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“Le sezioni Unite escludono che il tentativo
obbligatorio di conciliazione sia condizione di
procedibilità della proposizione della domanda
riconvenzionale” |
Sezione Giurisprudenza |
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a
cura di Giovanna Crocè
Le sezioni Unite escludono che il tentativo
obbligatorio di conciliazione sia condizione di
procedibilità della proposizione della domanda
riconvenzionale e definiscono la mediazione come un
"contemperamento di interessi", con semplicità di forme e
rapidità di trattazione, anche senza verifiche fattuali. Una
sorta di "esperimento" finalizzato ad un accordo negoziale,
che va certamente tentato, nella prospettiva assunta dal
legislatore, ma prima di intraprendere la causa in funzione
di scongiurare la originaria iscrizione a ruolo, e che non
avrebbe senso diluire e prolungare oltre misura.
La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha
stabilito che la condizione di procedibilità prevista dall'
art. 5 d.lg. n. 28 del 2010 sussiste per il solo atto
introduttivo del giudizio e non per le domande
riconvenzionali, fermo restando che al mediatore compete di
valutare tutte le istanze e gli interessi delle parti ed al
giudice di esperire il tentativo di conciliazione, per
l'intero corso del processo e laddove possibile.
La questione prende avvio da un giudizio nel quale una
società locatrice ha chiesto con ricorso al Tribunale di
Roma l'accertamento della risoluzione del contratto di
locazione concluso con il suo conduttore per avveramento
della condizione risolutiva pattuita, con la condanna al
rilascio del bene.
Il resistente ha chiesto il rigetto delle domande o, nel
caso di loro accoglimento ed in via riconvenzionale, la
condanna di controparte alla restituzione del deposito
cauzionale.
La procedura di mediazione si è svolta regolarmente sulle
domande principali, non sulla riconvenzionale, ed il
Tribunale ha ritenuto quindi di operare il rinvio alla S.C.,
ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., in ordine alla
proponibilità della domanda riconvenzionale, quando la causa
rientri tra quelle a mediazione obbligatoria ex art. 5
D.Lgs. n. 28 del 2010 e la mediazione sia stata già
effettuata, anteriormente alla prima udienza, in relazione
alla domanda di parte attrice.
Gli Ermellini, chiamati a decidere, hanno fatto chiarezza in
via definitiva sulla questione da tempo controversa circa la
diversa natura delle domande riconvenzionali astrattamente
proponibili in giudizio, soffermandosi sulla distinzione tra
domanda riconvenzionale collegata all'oggetto della lite e
domanda riconvenzionale ad essa "eccentrica". La prima
tipologia emerge dal sistema positivo processuale, come
interpretato nel c.d. diritto vivente, secondo cui
l'ammissibilità delle domande riconvenzionali, avanzate dal
convenuto nel giudizio introdotto in via principale
dall'attore, è subordinata alla comunanza del titolo già
dedotto in giudizio dall'attore o da quello che appartiene
alla causa come mezzo di eccezione.
Con riguardo a tale riconvenzionale c.d. non eccentrica, la
lettera e la ratio della disposizione inducono a ritenerla
non sottoposta alla condizione della mediazione
obbligatoria, in quanto si collega all'oggetto del processo
già introdotto dall'attore. Infatti, la legge non prevede
espressamente né che la riconvenzionale sia sottoposta a
mediazione obbligatoria, né le modalità processuali di tale
eventualità.
La disciplina della mediazione, secondo le Sezioni Unite,
rientra tra le disposizioni "finalizzate, unitamente alle
altre adottate in materia di giustizia, alla realizzazione
dei comuni e urgenti obiettivi - a loro volta preordinati al
rilancio dell'economia - del miglioramento dell'efficienza
del sistema giudiziario e dell'accelerazione dei tempi di
definizione del contenzioso civile".
L'istituto pone una condizione di procedibilità della
domanda giudiziale, specificamente "con finalità
deflattiva”.
La mediazione, con l'auspicata conciliazione delle
controversie mira a transigere le liti, evitando, in tal
modo, che il soggetto debba ottenere soddisfazione
attraverso gli organi di giustizia, con elevati costi e
tempi, che danneggiano la parte, come il sistema giudiziario
nel suo complesso. Il fine, dunque, è l'auspicata non
introduzione della causa, risolta preventivamente innanzi
all'organo apposito, in via stragiudiziale.
Ciò induce a ritenere che la riconvenzionale c.d. non
eccentrica non sia sottoposta alla condizione della
mediazione obbligatoria. La mediazione è stata già esperita
senza esito positivo, prima del processo o nel termine
concesso dal giudice, dall'attore: onde la condizione di
procedibilità è soddisfatta e la lite pende ormai innanzi ad
un giudice, che ne resta investito.
La mediazione obbligatoria si collega non alla domanda sic
et simpliciter, ma al processo, che ormai è pendente, onde,
essendo la causa insorta, la funzione dell'istituto viene
meno, non avendo avuto l'effetto di prevenzione per la
instaurazione del processo: in quanto essa si collega alla
causa, non alla domanda come tale, in funzione deflattiva
del processo.
Pertanto, una volta che la domanda principale sia stata
regolarmente proposta dopo che la mediazione abbia già
fallito l'obiettivo, una nuova mediazione obbligatoria
relativa alla domanda riconvenzionale - pur volendo
trascurare ogni previsione sulle sue possibilità di
successo, che non rilevano a questi fini interpretativi -
non realizzerebbe, in ogni caso, il fine di operare un
"filtro" al processo innanzi ad un organo della
giurisdizione.
La Suprema Corte ritiene, quindi, che imporre un successivo,
o più successivi tentativi obbligatori di conciliazione, nel
contempo differendo la trattazione della causa per mesi ad
ogni nuova domanda proposta in giudizio, sarebbe un effetto
eccessivo non voluto dalla norma rispetto allo scopo
deflattivo perseguito.
Le Sezioni Unite, poi, esaminano la diversa fattispecie
della riconvenzionale c.d. eccentrica alla lite, che allarga
l'oggetto del giudizio senza connessione con quello già
introdotto dalla parte attrice, arrivando alla medesima
soluzione: non è necessaria la proposizione di una autonoma
ed ulteriore mediazione. In tale ipotesi, ad escludere la
condizione di procedibilità concorrono, accanto alla ratio
normativa di deflazione dei processi, il principio della
certezza del diritto e quello della ragionevole durata del
processo.
