziaria, essa è ricompresa nell’azione stessa ai
fini della liquidazione a carico dello Stato ed il
professionista non può chiederne il compenso al cliente
ammesso al patrocinio gratuito, incorrendo altrimenti in
responsabilità disciplinare.
Dal principio affermato dalla S.C., si desume dunque che
l’avvocato, il quale non può chiedere il compenso al cliente
pena la sanzione disciplinare, deve poterlo chiedere allo
Stato.
4. La cauta apertura della S.C. può agevolmente essere
valorizzata e coordinata con la disciplina della mediazione
obbligatoria introdotta dal d.lgs. n. 28/2010 perché, nei
casi in cui il procedimento giudiziario (rispetto al quale
la mediazione costituisce condizione di procedibilità) inizi
o prosegua, l’attività dell’avvocato ben integra la nozione
lata di attività giudiziale accolta dalla Corte, ossia di
attività strumentale alla prestazione giudiziale e svolta in
esecuzione di un mandato alle liti conferito per la
rappresentazione e difesa in giudizio.
5. Più problematico sembra il caso in cui la mediazione
abbia avuto esito positivo: in tal caso, secondo alcuni, non
avrebbe svolgimento nessuna ‘fase processuale’ nell’ambito
della quale liquidare il compenso e non sarebbe possibile
considerare il compenso per il difensore che ha assistito la
parte in mediazione a carico dello Stato.
Un tale risultato pare paradossale dal momento che la
liquidazione a spese dello Stato non troverebbe applicazione
proprio quando il difensore ha svolto al meglio le sue
prestazioni professionali, favorendo il raggiungimento
dell’accordo in mediazione. E ciò anche se la mediazione è
obbligatoria, come obbligatoria è l’assistenza dell’avvocato
(art. 5, comma 1 bis e art. 8 d.lgs. n.28/2010). Ne
deriverebbe un risultato irragionevole e di fatto una sorta
di disincentivo rispetto ad un istituto che invece il
legislatore sta cercando di promuovere in vario modo (in
tale ottica si colloca anche la stessa previsione
dell’obbligatorietà rispetto all’inizio del processo per un
periodo limitato: art. 5, comma 1 bis, d.lgs 28/2010).
6. Il tema è certo delicato, anche perché liquidare a carico
dello Stato un compenso non previsto da alcuna norma
esporrebbe il giudice al rischio della responsabilità
contabile. Si è rilevato anche che nel verbale di
conciliazione le parti e rispettivi difensori possono
disciplinare l’aspetto del compenso per i legali e inoltre
questi potranno avvalersi della regola della solidarietà,
ribadita dall’art. 13, comma 8 della nuova legge forense (n.
247/2012).
Il problema tuttavia è duplice: sicuramente vi è l’esigenza
di riconoscimento e remunerazione dell’attività difensiva:
coloro che accennano alla solidarietà intendono rassicurare
sulla esigibilità del credito professionale, se non dalla
parte non abbiente, almeno dall’altra parte grazie al
vincolo della solidarietà. Tuttavia, in tal modo si finisce
pur sempre di riversare sui privati (il difensore o la parte
abbiente) un onere che dovrebbe essere sostenuto dallo
Stato. Se infatti quest’ultimo mostra, con una serie di
interventi, un chiaro favore verso forme non giurisdizionali
di tutela nell’intento di offrire più vie di soluzione dei
conflitti (dalla disciplina della mediazione a quella su
arbitrato e negoziazione assistita di cui al recente d.l. n.
132/2014), anche la disciplina dell’aiuto ai non abbienti
non dovrebbe più essere limitata all’aiuto nella sede
giudiziaria.
7. Occorre allora valutare il movimento europeo di vasto
respiro in cui si inscrivono gli interventi ricordati (al di
là della loro concreta disciplina) e approfondire l’esegesi
delle norme che vengono in campo per verificare la
possibilità, già in base alla legislazione esistente, che la
parte non abbiente possa usufruire dell’aiuto statale anche
quando alla mediazione, dato l’esito positivo, non faccia
seguito il processo.
Occorre dunque tentare di ricostruire il sistema alla luce
della normativa in tema di mediazione, della Costituzione e
delle fonti europee. Un’interpretazione sistematica e
teleologica delle norme richiamate induce il Giudice a
ritenere che l’art. 75 sopra citato comprenda sempre la fase
della mediazione obbligatoria pre-processuale. Tale
conclusione (che vale anche per la mediazione demandata dal
giudice ex art. 5, comma 2 d.lgs. n. 28/2010) è sostenuta
dalle seguenti considerazioni.
