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L’ESECUTORIETÀ DEI TITOLI CONCILIATIVI DI NATURA NEGOZIALE | Nota Osservatorio
Costanza Acciai
È ormai da più di un decennio che i protagonisti del sistema giustizia, ma, a ben vedere anche la più vasta platea di coloro che alla giustizia debbano ricorrere, hanno familiarizzato con il termine “degiurisdizionalizzazione”.
L’orribile neologismo ha almeno il pregio di spiegarsi da solo e illustra l’intenzione, o meglio l’auspicio del legislatore di rendere possibile, anche fuori dai tribunali, l’incremento del numero dei titoli esecutivi, vale a dire l’aumento degli atti rappresentativi di un diritto di credito in qualche modo coercibile in caso di non spontaneo adempimento.
La tradizionale concezione della giustizia civile tranchante, come sistema basato sulla rigida applicazione delle regole, dovrebbe, nell’ottica dei più recenti interventi legislativi, fare un passo indietro, marcando l’inizio di un passaggio culturale dal sistema aggiudicativo a quello autocompositivo.
Il nuovo fenomeno dovrebbe segnare il tramonto del paradigma giudiziale vincente-perdente favorendo il sorgere di un nuovo modello cooperativo che abbandoni l’identificazione delle pretese fondate sull’applicazione di una regola generale di diritto, per giungere all’individuazione degli interessi sottostanti alle posizioni e all’elaborazione di una soluzione adatta ai veri bisogni delle parti.
Se però la principale sfida è rappresentata dalla necessità di far comprendere ad un pubblico il più largo possibile il significato dei nuovi strumenti di soluzione delle controversie civili, da intendersi non come mero strumento alternativo al giudizio, ma come opportunità ulteriori a disposizione dei cittadini, non come restrizione dell’accesso alla giustizia, ma come diversificazione degli strumenti destinati ad un’efficace tutela dei diritti, è proprio su questo ultimo concetto che si giocherà il successo delle riforme: la tutela che i cittadini riceveranno attraverso gli strumenti alternativi al giudizio civile dovrà essere efficace ed effettiva al pari di quella raggiunta attraverso i tradizionali sistemi giudiziari, senza rappresentare un ulteriore e inutile allungamento dei tempi di attesa che frustrano ormai in modo proverbiale le aspettative di chi alla giustizia civile debba far ricorso.
In altre parole, gli strumenti di soluzione alternativa delle controversie dovranno garantire ai cittadini sistemi di tutela più rapidi e altrettanto efficaci rispetto ai provvedimenti dei giudici civili.
È per tale motivo che il legislatore si è preoccupato di attribuire agli accordi negoziali che definiscono una controversia civile efficacia di titolo esecutivo.
E’ stato infatti opportunamente osservato che l’effettività della tutela, intesa in termini di conseguimento del bene della vita mediante un processo giusto, «assume un contenuto ancor più sostanziale e concreto, laddove (come accade con l’azione esecutiva,
per la tutela forzata di un diritto già consacrato in un titolo esecutivo, di formazione giudiziale o meno) l’oggetto da garantire non sia più l’adeguatezza modale del processo di cognizione e delle sue strutture, ma sia invece l’effettività delle forme e dei tempi in cui, nel susseguente processo di esecuzione, chi abbia ottenuto il riconoscimento del proprio diritto ne possa poi ottenere l’attuazione coattiva» 1
Sarebbe invero più corretto sostenere che la sequenza dei provvedimenti normativi che ha rinnovato la materia della conciliazione raggiunta in giudizio, quella raggiunta attraverso la mediazione professionale e, da ultimo, introdotto l’istituto della negoziazione assistita ha avuto essenzialmente di mira l’obiettivo di ampliare la rosa dei titoli esecutivi che possono formarsi in sede extragiudiziale.
È chiaro, peraltro, che le esigenze di effettività della tutela, manifestantesi soprattutto in termini di celerità nel conseguimento dell’esatta utilità costituente il bene della vita, vanno contemperate, nella piena attuazione dei precetti costituzionali, con le esigenze
del debitore che ha diritto ad un processo esecutivo rispettoso delle norme che lo regolano, ma anche giusto ed opportuno2.

1. I titoli stragiudiziali introdotti dalla legge 24 febbraio 2006, n. 52
In effetti già dopo le recenti modifiche apportate al processo civile nel 2006, era stata ampliata l’elencazione degli atti e dei provvedimenti aventi efficacia di titolo esecutivo.
Prima della novella erano titoli esecutivi, alla stregua dell’art.474 c.p.c.: le sentenze e i provvedimenti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva, le cambiali, gli altri titoli di credito e gli atti a cui la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia, gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli, ma solo limitatamente alle obbligazioni di somme di denaro in essi contenute.