Gli Ermellini richiamano le norme dalle quali si desume che
il legislatore, nell’organica previsione dell’istituto della
mediazione, ha posto particolare attenzione alla questione
della ragionevole durata del processo. Tra queste,
particolare importanza riveste il disposto dell'art. 5,
comma 2, secondo periodo, D.Lgs. n. 28 del 2010, secondo cui
"L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a
pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non
oltre la prima udienza". Norma attraverso la quale il
legislatore circoscrive la condizione di improcedibilità al
rilievo d'ufficio o all'eccezione di parte entro un limite
processuale particolarmente ristretto. Nella stessa
direzione, secondo la Suprema Corte, milita la generale
previsione di una durata massima del procedimento di
mediazione - fissata in tre mesi, prorogabile di ulteriori
tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della sua
scadenza con accordo scritto delle parti - neppure soggetto
a sospensione feriale. Ciò a confermare che per il
legislatore il tentativo è utile e necessario, ma solo se
esperito in tempi definiti e non foriero, invece, di
ulteriori ritardi.
La Suprema Corte richiama, inoltre, l’orientamento della
Corte costituzionale secondo cui gli strumenti di
composizione bonaria della lite "tendono, infatti, ad
evitare l'abuso del diritto alla tutela giurisdizionale,
nondimeno l'adempimento di un onere, lungi dal costituire
uno svantaggio per il titolare della pretesa sostanziale,
rappresenta il modo di soddisfazione della posizione
sostanziale più pronto e meno dispendioso": proprio lo
scongiurare "l'abuso... della giurisdizione, in vista di un
interesse della stessa funzione giurisdizionale, è stato
sovente la ratio espressa della "giurisdizione
condizionata".
Per la Corte costituzionale, dunque, la mediazione
obbligatoria non viola il diritto di azione, sancito dalla
Costituzione, soltanto laddove risulti idoneo a produrre il
risultato vantaggioso del c.d. effetto deflattivo, senza mai
divenire tale da provocare un inutile prolungamento dei
tempi del giudizio.
La suprema Corte evidenzia, quindi, l'esistenza di un
bilanciamento degli interessi, già operato dal legislatore
positivo e confermato come legittimo dal giudice delle
leggi: in quanto, se è vero che anche un ripetuto strumento
conciliativo extragiudiziale potrebbe condurre, a volte, ad
una soluzione favorevole della lite al secondo, al terzo o
ulteriore tentativo, è pur vero che così si finirebbe per
contraddire l'intento di rendere più rapida e meno onerosa
per tutti la risoluzione della controversia, quando questa
sia ormai comunque instaurata.
L'art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010 estende, dunque, a numerose
materie la mediazione obbligatoria, al fine di evitare
l'introduzione della lite ed assicurare una maggiore
celerità al processo, non di ostacolarla oltre il
ragionevole.
Per le Sezioni Unite, dunque, la mediazione obbligatoria ha
la sua ratio nelle dichiarate finalità di favorire la rapida
soluzione delle liti e l'utilizzo delle risorse pubbliche
giurisdizionali solo ove effettivamente necessario: posta
questa finalità, l'istituto non può essere utilizzato in
modo disfunzionale rispetto alle predette finalità ed essere
trasformato in una ragione di intralcio al buon
funzionamento della giustizia, in un bilanciamento dal
legislatore stesso operato, secondo una lettura
costituzionalmente orientata della disposizione in esame,
affinché, da un lato, non venga obliterata l'applicazione
dell'istituto, e dall'altro lo stesso non si determini una
sorta di 'effetto boomerang' sull'efficienza della risposta
di giustizia.
Gli Ermellini, infine, sottolineano l'importanza del ruolo
del mediatore e la portata strategica della mediazione.
Spetta infatti al mediatore, nel diligente adempimento del
suo incarico professionale, esortare le parti a mettere ogni
profilo nel tavolo negoziale, ivi comprese altre richieste
del convenuto. Ciò anche ai sensi del novellato art. 8,
comma 3, d.lgs. n. 28 del 2010, in base al quale il
mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un
accordo amichevole di definizione della controversia e,
dunque, l'intera lite tra di loro.
La Corte di Cassazione, in conclusione, esclude la
sussistenza della condizione di procedibilità con
riferimento alle domande riconvenzionali, evidenziando
tuttavia che nel corso del procedimento di mediazione
esperito per la domanda principale, al mediatore competerà
di valutare tutte le istanze e gli interessi delle parti ed
al giudice di esperire il tentativo di conciliazione, per
l'intero corso del processo e laddove possibile. |
Cassazione civile sez. II -
27/07/2023, n. 22805 |
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI |
Composta dagli Ili.mi S igg.ri
Magistrati:
PASQUALE D'ASCOLA Primo Presidente Aggiunto
CARLO DE CHIARA Presidente di Sezione
LORENZO ORILIA Consigliere
LUCIO NAPOLITANO Consigliere
MARIO BERTUZZI Consigliere
ENRICO SCODITTI Consigliere
ALBERTO GIUSTI Consigliere
ANTONELLA PAGETTA Consigliere
LOREDANA NAZZICONE Consigliere-Rei
ha pronunciato la seguente |
SENTENZA |
sul procedimento di rinvio
pregiudiziale iscritto a I n. 12668-2023, disposto dal
Tribunale di Roma con ordinanza emessa il 13/06/2023, neI
processo tra:
----- S.R.L., in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato -----
e
----- rappresentato e difeso dall'avvocato -----
Udita la relazione della ca usa svolta nella pubblica
udienza del 21/11/2023 dal Consigliere LOREDANA NAZZICONE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale FULVIO TRONCONE, il quale conclude come
da requisitoria scritta, con affermazione dei principi di
diritto riportati, per cui la domanda riconvenzionale è
sottoposta all'obbligo di mediazione, salvo risulti
prima facie inammissibile o non in grado comunque di
incidere su Ile rispettive posizioni sostanziali della
vicenda oggetto di lite. |
FATTI DI CAUSA |
La ----- s.r.l. ha chiesto con
ricorso al Tribunale di Roma l'accertamento della
risoluzione de I contratto di locazione concluso con il suo
conduttore per avveramento della condizione risolutiva
pattuita, per la perdita dei requisiti soggettivi
ex
I. n. 203 del 1991 o per scadenza del termine, con la
condanna al rilascio del bene.
Il resistente ha chiesto il
rigetto delle domande o, nel caso di loro accoglimento ed in
via riconvenzionale, la condanna di controparte aIla
restituzione del deposito cauzionale di € 900,00, con gli
interessi legali.
La procedura di mediazione si è
svolta regolarmente sulle domande principali, non sulla
riconvenzionale ed il Tribunale ha ritenuto quindi di
operare il rinvio alla s.c., ai sensi dell'art. 363- bis
c.p.c., in ordine alla proponibilità della domanda
riconvenzionale, quando la causa rientri tra quelle a
mediazione obbligatoria ex art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 e la
mediazione sia stata già effettuata, anteriormente alla
prima udienza, in relazione alla domanda di parte attrice.
La Prima Presidente ha assegnato
la questione sollevata con l'ordinanza di rinvio
pregiudiziale alle Sezioni Unite civili per l'enunciazione
del principio di diritto.