8. Innanzitutto la conclusione accolta trova elementi di
sostegno nell’ambito del diritto eurounitario (a partire
dall’art. 47 della c.d. Carta di Nizza, secondo cui <<a
coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il
patrocinio a spese dello stato qualora ciò sia necessario
per assicurare un accesso effettivo alla giustizia>>) e
della disciplina con cui l’Italia ha recepito la direttiva
europea sulLegal aid, volta a migliorare l’accesso alla
giustizia nelle controversie frontaliere civili (Direttiva
2002/8/CE del Consiglio del 27/1/2003). L’art. 3 di tale
direttiva recita: Art. 3. Diritto al patrocinio a spese
dello Stato. 1. La persona fisica, che sia parte in una
controversia ai sensi della presente direttiva, ha diritto a
un patrocinio adeguato a spese dello Stato che le garantisca
un accesso effettivo alla giustizia in conformità delle
condizioni stabilite dalla presente direttiva. 2. Il
patrocinio a spese dello Stato è considerato adeguato se
garantisce: a) la consulenza legale nella fase
precontenziosa al fine di giungere a una soluzione prima di
intentare un’azione legale; b) l’assistenza legale e la
rappresentanza in sede di giudizio, nonché l’esonero totale
o parziale dalle spese processuali, comprese le spese
previste all’articolo 7 e gli onorari delle persone
incaricate dal giudice di compiere atti durante il
procedimento. La direttiva estende il legal aid alle
procedure stragiudiziali (art. 10) [3].
Il d.lgs. 27.5.2005, n. 116, che ha recepito la direttiva,
prevede all’art. 10 che << Il patrocinio è, altresì, esteso
ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni previste dal
presente decreto, qualora l’uso di tali mezzi sia previsto
come obbligatorio dalla legge ovvero qualora il giudice vi
abbia rinviato le parti in causa>>.
Si tratta di disposizioni che concernono le controversie
transfrontaliere, ma che offrono elementi ulteriori per
avvalorare l’interpretazione qui accolta che estende l’aiuto
legale alla fase pre-processuale, apparendo del tutto
irrazionale e non conforme all’art. 3 della costituzione che
il cittadino possa usufruire dell’aiuto statale per la lite
transfrontaliera e non per quella domestica. E’
significativo che il Consiglio Nazionale Forense, nella
circo<lare n. 25 del 6.12.2013, abbia espressamente
richiamato la direttiva sulLegal Aid che ammette al
beneficio anche le spese legali sostenute nel corso delle
procedure stragiudiziali per sostenere che l’assistenza dei
legali, obbligatoria per la mediazione preprocessuale e
quella demandata dal giudice, debba rientrare nel patrocinio
a spese dello stato.
9. Un ulteriore elemento, rispetto a quanto osservato, può
essere tratto dalla riflessione sulla c. d.giurisdizione
condizionata, che ricorre quando il legislatore impone alle
parti di compiere una data attività prima di rivolgersi ai
giudici, come appunto avviene con l’imposizione del
tentativo preventivo di mediazione ex art. 5, comma 1 bis
cit.. Il condizionamento della giurisdizione può ritenersi
ammissibile in quanto non comprometta l’esperimento
dell’azione giudiziaria che può essere ragionevolmente
limitato, quanto all’immediatezza, se vengano imposti oneri
finalizzati a salvaguardare <<interessi generali>>: la
sentenza della Corte Cost. n. 276/2000 in tema di tentativo
obbligatorio di conciliazione per le cause di lavoro[4], ha
affermato che il tentativo in questione soddisfaceva
l’interesse generale sotto due profili: da un lato, perché
evitava il sovraccarico dell’apparato giudiziario,
dall’altro, perché favoriva la composizione preventiva della
lite che assicura alle situazioni sostanziali un
soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguito
attraverso il processo. In sintonia con la nostra Corte
costituzionale, anche l’importante decisione della Corte
Giustizia eu 18.3.2010, Alassini c. Telecom (che indica le
condizioni per ritenere conforme al diritto comunitario il
tentativo obbligatorio di conciliazione, nella specie in
tema di telecomunicazioni), afferma, tra l’altro, che <<i
diritti fondamentali non si configurano come prerogative
assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione
che queste rispondano effettivamente ad obiettivi di
interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e
non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un
intervento sproporzionato ed inaccettabile, tale da ledere
la sostanza stessa dei diritti così garantiti>> (cfr. par.