Il legislatore, nel 2006, è intervenuto sul n.1) dell’art.474 c.p.c., facendo confluire in esso il riferimento agli altri atti cui la legge attribuisce efficacia esecutiva. In tal modo si è provveduto ad inserire, accanto ai titoli esecutivi di formazione giudiziale, anche quegli atti (come ad esempio i verbali di conciliazione), la cui natura giudiziale era contestata da parte della dottrina e per i quali si discuteva in ordine alla idoneità a dar luogo ad esecuzione diretta.
Mentre, infatti, in passato non si dubitava che il verbale di conciliazione giudiziale fosse titolo esecutivo idoneo all'esecuzione per le obbligazioni pecuniarie e per quelle di consegna e rilascio, secondo il testo letterale dell’art. 185,comma II, c.p.c., l’attribuzione di tale efficacia ha formato invece oggetto di un vivace dibattito per quanto riguarda l’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare.
Per la soluzione negativa si erano pronunciate sia la giurisprudenza di legittimità che quella di merito3, sia buona parte della dottrina4.
Quest’ultima, in particolare, traeva argomento dal testo letterale dell’art. 612 il cui esplicito riferimento alla sola sentenza di condanna portava ad escludere che l’esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare potesse trovare titolo in un verbale di conciliazione ancorché raggiunto sotto il controllo giudiziale, che si riteneva meramente certificativo ed esercitato in funzione di omologazione della volontà negoziale delle parti.
Altro argomento con cui si era negata l'idoneità del verbale di conciliazione ad essere considerato quale titolo ai sensi dell'art. 612 c.p.c. era rappresentato dal rilievo che solo un provvedimento del giudice possa contenere l'accertamento positivo della fungibilità - e quindi della coercibilità - dell'obbligo di fare;5
Secondo Mandrioli, infatti: « Non è compito del processo esecutivo lo stabilire se un diritto può essere eseguito coattivamente nella sua specificità... oppure se esso deve trasformarsi per essere eseguito. Ciò è invece compito del processo di cognizione, al termine del quale il diritto deve risultare accertato come eseguibile con le forme preordinate in astratto dalla legge, ma già determinate in concreto dalla pronuncia del giudice e che gli organi esecutivi debbono semplicemente attuare.»6
Sulla scorta di simili considerazioni si era altresì sostenuto che il verbale di conciliazione il cui contenuto trova il proprio parametro non in obiettive esigenze di coordinamento, ma esclusivamente nella volontà e nella capacità di previsione delle parti7, non garantisse il nesso tra il contenuto del titolo esecutivo, la concreta determinazione delle sue modalità esecutive e la necessaria continuità tra le due fasi attuative del diritto fatto valere.
Del resto, anche i titoli esecutivi di formazione giudiziale contemplati dall’art. 474 erano stati al centro di un vivace dibattito, per quello che attiene alla loro esecutorietà; basti pensare alle pronunce costitutive o alle cosiddette statuizioni di condanna implicita o, ancora, alle sentenze condizionate.8
La stessa nozione di titolo esecutivo è stata, per molti anni, al centro di un’accesa discussione diretta ad individuarne con certezza i caratteri distintivi. Senza ripercorrere tutta la vicenda, ci limitiamo a sottolineare che il titolo esecutivo costituisce la condizione necessaria e sufficiente, una volta effettuatane l’esibizione agli organi competenti, a legittimare l’esecuzione forzata; in buona sostanza, il titolo esecutivo è un documento che rappresenta il diritto cui si riferisce e, in sé, non richiede alcun ulteriore accertamento per l’attuazione coattiva del diritto rappresentato.
Chi agisce in sede esecutiva in ragione del possesso di un titolo non ha né l’onere di dedurre la vicenda che ha determinato la formazione del titolo, né l’onere di provare l’esistenza del diritto certo, liquido ed esigibile risultante dal titolo, essendo assorbita ogni questione a riguardo dallo stesso titolo esecutivo9.
Almeno in linea teorica, quindi, non sembra possibile ipotizzare una sorta di gerarchia dei tioli esecutivi in ragione del procedimento che li produce; in altre parole non si può sostenere che il possesso di un titolo esecutivo stragiudiziale provi meno di un titolo esecutivo di formazione giudiziale10

2. Gli effetti della cosa giudicata sull’esecutorietà dei titoli di formazione giudiziale.
È però sotto il profilo della possibilità di reazione del soggetto passivo dell’esecuzione ritenuta ingiusta che le differenze fra i due tipi di titolo esecutivo fanno sentire i loro effetti.
La sentenza e in genere i titoli di formazione giudiziale si producono nel corso o ad esito del processo civile di cognizione, preordinato alla pronuncia di una sentenza di merito i cui effetti sono destinati a divenire definitivi una volta che la stessa non possa più essere messa in discussione attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione, con conseguente passaggio in giudicato dell’accertamento del diritto che legittima l’esecuzione forzata.
L’opposizione all’esecuzione contro i titoli esecutivi di formazione giudiziale incontra pertanto solo due limiti, rispettivamente relativi agli effetti del giudicato e alla non permeabilità tra motivi di impugnazione e motivi di opposizione ex art. 615 c.p.c.