Il
Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale dr. Fulvio Troncone, ha depositato requisitoria
scritta, chiedendo di enunciare il principio di diritto
secondo cui anche la domanda riconvenzionale è sottoposta
all'obbligo di mediazione, salvo risulti
prima facie
inammissibile o non in grado comunque di incidere sulle
rispettive posizioni sostanziali della vicenda oggetto di
lite. |
RAGIONI DELLA DECISIONE |
1. - La questione.
L'ordinanza di rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis
c.p.c. pone la questione di diritto se, ai sensi dell'art. 5
del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, sussista l'obbligo di
provvedere alla mediazione nel caso di proposizione di una
domanda riconvenzionale, ove la mediazione sia stata già
ritualmente effettuata, anteriormente alla prima udienza, in
relazione alla sola domanda principale.
Reputano le Sezioni unite di risolvere tale questione
escludendo che il tentativo obbligatorio di conciliazione
sia condizione di procedibilità della proposizione de Ila
domanda riconvenzionale, a Ila stregua delle seguenti
considerazioni. |
2. - La diversa natura delle
domande riconvenzionali astrattamente proponibili
in giudizio. Gli interpreti sogliono distinguere tra
domanda riconvenzionale collegata all’oggetto della lite e
domanda riconvenzionale ad essa "eccentrica".
La prima tipologia emerge dal sistema positivo processuale,
come interpretato nel c.d. diritto vivente, secondo cui
l'ammissibilità delle domande riconvenzionali, avanzate daI
convenuto nel giudizio introdotto in via principale
dall'attore, è subordinata alla comunanza del titolo già
dedotto in giudizio dall'attore o da quello che appartiene
alla causa come mezzo di eccezione - come recita l'art, 36
c.p.c, - ma al solo fine di ritenerle devolute al medesimo
in quanto rientrino nella sua competenza per materia o per
valore.
Analoga "comunanza" della lite si richiede, peraltro, al
fine di reputare ammissibile la domanda
riconvenzionale, che pure non importi lo spostamento di
competenza: invero, del pari, in tal caso la giurisprudenza
di legittimità esige «un qualsiasi rapporto o situazione
giuridica in cui sia ravvisabile un collegamento obbiettivo
tra domanda principale e domanda riconvenzionale, tale da
rendere consigliabile e opportuna la celebrazione del
simultaneus processus» (già Cass. 19 ottobre 1994, n.
8531; nonché, tra le tante, Cass. 14 gennaio 2005, n. 681;
Cass. 4 luglio 2006, n. 15271; Cass. 15 gennaio 2020, n.
533; Cass. 4 marzo 2020, n. 6091).
Tale collegamento oggettivo, che rende opportuno il
simultaneus processus, viene rimesso alla valutazione
discrezionale del giudice di merito, al quale è richiesto
unicamente di motivare al riguardo, in particolare ove
ritenga la riconvenzionale inammissibile.
Resta, però, fermo in entrambi i casi ricordati - domanda
riconvenzionale che ecceda, oppure no, la competenza del
giudice della causa principale - il detto principio circa la
necessaria esistenza di un "collegamento oggettivo con
l'oggetto" che già appartiene al giudizio.
Dall'altra parte si pone la seconda tipologia di domande
afferente a Ila nozione di riconvenzionale c.d. eccentrica:
la quale, per sottrazione, indica quella in nessun modo "obiettivamente
ricollegabile all'oggetto" della causa.
La genericità dei termini, alla luce dei precedenti di
merito editi e di legittimità, ha reso, però, tutt'altro che
rara l'estensione della lite fra le parti, proprio suI
profilo se debba ritenersi sussistente un tale "collegamento
oggettivo"; mentre poi una pluralità di indici positivi,
presenti nell'ordinamento, conduce a non differenziare
affatto le due tipologie indicate, quanto agli effetti, che
ora interessano, della sottoposizione all'obbligo della
preventiva mediazione, quale condizione di proponibilità
della domanda riconvenzionale.
3. - Ragioni dell'esclusione della mediazione
obbligatoria per le domande riconvenzionali,
3.1. - La disciplina. Con l'art. 5, comma
1-bis, d.lgs. n. 28 del 2010 è stata reintrodotta
nell'ordinamento - dopo la declaratoria d'illegittimità
costituzionale dell'art. 5, comma 1, de I decreto
legislativo ad opera di Corte cost. n. 272 del 2012 per
eccesso di delega - la mediazione civile, quale condizione
di procedibilità de Ile domande giudiziali relative a talune
materie.
Si prevede quindi che «[c]hi intende esercitare in
giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di
(…) è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di
mediazione», quale «condizione di procedibilità
della domanda giudiziale».
È altresì disposto che l'improcedibilità sia «eccepita
dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal
giudice non oltre fa prima udienza, Il giudice, quando
rileva che fa mediazione non è stata esperita o è già
iniziata, ma non si è conclusa, fissa fa successiva udienza
dopo fa scadenza del termine di cui all'articofo 6»
ossia, tre mesi, più tre su accordo delle parti (così i
commi 1 e 2, a seguito della sostituzione dell'intero art. 5
ad opera dell'art. 7, comma 1, lett. d, d.lgs. n. 149 del
2022).
Dunque, chi intenda esercitare una di simili liti è tenuto,
preliminarmente, a tentare la composizione stragiudiziale
della controversia mediante l'esperimento del procedimento
disciplinato dal d.lgs. medesimo, il cui svolgimento è
affidato ad appositi organismi di mediazione.
Tale condizione di procedibilità della domanda giudiziale è
un presupposto processuale, il cui difetto è sanabile
retroattivamente, qualora il giudice rilevi il mancato
esperimento del tentativo o la sua pendenza, per permetterne
la conclusione.
Non si paria di "sospensione" in senso tecnico, trattandosi
di un mero rinvio, ma questo comporta pur sempre un
differimento della trattazione della causa; il quale,
inoltre, non necessariamente sarà contenuto nei pochi mesi
indicati dal legislatore, essendo «dopo la scadenza»
previsione relativa solo al termine minimo, non massimo, il
quale ultimo invece necessariamente seguirà le esigenze del
calendario del giudice.
3.2. - Le riconvenzionali "non eccentriche". Con
riguardo a Ila riconvenzionale c.d. non eccentrica, la
lettera e la ratio della disposizione inducono a
ritenere a non sottoposta aIla condizione della mediazione
obbligatoria, in quanto si collega all'oggetto del processo
già introdotto dall'attore.
Infatti, la legge non prevede espressamente né che la
riconvenzionale sia sottoposta a mediazione obbligatoria, né
le modaIità processuali di tale eventualità; ed il
legislatore, pur intervenuto anche recentemente sul tema
quando la questione in esame era ampiamente emersa, nulla ha
ritenuto di disporre al riguardo.