63 della sentenza).
Sulla base di queste considerazioni, deve reputarsi che la
connessione tra fase mediativa e processo, talmente forte da
configurare una condizione di procedibilità, vada
riconosciuta già in astratto. Non appare rilevante dunque
che poi, in concreto, in base cioè al concreto risultato
della mediazione, il processo non abbia più luogo perché
divenuto inutile alla luce dell’accordo raggiunto. Questo è
proprio lo scopo della connessione voluta dal legislatore,
connessione che non è eliminata ma anzi esaltata proprio nel
momento in cui il raggiungimento dell’accordo in mediazione
rende inutile il successivo processo, assicurando quell’
interesse generale di cui parla Corte cost. n. 276/2000
citata. Il senso della connessione non sta nel fatto che la
mediazione sia un antecedente cronologico delle fasi
processuali, ma nella funzione della mediazione: questo
sistema offre alle parti di ricercare una soluzione più
adeguata al loro conflitto rispetto alla rigidità della
decisione giurisdizionale; inoltre, gli accordi risultanti
dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere
rispettati volontariamente e preservano più facilmente una
relazione amichevole e sostenibile tra le parti.[5]
Molteplici sono gli interessi che possono essere
soddisfatti, se le parti riescono a riprendere le fila del
proprio conflitto: in tutti i casi in cui questo avvenga e
si concluda un accordo, la mediazione – obbligatoria –
esaurisce la sua funzione rispetto al processo, che è quella
di renderlo superfluo. Si tratta del massimo della
connessione perché lo scopo della previsione della
condizione di procedibilità non può che essere quello di un
richiamo alle potenzialità dell’autonomia privata, rimesse
in gioco nella sede mediativa, per evitare il procedimento
giudiziario quando non sia davvero necessario.
In definitiva, la mediazione (obbligatoria) è sempre
connessa e funzionale alla fase processuale anche se poi
questa in concreto non abbia luogo.
Del resto, una parte della dottrina era giunta addirittura a
ravvisare la natura paragiurisdizionale della fase di
mediazione, rilevando come l’obbligatorietà della mediazione
comportasse il suo inserimento in un unico
macro-procedimento finalizzato alla tutela dei diritti
(disponibili). Ed è interessante richiamare un’affermazione
della Corte costituzionale, sia pure in un obiter dictum,
nell’ambito di una pronuncia relativa all’impugnazione di
una legge regionale veneta: la Corte ha avuto modo di
affermare che il procedimento di mediazione obbligatoria
previsto dal d.lgs. n. 28/2010, ”rientra nell’esercizio
della funzione giudiziaria e nella sfera del diritto civile,
giacché, con riferimento al caso di specie, condiziona
l’esercizio del diritto di azione finalizzato al
risarcimento dei danni da responsabilità civile e prevede
ricadute negative per chi irragionevolmente abbia voluto
instaurare un contenzioso davanti al giudice, nonostante
fosse stata formulata una proposta conciliativa rivelatasi
successivamente satisfattiva delle proprie ragioni”.[6] Pur
ritenendo improprio qualificare tout court la mediazione
come attività para-giurisdizionale o giudiziaria, è tuttavia
corretto porre in risalto – anche – la sua stretta relazione
con il processo, quando sia prevista come obbligatoria.
10. In definitiva, un’interpretazione sistematica
teleologica delle norme richiamate induce il Giudice a
ritenere che l’art. 75 cit., secondo cui l’ammissione al
patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del
processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed
accidentali, comunque connesse, comprenda la fase della
mediazione obbligatoria pre-processuale anche quando la
mediazione, per il suo esito positivo, non sia seguita dal
processo. Si tratta infatti di una procedura strettamente
connessa al processo, dal momento che condiziona la
possibilità avviarlo (o proseguirlo, per la mediazione
demandata dal giudice); d’altronde nel caso di successo
della mediazione, si realizza il risultato migliore non solo
per le parti, ma anche per lo stato che non deve sostenere
anche le spese del giudizio.
Tale conclusione inoltre è conforme alla direttiva europea
sul Legal Aid ed è costituzionalmente orientata (art. 3
Cost.), perché sarebbe irragionevole prevedere il sostegno
dello stato per i casi di mediazione non conclusa con
accordo e seguita da processo e negarla per i casi di
mediazione, condizione di procedibilità, non seguita dal
processo per l’esito positivo raggiunto. Così come sarebbe
illogico riconoscere il gratuito patrocinio per le procedure
derivative e accidentali e non per quelle non accidentali ma
strutturalmente collegate al processo.
Da ultimo, può essere utile ricordare il tentativo della
dottrina di rileggere la condizione di procedibilità
(preventiva o successiva) non solo nell’ambito della
giurisdizione condizionata, ma anche in una prospettiva di
maggiore equilibrio tra giurisdizione e mediazione (art. 1,
Dir. 2008/52). In tale prospettiva, la mediazione viene
considerata strumento per favorire lo sviluppo della
personalità del singolo nella comunità cui appartiene,
consentendogli di confrontarsi in un contesto relazionale
propiziatorio per una soluzione amichevole. Accanto al
diritto alla tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24
Cost., diritto inviolabile della persona (ex art. 2 Cost.),
andrebbe riconosciuto il diritto alla mediazione, non solo
nell’ambito, tradizionalmente indicato, dell’accesso alla
giustizia, ma anche quale espressione diretta dell’esigenza
di sviluppo della persona nelle relazioni interpersonali e
comunitarie, nell’attuazione del complementare principio di
solidarietà. Una tale visione, che ha il pregio di porre in
luce l’importanza della mediazione come strumento di
pacificazione sociale condivisa e non imposta, fonda il
diritto alla mediazione sull’art. 2 cost.: anche tale
richiamo può corroborare l’interpretazione qui accolta.
11. La conclusione raggiunta appare dunque l’unica conforme
ai parametri costituzionali (artt. 2, 3 e 24 cost.) e
adeguata al mutamento in corso dei sistemi di soluzioni
delle liti: ancorare l’aiuto dello Stato solo al patrocinio
in giudizio è frutto di una visione superata nella quale
esclusivamente la giurisdizione statale era fonte di
giustizia. Da molti anni le fonti europee ribadiscono che
l’accesso alla giustizia non si riduce al ‘diritto a un
tribunale’’ ma include l’accesso a procedimenti non
giurisdizionali di risoluzione delle controversie che, in
una prospettiva di ‘’giustizia plurale’, si pongono in
rapporto di complementarietà rispetto alla giustizia
giurisdizionale[7].
Se oggi la tutela dei diritti non è affidata solo alle
procedure giudiziarie, perché il legislatore introduce
differenti metodi (da ultimo si veda il d.l. n. 132/2014 a
proposito di negoziazione assistita e arbitrato), diviene un
intervento indispensabile, sul piano della coerenza,
ampliare l’aiuto da parte dello Stato dall’aiuto giudiziario
all’aiuto giuridico, per chi ha bisogno di avere
informazioni o consulenza legale o assistenza, in margine e
al di fuori del processo (come nella maggior parte dei paesi
europei).
Il sistema del ‘gratuito patrocinio’ dovrà essere ripensato
da chi detiene il potere legislativo alla luce della
disciplina di origine comunitaria e dovranno essere
riconsiderati i casi di mediazione facoltativa o di
negoziazione assistita[8]; per i casi di mediazione
obbligatoria, quale quello in esame, esistono comunque spazi
di interpretazione da sfruttare: il giurista ha il
potere/dovere di conformare l’interpretazione delle norme
esistenti alla luce dell’evoluzione dell’ordinamento per
sopperire lacune o adeguare le norme alle nuove condizioni
storico-sociali.
In tale prospettiva, la garanzia costituzionale del diritto
di difesa inviolabile ‘in ogni stato e grado’ (art. 24
cost.), per essere effettiva, deve contemplare anche la fase
che, pur concernendo di per sé attività non giurisdizionale
per la soluzione dei conflitti, è così innestata nella
giurisdizione da condizionarne le vicende: ‘in ogni stato’’
è dunque espressione che ricomprende lo stato
pre-processuale o endo-processuale che in modo obbligatorio
deve essere attraversato dalle parti perché la giurisdizione
possa regolarmente svolgersi. Per assicurare ‘’ ai non
abbienti …. i mezzi per agire e difendersi avanti ad ogni
giurisdizione” , è indispensabile riconoscere a carico dello
stato anche il compenso del legale nella fase mediativa che
condiziona necessariamente l’avvio del processo o la sua
prosecuzione.