L'istituto processuale in questione si inserisce in un
contesto riformatore che esprime la ratio di costituire «una
reale spinta deflattiva e contribuire alfa diffusione della
cultura della risoluzione alternativa delle controversie»
(così la relazione illustrativa a I d. lgs. n. 28 del 2010).
Ciò, al fine di preservare la "risorsa" della giurisdizione,
nella «consapevolezza, sempre più avvertita, che, a
fronte di una crescente domanda di giustizia, anche in
ragione del riconoscimento di nuovi diritti, fa
giurisdizione sia una risorsa non illimitata e che misure di
contenimento del contenzioso civile debbano essere messe in
opera» (Corte cost. 19 aprile 2018, n. 77).
Da ciò l'adozione degli istituti processuali diretti, in via
preventiva, a favorire la composizione della lite in altro
modo, quali le misure di Adr (Alternative dispute
resolution), cui sono riconducibili le procedure di
mediazione, la negoziazione assistita, il trasferimento
della lite alla sede arbitrale; nella stessa linea è la
previsione generale del codice di rito civile, con gli artt.
185 e 185- bis c.p. c., relativi aI tentativo di
conciliazione ed aIla formulazione della proposta di
conciliazione da parte del giudice.
Si noti - sin d'ora - come anche il giudice delle leggi
abbia avvicinato, quanto alla ratio di indurre le
parti a conciliarsi nell'intento di economizzare la risorsa
giustizia, gli strumenti c.d. aIternativi, quale la
mediazione, all'attività deI giudice stesso neI processo: il
quale, in adempimento di un suo compito essenziale,
conoscendo gli atti e le parti, ha tutto l'agio e le
competenze per tentare la conciliazione lungo tutto il corso
del processo, così come ora prevede l'art. 185-bis c.p.c.,
«fino al momento in cui fissa l'udienza di rimessione
della causa in decisione» (non solo «alla prima udienza,
ovvero sino a quando è esaurita l'istruzione», come
recitava la norma prima delle modifiche apportate da I
d.lgs. n. 149 del 2022).
La mediazione rientra tra le disposizioni
«finalizzate, unitamente alfe altre adottate in materia di
giustizia, alfa realizzazione dei comuni e urgenti obiettivi
- a foro volta preordinati al rilancio dell'economia del
miglioramento dell'efficienza del sistema giudiziario e
dell'accelerazione dei tempi di definizione del contenzioso
civile» (Corte cost. 18 aprile 2019, n. 97). «Si è
al cospetto, pertanto, di un procedimento contraddistinto
dall'obbligatorietà, che deve essere espletato, pena
l'improcedibilità della domanda, prima
dell'instaurazione di una lite giudiziaria.
Esso/ di conseguenza, condiziona/ in determinate materie/
l'esercizio del diritto di azione» (Corte cost. 20
gennaio 2022, n. 10).
L'istituto pone una condizione di procedibilità della
domanda giudiziale, specificamente «con finalità
deflattiva» (Corte cost. 20 gennaio 2022, n. 10 e 18
aprile 2019, n. 97, citt.).
La mediazione, con l'auspicata conciliazione, delle
controversie mira a transigere le liti, evitando, in tal
modo, che il soggetto debba ottenere soddisfazione
attraverso gli organi di giustizia, con elevati costi e
tempi, che nocciono alla parte, come al sistema giudiziario
nel suo complesso. Il fine, dunque, è l'auspicata non
introduzione della causa, risolta preventivamente innanzi
all'organo apposito, in via stragiudiziale.
Ciò induce a ritenere che la riconvenzionale c.d. non
eccentrica non sia sottoposta aIla condizione della
mediazione obbligatoria. La mediazione è stata già esperita
senza esito positivo, prima del processo o nel termine
concesso dal giudice, dall'attore: onde la condizione di
procedibilità è soddisfatta e la lite pende ormai innanzi ad
un giudice, che ne resta investito.
La mediazione obbligatoria si collega non alla domanda
sic et simpliciter, ma al processo, che ormai è
pendente, onde, essendo la causa insorta, la funzione
dell'istituto viene meno, non avendo avuto l'effetto di
prevenzione per la instaurazione del processo: in quanto
essa si collega alla causa, non alla domanda
come tale, in funzione deflattiva del processo.
Pertanto, una volta che la domanda principale sia stata
regolarmente proposta dopo che la mediazione abbia già
fallito l'obiettivo, una n uova mediazione obbligatoria
relativa a Ila domanda riconvenzionale - pur volendo
trascurare ogni previsione sulle sue possibilità di
successo, che non rilevano a questi fin i interpretativi -
non realizzerebbe, in ogni caso, il fine di operare un
«filtro» al processo innanzi ad un organo della
giurisdizione. Il giudice è già investito della controversia
introdotta dall'attore, di cui non verrebbe ormai spogliato,
neppure se il tentativo su Ila domanda del convenuto avesse
esito positivo, dovendo il processo proseguire per la
decisione sulla domanda principale e, dunque, a I più, con
una mera "riduzione" de I suo oggetto.
Posto che l'istituto ha esclusive finalità di economia
processuale, nel senso di evitare il proliferare di cause
iscritte innanzi all'organo giudiziario, imporre un
successivo, o più successivi ad ogni ulteriore domanda
proposta nel giudizio, tentativi obbligatori di
conciliazione, nel contempo differendo la trattazione della
causa per mesi ad ogni nuova domanda proposta in giudizio, è
un effetto eccessivo non voluto da Ila norma rispetto allo
scopo deflattivo perseguito.
3.3. - Le riconvenzionali "eccentriche". Resta da
considerare i I caso della proposizione della
riconvenzionale c.d. eccentrica a Ila lite, che aIlarga
l'oggetto del giudizio senza connessione con quello già
introdotto dalla parte attrice.
Qui, ad escludere la condizione di procedibilità concorrono
- accanto alla ratio normativa di deflazione dei processi
richiamata - ulteriori criteri d'interpretazione: quali il
principio della certezza del diritto, che si oppone aIla
causazione di ulteriore contenzioso su I punto, e quello
della ragionevole durata del processo.
3.3.1. - Sotto il primo profilo, occorre rilevare
l'inadeguatezza di soluzioni intermedie, a I fine di
preservare il bene della certezza del diritto.
Nei precedenti relativi alle controversie agrarie, ai sensi
dell'art. 46 I. 3 maggio 1982, n. 203, la s.c. ritiene che
il tentativo di conciliazione debba precedere anche la
domanda riconvenzionale da parte del convenuto (cfr. Cass.
11 novembre 2022, n. 33379; Cass. 26 maggio 2014, n. 11644;
Cass. 23 agosto 2013, n. 19501, in motivazione; Cass. 14
novembre 2008, n. 27255; Cass. 15 luglio
2008, n. 19436; Cass. 16 novembre 2007, n. 23816; Cass. 18
gennaio 2006, n. 830; Cass. 28 luglio 2005, n. 15802; Cass.