Tale interpretazione, che si ritiene costituzionalmente
orientata, si riconnette anche all’esigenza che la
mediazione sia effettiva e offra alle parti una reale chance
di soluzione del loro conflitto[9]: l’esclusione del
riconoscimento delle spese per il compenso di avvocato solo
per i casi di mediazione non conclusa da accordo si
presterebbe invece a concepire la fase mediativa come una
fase da attraversare necessariamente, ma solo formalmente,
per approdare al più presto al processo, nell’ambito del
quale anche le spese stragiudiziali potranno essere
riconosciute.
Sarebbe una conclusione che sminuirebbe la funzione della
mediazione, ma anche della giurisdizione, che, invece,
proprio per la sua natura sussidiaria, deve potersi
esplicare pienamente ed efficacemente quando è richiesto lo
ius dicere, anziché essere strumentalizzata per altri
obiettivi. L’interpretazione adottata è inoltre l’unica che
riconosce la delicata funzione di assistenza dell’avvocato
della parte in mediazione, funzione che comporta un
mutamento culturale epocale per l’avvocatura rispetto ai
ruoli tradizionali confinati al campo giudiziario e che deve
essere adeguatamente valorizzata.
A questo riguardo, va ricordato che proprio dal ceto forense
a livello europeo proviene l’importante raccomandazione sul
Legal Aid, adottata dal CCBE (Consiglio degli Ordini Forensi
d’Europa) nel novembre 2010, al fine di promuovere il
diritto all’accesso alla giustizia anche per le persone
prive di mezzi. Tra le azioni raccomandate si specifica
quella di <<garantire il legal aid per tutte le aree
legali-giurisdizionali, risoluzione alternativa delle
controversie, compresa l’assistenza di un avvocato in tutte
le fasi del procedimento>>[10].
12. Non è fuor di luogo rilevare che, se dalle novità
introdotte dal d.l. n. 69/2013 (tra cui l’assistenza
obbligatoria del difensore e la re-introduzione della
mediazione obbligatoria) non devono derivare nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica (c.d.
clausola di invarianza finanziaria: art. 85, comma 4, d. l.
n.69/2013), l’interpretazione qui proposta appare del tutto
rispondente a tale scopo: si tratta infatti di riconoscere
il compenso del legale che ha assistito la parte in
mediazione con esito positivo e dunque con risparmio per lo
Stato rispetto alla fase processuale.
13. Nel caso in esame la domanda è stata presentata al
Consiglio dell’ordine degli avvocati di Firenze ex art. 124
tu. n.115/2002 (art. 124, comma 2°: Il consiglio dell’ordine
competente è quello del luogo in cui ha sede il magistrato
davanti al quale pende il processo, ovvero, se il processo
non pende, quello del luogo in cui ha sede il magistrato
competente a conoscere del merito), mentre l’autorità
competente per la liquidazione è agevolmente individuabile
nel Tribunale – che sarebbe stato – competente per il
giudizio a cui l’istanza era stata preordinata (art. 83,
comma 2 DPR. n.115/2002). Il Consiglio con delibera del
10.9.2014 ha ammesso l’istante al gratuito patrocinio e non
risultano comunicate variazioni dei limiti di reddito.
L’avv. G. ha chiesto il compenso per l’assistenza dinanzi al
mediatore, nonché per l’attività propedeutica e cioè lo
studio della pratica con l’esame della documentazione
consegnata al cliente, sessioni con il tecnico dello stesso
e con il cliente e la predisposizione della domanda di
gratuito patrocinio (attività che possono essere
riconosciute: si veda al riguardo Corte Cass. 23.11.2011, n.
24729, secondo cui “il condizionare gli effetti della
delibera dalla data della sua emissione porterebbe a
pregiudicare illogicamente i diritti dell’istante”).
La liquidazione deve avvenire sulla base dei parametri
indicati degli artt. 18, 19, 20 e 21 del D.M. 55/2014
(attività stragiudiziale), considerando il valore medio con
riduzione alla metà ai sensi dell’art. 130 D.P.R. n. 115/02.
Considerando la natura dell’impegno professionale profuso da
quanto emerge dalla documentazione allegata, appare congruo
liquidare all’Avv. G. in relazione all’attività espletata la
somma di euro 4.320,00 per compensi (scaglione da euro
52.000,01 a 260.000,00 in base al valore desumibile
dall’accordo di mediazione), ridotti ad euro 2.160,00 ex
art. 130 cit., oltre alle spese generali pari al 7%, oltre
IVA e CAP. |
P.Q.M. |
CONFERMA in via definitiva l’ammissione al patrocinio a
spese dello Stato di S. C. nel procedimento suindicato;
LIQUIDA in favore dell’Avv. G. per l’attività espletata in
favore di S. C. nella procedura sopra indicata, euro
2.160,00 per compensi, oltre alle spese generali nella
misura del 7%, oltre IVA e CAP;
MANDA alla Cancelleria per le comunicazioni. |
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Firenze, 13 gennaio 2015.
Il Presidente, Luciana Breggia |
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[1] Si
ritiene che la domanda di usucapione rientri nell’ambito
dell’art. 5, comma 1 bis d.lgs. n.28/2010, specie dopo il
d.l. n. 69/2013 che ha aggiunto il comma 12 bis all’art.
2643 cc (in giurisprudenza. già in precedenza, v. Trib.
Palermo, ord. sez. distaccata Bagheria, 30.12.2011; Trib.
Como, sez. distaccata Cantù, ord. 2.2.2012).
[2] Il
caso riguardava il ricorso contro una decisione della Corte
di appello di Torino che, con provvedimento del 13 luglio
2006, aveva respinto il reclamo proposto dall’avv. E.C. F.
contro il decreto con cui il Tribunale di Torino aveva
dichiarato inammissibile la domanda di liquidazione delle
competenze per l’attività stragiudiziale dal medesimo svolta
quale difensore di una parte ammessa al patrocinio a spese
dello Stato. L’istanza era stata respinta sul rilievo che,
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, il patrocinio a spese
dello Stato è previsto per l’attività giudiziale e non pure
per quella stragiudiziale.
[3] Secondo
l’art. 10, <<Il patrocinio a spese dello stato è altresì
esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni
previste dalla presente direttiva, qualora l’uso di tali
mezzi sia richiesto dalla legge ovvero quando il giudice vi
abbia rinviato le parti in causa>>.
[4] Tentativo
previsto dall’art. 410 c.p.c., poi abrogato e, infine, in
parte nuovamente istituito.
[5] Dir.
2008/52, considerando 6.
[6] Corte
cost. .n. 178 del 2010.
[7] Già
prima della Direttiva n. 52/2008 in tema di mediazione
civile e commerciale, il Consiglio europeo aveva invitato
gli Stati membri a istituire procedure extragiudiziali e
alternative al ine di agevolare un miglior accesso alla
giustizia: nei ”considerando” della dir. 2008/52,
si ricordano le varie tappe del percorso, dalla riunione di
Tampère dell’ottobre 1999 al Libro verde del 2000.
[8] Secondo l‘art. 6, comma 2, del d.lgs. n.
116/2005 il patrocinio a spese dello Stato garantisce anche
<<la consulenza legale nella fase conciliativa
pre-contenziosa al fine di giungere a una soluzione prima di
intentare un’azione legale>>: in tale previsione sembra
rientrare la mediazione facoltativa e anche la negoziazione
assistita. Per quest’ultima, tuttavia, l’art. 3 d.l.
132/2014 si limita a stabilire che <<quando il
procedimento di negoziazione assistita è condizione di
procedibilità della domanda, all’avvocato non è dovuto
compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per
l’ammissione al patrocinio a spese dello stato>>: la
norma appare tuttavia di dubbia costituzionalità, tenuto
conto del carattere obbligatorio della procedura.
[9] Si fa riferimento all’orientamento dei giudici di merito
secondo cui per la mediazione obbligatoria iussu iudicis il
tentativo deve essere effettivo: si veda, di questo
giudice, l’ordinanza 19.3.20104, in www.mediamo.it; sempre
del Tribunale di Firenze, sez. imprese, ord. 17.3.2014 e
ord. 18.3.2014, in www.ilcaso.it; Trib. Roma, ord.
30.6.2014, in www.101mediatori.it; Trib. Bologna, ord.
5.6.2014, in www.adrmaremma.it; Trib. Rimini, ord.
16.7.2014, in www.mondoadr.it; Trib. Palermo, ord.
16.7.2014, in www.osservatoriomediazione.it. Per la
mediazione obbligatoria ex lege, da ultimo, si veda, di
questo giudice, l’ordinanza 26.11.2014, rg. 6277/2014.
[10] Il CCBE raccomanda inoltre di <<impostare una linea
di bilancio specifica>> per garantire lo sviluppo degli
aiuti europei. Il testo della raccomandazione è reperibile
nel sito www.ccbe.eu. |
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