2 agosto 2004, n. 14772, ove non è massimato questo punto;
Cass.
22 ottobre 2002, n. 14900; Cass. 19 febbraio 2002, n. 2388;
Cass.
8 giugno 1999, n. 5613; Cass. 1° dicembre 1998, n. 12196;
Cass.
7 marzo 1992, n. 2753).
Peraltro, l'immanente insoddisfazione per la soluzione,
attesi tutti gli inconvenienti sopra indicati e che vengono
all’evidenza avvertiti dai giudici, ha indotto a compiere
una serie di distinguo: i quali, se riescono a scongiurare
alcuni di quegli inconvenienti, sono forieri poi di un
pregiudizio assai più rilevante all'ordinamento nel suo
complesso, ossia la compromissione del principio fondante
della certezza del diritto, il quale, come è noto, non è un
principio come gli altri, ma è essenziale espressione dello
Stato costituzionale di diritto, a fini anche di
uguaglianza.
Così, si afferma che il convenuto in riconvenzionale sia
onerato dal tentativo di conciliazione, ma solo se:
i) «fa domanda riconvenzionale vada ad ampliare l'ambito
della controversia rispetto ai limiti posti alla stessa in
sede di esperimento del tentativo di conciliazione di cui
alla domanda principale» (Cass. 26 maggio 2014, n.
11644; Cass. 23 agosto 2013, n. 19501, in motivazione; Cass.
14 novembre 2008, n. 27255; Cass. 19 febbraio 2002, n. 2388;
Cass. 4 aprile 2001, n. 4982; Cass., 26 febbraio 1998, n.
2117);
ii) «fa riconvenzionale investa aspetti nuovi della
controversia, che se conosciuti e valutati dalle parti
unitamente a quelli per i quali vi è già vertenza
giudiziaria, potrebbero condurre ad una definizione bonaria
della lite, evitando l'intervento del giudice» (Cass.
27 aprile 1995, n. 4651), in quanto «si espongono aspetti
nuovi della controversia che, se conosciuti anticipatamente,
avrebbero potuto condurre ad una definizione bonaria della
controversia» (Cass. 14 novembre 2008, n. 27255, la quale
reputa, sulla base di tale premessa, non ampliati i confini
della controversia dalla domanda riconvenzionale di
risarcimento del danno, ove lo sforzo di affermare che «fa
domanda principale era diretta a sentire dichiarare fa
validità ed efficacia del contratto di soccida inter partes
e, pertanto, implicitamente, fa verifica che nessun
inadempimento si era verificato da parte dell'attore»; ivi i
giudici del merito avevano ritenuto, a I fine di dimostrare
come per effetto della riconvenzionale si sia avuto un
ampliamento della materia del contendere, rilevante che si
fosse posta l'esigenza di espletamento della c. t. u.
riconnessa proprio a Ila domanda riconvenzionale e non a
quella di pagamento formulata dalla soccidaria; Cass. 1°
dicembre 1999, n. 13359; Cass. 8 giugno 1999, n. 5613);
iii) «fa domanda stessa [non] si ricolleghi direttamente
al contrasto tra le parti ed alfe pretese fatte valere dal
l'attore che abbia esperito fa procedura in questione»
(Cass. 8 agosto 1995, n. 8685);
iv) «il convenuto [non] abbia già dedotto le relative
richieste nella procedura di conciliazione sperimentata
dall'attore» (Cass. 16 novembre 2007, n. 23816; Cass.
14 luglio 2003, n. 10993; Cass. 17 gennaio 2001, n. 593;
Cass. 8 agosto 1995, n. 8685; Cass. 5 ottobre 1995, n.
10447).
Dunque, la tesi in esame afferma la necessità del tentativo
anche per la domanda riconvenzionale, ma con distinzioni
casistiche.
Peraltro, i tanti distinguo rivelano l'imbarazzo,
percepito dalle stesse decisioni che li propongono, di
ritardare il processo con ulteriori oneri, quando le parti
comunque non siano addivenute ad un accordo bonario
palesando una indisponibilità a I riguardo: onde si palesa
trattarsi di un adempimento non conforme al parametro di
ragionevolezza, in quanto non funzionale allo scopo di
evitare l'intervento deIla giurisdizione mediante un
componimento bonario della lite. In taI modo, essa è foriera
di eccessiva incertezza del diritto.
È facile, invero, prevedere code e sviluppi contenziosi
allorché, proposta la domanda riconvenzionale senza
mediazione, si sostenga dall'una e dall'altra parte, se
cundum commoda, che la domanda riconvenzionale "amplia
l'ambito", si "ricollega al contesto", concerne questioni
"intorno a Ile quali il tentativo si è svolto", "si
ricolleghi direttamente a I contrasto tra le parti ed a Ile
pretese fatte valere dall'attore", che nella domanda di
conciliazione "erano già esposti tutti i fatti, nonché la
valutazione giuridica degli stessi" o "il convenuto abbia
già dedotto le relative richieste nella procedura di
conciliazione sperimentata dall'attore" o che, con la sua
nuova domanda, "espone aspetti nuovi della controversia che,
se conosciuti anticipatamente, avrebbero potuto condurre ad
una definizione bonaria della controversia".
Ed invero, molti possono essere i profili e le questioni
dubbie, se il linguaggio resta vago ed i concetti
controvertibili. Non questo è il senso del tentativo
obbligatorio di mediazione o di conciliazione, ma proprio il
fine opposto deflattivo delle liti giudiziarie, nell'an
e nel tempus.
Imporre di vaIutare se la domanda riconvenzionale «investa
aspetti nuovi che se conosciuti e valutati dalle parti
unitamente a quelli per i quali vi è già vertenza
giudiziaria, potrebbero condurre ad una definizione bonaria
della lite, evitando l'intervento del giudice» (Cass.
27 aprile 1995, n. 4651) è ancora più arduo: impingendo così
il criterio, invero, in una valutazione dello stato
psicologico e dell'intendimento soggettivo presunto o
ricostruito ex post (analogamente es. agli artt.
1419 e 1424 e.e.: dove però la
scelta del legislatore ha ben altra ratio di conservazione
degli atti giuridici e sicurezza dei traffici).
Con evidenti forzature, volta a volta, da parte del
giudicante, cui neppure questa Corte è rimasta immune: come
quando (Cass. 14 novembre 2008, n. 27255) ha ritenuto che,
proposta domanda diretta a sentir dichiarare la validità ed
efficacia del contratto di soccida inter partes, la domanda
riconvenzionale di risoluzione per inadempimento e di
risarcimento del danno fosse ricompresa nella prospettazione
attorea, avente ad oggetto «implicitamente, fa verifica
che nessun inadempimento si era verificato da parte
dell'attore», nonché fosse «irrilevante, al fine di
pervenire ad una diversa conclusione, [è] fa circostanza che
solo nella riconvenzionale si invochino i danni
assertivamente patiti dalla società convenuta a causa del
comportamento di quella attrice, atteso - da una parte - che
fa richiesta di danni è consequenziale alfa pronunzia di
risoluzione, dall'altra, che ... non è sufficiente un mero
ampliamento del petitum perché sorga l'obbligo, per il
convenuto in via riconvenzionale, di sollecitare un nuovo
tentativo di conciliazione ai sensi della L. 3 maggio 1982,
n. 203, art. 46»; e che neppure, «al fine di
dimostrare come per effetto della riconvenzionale si sia
avuto un ampliamento della materia del contendere è
sufficiente considerare che l'esigenza di espletamento della
c.t.u. si riconnette proprio alla domanda riconvenzionale e
non a quella di pagamento formulata dalla soccidaria»,
come invece reputato daI giudice di merito.
Ulteriore complicazione induce la tesi in discorso, laddove
compaia il difensore in sede conciliativa, ove pure si fosse
trattata ogni questione, e tuttavia ovviamente egli non
avesse il mandato degli attori al riguardo (cfr. Cass. 23
agosto 2013, n. 19501).
3.3.2. - Sotto il secondo profilo, sussistono Iimiti,
individuati dallo stesso legislatore positivo e dal giudice
delle leggi, contro l'allungamento dei tempi dovuti a Ila
mediazione obbligatoria ed aItri simili istituti, in
ossequio al principio di ragionevole durata del processo.
3.3.2.1. L'esigenza di non cadere in soluzioni
controproducenti emerge con chiarezza, invero, daIle regole
positive dettate dal legislatore, nel testo normativo in
esame ed il aItri similari, suI piano della interpretazione
teleologica e avuto riguardo allo scopo perseguito da I
legislatore medesimo.
i) Anzitutto, nell'art. 23, secondo comma, d.lgs. n. 28 del
2010 è stabilito che «Restano ferme le disposizioni che
prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e
mediazione, comunque denominati, nonché le disposizioni
concernenti i procedimenti di conciliazione relativi alle
controversie di cui all'art. 409 del codice di procedura
civile. I procedimenti di cui al periodo precedente sono
esperiti in luogo di quelli previsti dal presente decreto».
In tal modo, si è voluto escludere il concorso di analoghi
istituti.
Del pari, l'art. 3, primo comma, secondo periodo, d.l. n.
132 del 2014, conv. nella I. n. 162 del 2014 (Misure urgenti
di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la
definizione dell'arretrato in materia di processo civile)
prevede la convenzione di negoziazione assistita per chi
intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a
qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro,
ma «fuori dei casi previsti ... dall'articolo 5, comma
1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28».
Infine, la medesima prospettiva restrittiva emerge dai commi
3 e 6 dell'art. 5 d. lgs. n. 28 del 2010, rispettivamente
concernenti altre specifiche procedure e peculiari
esclusioni.
Dunque, l'eccesso di mediazione" è stato temuto e
scongiurato dal legislatore mediante le riportate
previsioni, ed altre analoghe, che escludono l'ipotesi del
concorso di diverse procedure di conciliazione o mediazione
obbligatoria, o altre condizioni di procedibilità «comunque
denominat[e]»: dettando una disciplina che risolve, in
taI modo, il concorso tra la mediazione obbligatoria e le
altre condizioni di procedibilità della domanda giudiziale,
escludendo un doppio e contemporaneo "filtro alla
giurisdizione", ma optando, invece, per l'alternatività di
procedure. Una diversa soluzione, invero, avrebbe
determinato una gravosa duplicazione di costi superflui per
le parti, attesa la necessità di assistenza difensiva in
tutte le procedure, onde avrebbe finito per costituire,
piuttosto, un serio ostacolo al raggiungimento di una
soluzione conciliativa e causa di ritardo nel la soluzione
della lite insorta.
ii) A ciò si aggiunga il disposto dell'art. 5, comma 2,
secondo periodo, d.lgs. n. 28 del 2010, secondo cui «L'improcedibilità
deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o
rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre fa prima udienza».
Il legislatore ha dunque, pur nel favor per la soluzione
alternativa delle controversie, circoscritto la condizione
di improcedibilità al rilievo d'ufficio o all'eccezione di
parte entro un limite processuale assai ristretto (la prima
udienza).
iii) Nella stessa direzione milita la generale previsione di
una durata massima del procedimento di mediazione - fissata
in tre mesi, prorogabile di ulteriori tre mesi dopo la sua
instaurazione e prima della sua scadenza con accordo scritto
delle parti - ai sensi dell'art. 6 d.lgs. n. 28 del 2010,
termine, inoltre, neppure soggetto a sospensione feriale: a
confermare che per il legislatore il tentativo è utile e
necessario, ma solo se esperito in tempi definiti e non
foriero, invece, di ulteriori ritardi.
iv) Ancora, espressamente l'art. 7 d.lgs. n. 28 del 2010 si
preoccupa del principio della ragionevole durata del
processo: stabilendo che «Il periodo di cui all'articolo
6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi
dell’articolo 5, comma 2 e dell'articolo 5-quater, comma 1,
non si computano ai fini di cui all'articolo 2 della legge
24 marzo 2001, n. 89». Al di là dell'intervento
restrittivo di Corte cost. 6 dicembre 2012, n. 272, come
delle perplessità in dottrina sollevate circa la reale
precettività della disposizione ai fini del computo del
termine ragionevole di cui all'art. 6 Cedu (quanto alla
possibilità di escludere il tempo utilizzato per il
procedimento di mediazione, ove questo costituisca, in virtù
de I diritto interno, un presupposto indispensabile per
l'accesso a Ila tutela giurisdizionale), il punto è che il
conflitto con il fondamentale principio della ragionevole
durata è avvertito chiaramente dallo stesso legislatore.
3.3.2.2. - Quanto al giudice delle leggi, se è costante nel
ritenere non violato dalla mediazione obbligatoria l'art. 24
Cost., laddove questo tutela il diritto di azione, in quanto
detto principio «non comporta l'assoluta immediatezza
del suo esperimento, ben potendo la legge imporre oneri
finalizzati a salvaguardare ''interessi generali” con le
dilazioni conseguenti», interessi individuati
nell'evitare «che l'aumento delle controversie
attribuite al giudice ordinario... provochi un sovraccarico
dell'apparato giudiziario, con conseguenti difficoltà per il
suo funzionamento» e nel favorire «la composizione
preventiva della lite, che assicura alle situazioni
sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a
quella conseguita attraverso il processo» (Corte cost.
13 luglio 2000, n. 276; e già sent. n. 46 del 1974; n. 47
del 1964; nn. 56, 83 e 113 del 1963; n. 40 del 1962), resta
tuttavia il rilievo del principio generale di ragionevolezza
delle restrizioni a tale diritto, in ispecie in comparazione
con un reale effetto positivo dell'istituto conciliativo:
ossia per gli scopi, ora ricordati, di non investire affatto
il giudice della lite e di dare presto a questa soluzione
stragiudiziale, nei limiti, quindi, in cui tale effetto
positivo verosimilmente sussista, e non sia, invece,
irragionevolmente ed inevitabilmente soppiantato da ritardi
non più giustificabili, perché non idonei a realizzare detti
scopi.
Le previsioni ricordate ai punti precedenti hanno
un'indubbia valenza sistematica, al fine dell'individuazione
di un «appropriato meccanismo di coordinamento, ispirato
alfa considerazione necessariamente unitaria della vicenda
sostanziale dedotta in giudizio e all'esigenza di
salvaguardare fa ragionevole durata del processo (art. 111,
secondo comma, Cost,), senza vanificare, con inutili
intralci, l'effettività della tutela giurisdizionale (art.
24 Cost.)», secondo l'esigenza ravvisata da Ila Corte
costituzionale (Corte cost. 12 dicembre 2019, n. 266, nel
dichiarare inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 3, commi 1, secondo e terzo
periodo, e 5, d. I. n. 132 del 2014 ).
La Corte costituzionale da tempo rileva che, se simili
strumenti «tendono, infatti, ad evitare l'abuso del
diritto alfa tutela giurisdizionale, nondimeno l'adempimento
di un onere, fungi dal costituire uno svantaggio per il
titolare della pretesa sostanziale, rappresenta il modo di
soddisfazione della posizione sostanziale più pronto e meno
dispendioso»: proprio lo scongiurare «l'abuso...
della giurisdizione, in vista di un interesse della stessa
funzione giurisdizionale, è stato sovente fa ratio espressa
della "giurisdizione condizionata". Il principio di economia
processuale, inteso come più efficace e pronta soluzione dei
conflitti, ha solitamente fondato fa rispondenza dei
condizionamenti censurati alfa previsione costituzionale del
diritto di azione» (Corte cost. 4 marzo 1992, n. 82).
In altre occasioni, la giurisprudenza costituzionale ha
affermato la legittimità di quelle regole, che subordinano
«l'esercizio dei diritti a controm o condizioni, purché
non vengano imposti oneri o modalità tali da rendere
impossibile o estremamente difficile l'esercizio del diritto
di difesa o lo svolgimento dell'attività processuale»
(sent. 13 aprile 1977, n. 63), in particolare stabilendo che
il tentativo di conciliazione riguardo a Ile cause agrarie
non costituisce «adempimento vessatorio di difficile
osservanza né un'insidiosa complicazione processuale tale da
ledere il diritto di difesa dell'attore» (Corte cost.
21 gennaio 1988, n. 73).
Per la Corte costituzionale, dunque, la mediazione
obbligatoria non viola il diritto di azione, sancito dalla
Costituzione, soltanto laddove risulti idoneo a produrre il
risultato vantaggioso del c.d. effetto deflattivo, senza mai
divenire tale da provoca re un inutile prolungamento dei
tempi del giudizio.
Le indicazioni del giudice delle leggi additano, in
sostanza, una linea di equilibrio fra il principio di azione
di ordine costituzionale e le deroghe che possono esservi
apportate in funzione di interessi di estrema rilevanza, ma
confermano il carattere eccezionale de Ile ipotesi
limitative: ne deriva che le condizioni di procedibilità
stabilite dalla legge non possono essere aggravate da una
interpretazione che conduca ad estenderne la portata (Cass.
21 gennaio 2004, n. 967, con riguardo alla conciliazione
lavoristica).
Analoga mente, come ricorda anche la relazione del
Massimario, il principio della tutela giurisdizionale
effettiva costituisce un principio generale de I diritto
comunitario, derivante da Ile tradizioni costituzionali
comuni agli Stati membri, sancito dagli artt. 6 e 13 della
CEDU (intitolati, rispettivamente, "Diritto a un equo
processo" e "Diritto a un ricorso effettivo"), oltre ad
essere stato ribadito anche da Il' art. 47 de Ila Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza
il 7 dicembre 2000 (intitolato "Diritto a un ricorso
effettivo e a un giudice imparziale"). Viene in rilievo
anche l'art. 67, par. 4, TFUE, secondo il quale "l'Unione
facilita l'accesso alla giustizia, in particolare attraverso
il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni
giudiziali ed extragiudiziali in materia civile".
Con sentenza del 18 marzo 2010, C-317, C-318, C-319 e
320, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha escluso
che il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui
all'art. 1, comma 11, della I. n. 249 /1997 confligga col
diritto comunitario (in particolare, con l'art. 34 della
direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai
diritti degli u tenti in materia di reti e di servizi di
comunicazione elettronica), rimarcando come la conseguente
restrizione ai diritti fondamentali degli utenti sia
legittima, in quanto tesa al perseguimento di obiettivi di
interesse generale e non sproporzionata rispetto a questi
ultimi.
3.3.2.3. - Tutto quanto esposto indica l'esistenza un
bilanciamento degli interessi, già operato dal legislatore
positivo e confermato come legittimo dal giudice delle
leggi: in quanto, se è vero che anche un ripetuto strumento
conciliativo extragiudiziale potrebbe condurre, a volte, ad
una soluzione favorevole della lite al secondo, al terzo o
ulteriore tentativo, è pur vero che così si finirebbe per
contraddire l'intento di rendere più rapida e meno onerosa
per tutti la risoluzione della controversia, quando questa
sia ormai comunque instaurata.
Effetto deflattivo, ragionevole durata e divieto di inutili
intralci sono, dunque, principi ampiamente presenti anche
innanzi al giudice delle leggi.
L'art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 estende a numerose materie la
mediazione obbligatoria, al fine di evitare l'introduzione
della lite ed assicurare una maggiore celerità al processo,
non di ostacolarla oltre il ragionevole. Dovendosi dunque,
piuttosto, secondo il legislatore pervenire - è la ratio
sottesa - al processo ordinario, una volta
infruttuosamente esperito il tentativo di mediazione in via
obbligatoria senza che esso sia andato a buon fine, quale
condizione di procedibilità da applicare al solo atto
introduttivo, non a tutte le "domande" proposte nel
processo.
Con il fine di auspicata riduzione dei genera li tempi di
definizione de I contenzioso civile si porrebbe in
irrimediabile contrasto l'effetto di estendere alla domanda
riconvenzionale un ulteriore e ripetuto analogo tentativo.
Invero, l'art. 5, comma 2, terzo periodo, d.lgs. n. 28 del
2010 prevede che il giudice, quando rileva che la mediazione
non è stata esperita o conclusa, fissa la successiva udienza
dopo la scadenza del termine di tre mesi (più tre, su
accordo delle parti) di cui all'art. 6: con un inevitabile,
ma dal legislatore ponderato, allungamento dei tempi
processuali. In tal modo, se si reputasse obbligato anche il
convenuto in riconvenzionale ad esperire la mediazione, i
tempi si allungherebbero, però, in modo non prevedibile. Il
differimento della trattazione, previsto dal legislatore
quale strumento per contrastare l'elusione della condizione
di procedibilità prescritta per la domanda introduttiva, si
dilaterebbe oltre ogni modo: il rinvio necessariamente
riguarderebbe non soltanto la trattazione della domanda
riconvenzionale, ma l'intero giudizio, ivi compresa la
domanda introduttiva, sebbene ormai procedibile, onde pure
il pericolo di abusi ad opera del convenuto.
La mediazione obbligatoria svolge un ruolo proficuo, solo se
non si presti ad eccessi o abusi. La mediazione, più che
accertamento di diritti, è "contemperamento di interessi",
con semplicità di forme e rapidità di trattazione, anche
senza verifiche fattuali: è una sorta di "esperimento"
finalizzato ad un accordo negoziale, che va certamente
tentato, nella prospettiva assunta da I legislatore, ma
prima di intraprendere la causa in funzione di scongiurare
la originaria iscrizione a ruolo, e che non avrebbe senso
diluire e prolungare oltre misura.
Ma la soluzione che volesse sottoporre la domanda
riconvenzionale a mediazione obbligatoria dovrebbe - per
coerenza - essere estesa ad ogni altra domanda fatta valere
in giudizio, diversa ed ulteriore rispetto a quella
inizialmente introdotta dall’attore: non solo, quindi, la
domanda riconvenzionale, ma anche la riconvenzionale a
riconvenzionale (c.d. reconventio reconventionis),
la domanda proposta da un convenuto verso l'altro, oppure da
e contro terzi interventori, volontari o su chiamata.
Del pari, potrebbero esperirsi tante successive mediazioni
non simultanee, con una assai poco efficiente gestione
separata dei conflitti, che difficil mente condurrebbe ad un
proficuo ed unitario accordo fra tutte le parti; mentre il
processo necessariamente vedrebbe una trattazione
disordinata e disarticolata, in attesa dell'esperimento di
tanti tentativi di conciliazione stragiudiziali.
3.4. - Conclusioni. In definitiva, la mediazione
obbligatoria ha
la sua ratio nelle dichiarate finalità di favorire la rapida
soluzione delle liti e l'utilizza de Ile risorse pubbliche
giurisdizionali solo ove effettivamente necessario: posta
questa finalità, l'istituto non può essere utilizzato in
modo disfunzionale rispetto a Ile predette finalità ed
essere trasformato in una ragione di intralcio al buon
funzionamento della giustizia, in un bilanciamento dal
legislatore stesso operato, secondo una lettura
costituzionale della disposizione in esame, affinché, da un
lato, non venga obliterata l'applicazione dell'istituto, e
dall'altro lo stesso non si determini una sorta di "effetto
boomerang" sull'efficienza della risposta di
giustizia.
Per ogni altro profilo, sussiste il compito generale del
giudice, a fini di risparmiare risorse giurisdizionali e non
emettere la sentenza, di tentare e proporre egli stesso la
conciliazione (artt. 185, 185-bis c.p.c.), dove il tentativo
di conciliazione potrà avere svolgimento con maggiore
probabilità di esito positivo.
Va anche precisato che spetta al mediatore, nel diligente
adempimento del suo incarico professionale, esortare le
parti a mettere ogni profilo "sul tappeto", ivi comprese
altre richieste del convenuto. Ciò, ai sensi dell'art. 8,
comma 3, d.lgs. n. 28 del 2010: «Il mediatore si adopera
affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di
definizione della controversia», dunque l'intera lite
tra di loro. L'accordo sarà ricompreso nella proposta di
conciliazione ex art. 11 del d.lgs., secondo cui, se è
raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo
verbale aI quale è allegato il testo dell'accordo medesimo,
mentre, quando l'accordo non è raggiunto, il mediatore può
formulare una proposta di conciliazione; in ogni caso, il
mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti
gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del
procedimento.
Piuttosto, la trattazione congiunta di più interessi di cui
le varie parti siano portatrici sarà possibile all'interno
dell'unico procedimento di mediazione: situazione che in
diritto è ammessa ed in fatto è auspicabile, come è proprio
delle funzioni di un bonario componimento degli interessi,
affidato ad un terzo preparato ed estraneo alle parti.
La mediazione torna un modo attraverso il quale le parti
provano a risolvere la lite, anche in maniera diversa
dall'applicazione rigorosa delle norme che regolano la
vicenda, ricercando un equilibrio tra i rispettivi
interessi, purché questi vengano peraltro adeguatamente
ponderati e non ridotti forzatamente "a pari merito", il
tutto innanzi ad un organo apposito, per scongiurare
l'introduzione della lite innanzi ad un giudice.
4. - Principio di diritto. È enunciato il principio
di diritto: «La condizione di procedibilità prevista
dall'art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 sussiste per il solo atto
introduttivo del giudizio e non per le domande
riconvenzionali, fermo restando che al mediatore compete di
valutare tutte le istanze e gli interessi delle parti ed al
giudice di esperire il tentativo di conciliazione, per
l'intero corso del processo e laddove possibile».
5. - Trasmissione degli atti di causa. È disposta la
restituzione degli atti al Tribunale di Roma.
6. - Spese. Non vi è luogo a provvedere sulle spese
sostenute nel procedimento di rinvio pregiudiziale, non
sussistendo in relazione ad esso una soccombenza riferibile
a Ila iniziativa delle parti. |
P.Q.M. |
La
Corte, a sezioni unite, pronunciando sul rinvio
pregiudiziale disposto dal Tribunale di Roma ai sensi
dell'art. 363-bis c.p.c. con ordinanza del 13 giugno 2023,
enuncia il seguente principio di diritto: «La condizione di
procedibilità prevista dall'art. 5 d. lgs. n. 28 del 2010
sussiste per il solo atto introduttivo del giudizio e non
per le domande riconvenzionali, fermo restando che al
mediatore compete di valutare tutte le istanze e gli
interessi delle parti ed al giudice di esperire il tentativo
di conciliazione, per l'intero corso del processo e laddove
possibile».
Dispone la restituzione degli
atti al Tribunale di Roma.
Così deciso in Roma, nella
camera di consiglio del 21 novembre 2023.
Il Cons. estensore
Loredana Nazzicone
Il Presidente
Pasquale D'Ascola |
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