Sotto il primo profilo, secondo il noto principio per cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, l’opposizione contro il titolo esecutivo di formazione giudiziale non può fondarsi su fatti deducibili ( ma che non sono stati dedotti ) nel processo che ha dato luogo al giudicato.
In altre parole a fondamento dell’opposizione potranno essere fatti valere solo fatti modificativi o estintivi del diritto incorporato nel titolo, successivi e sopravvenuti al momento di formazione del giudicato sostanziale, ma non circostanze antecedenti questo momento.
Il principio della non permeabilità tra motivi di impugnazione e motivi di opposizione, comporta invece che l’invalidità o l’ingiustizia del provvedimento giurisdizionale non ancora passato in giudicato, ma munito di efficacia di titolo esecutivo, possa farsi valere esclusivamente attraverso i mezzi di impugnazione, mentre i fatti successivi, estintivi o modificativi del diritto fatto valere attraverso il titolo passato in giudicato, salvi i casi di impugnazione straordinaria, possano proporsi solo tramite opposizione all’esecuzione.
Ai sensi dell’art. 474, n. 1 c.p.c. sono altresì titoli esecutivi di formazione giudiziale i «provvedimenti, diversi dalla sentenza, emanati dal giudice ove la legge espressamente riconosca agli stessi l’efficacia di titolo esecutivo».11 Si tratta comunque di provvedimenti di formazione processuale nei quali il diritto è oggetto di accertamento (sia pur esso sommario o a formazione progressiva) ma, comunque coperto dal giudicato.
Anche per questi ultimi valgono le medesime considerazioni svolte a proposito delle sentenze.
In breve, posto che l’analisi dei titoli giudiziali concerne la materia trattata solo in via ancillare, al fine di marcare la differenza fra le diverse possibili specie di titoli esecutivi, potremmo dire che il diritto che forma oggetto del giudizio, una volta che il provvedimento
che conclude la controversia ne abbia sancito il riconoscimento e fondato su tale presupposto l’eventuale condanna del debitore, non richiede per la propria attuazione, in caso di non spontaneo adempimento, alcun altro accertamento formale o sostanziale.

3. I titoli di natura mista e i titoli negoziali di mediazione e negoziazione assistita.
Diversa la situazione per i titoli che taluni autori hanno chiamato di natura mista. Si tratta di quei titoli nei quali la manifestazione di volontà dei privati, che si esprime nella conciliazione, si combina con l’intervento del giudice, che secondo i casi, si limita a sottoscrivere insieme alle parti il verbale di conciliazione c.d. giudiziale, redatto in udienza (art.185, ult. comma, 185bis c.p.c.) ovvero con decreto, conferisce efficacia di titolo esecutivo al verbale sottoscritto dalle parti (art.696bis c. 3 c.p.c.).
Si tratta di titoli di natura negoziale, attraverso i quali le parti non si limitano o possono non limitarsi al mero riconoscimento del diritto controverso, avendo facoltà, in un’ottica conciliativa, di regolare fra loro rapporti diversi o ulteriori rispetto a quanto deducibile in giudizio attraverso il rapporto domanda-eccezione.
La Corte di Cassazione con sentenza 26 febbraio 2014 n. 4564 ha ribadito che «Per antico insegnamento (fin da Cass. 1 giugno 1968, n. 1655), sotto il profilo formale, il verbale di conciliazione giudiziale tra le parti non può avere gli effetti esecutivi di una sentenza passata in giudicato, ma solo quelli di un titolo contrattuale esecutivo ai sensi dell'art. 474, n. 3, cod. proc. civ.; e così, visto che la conciliazione è frutto dell'incontro della volontà delle parti, il relativo verbale, ancorché redatto con l'intervento del giudice a definizione di una controversia pendente, è ad ogni effetto un atto negoziale...infatti, l'intervento del giudice nel tentativo di conciliazione non altera, ove il medesimo riesca, la natura consensuale dell'atto di composizione che le parti volontariamente concludono (Cass. 18 luglio 1987, n. 6333)».
Ciò sta in pratica a significare che ogniqualvolta le parti intendano pervenire in via autonoma alla regolamentazione dei rispettivi interessi, sia in via preventiva, regolando gli aspetti fisiologici o patologici di una relazione, ovvero in via successiva, per dirimere una controversia fra di loro insorta, le questioni concernenti l’interpretazione della volontà delle parti, la corretta formazione di questa, la verifica della rispondenza delle previsioni contrattuali al regolamento voluto dalle parti, la situazione di equilibrio fra le prestazioni, non sfuggono ad un possibile controllo di merito da parte dell’autorità giudiziaria, da compiersi in sede di opposizione all’esecuzione ovvero in via di accertamento ordinario. A ciò non osta la circostanza che l’accordo di conciliazione giudiziale sia sottoscritto dalle parti dinanzi al Giudice che a propria volta lo sottoscrive, in quanto quest’ultimo per la sua istituzionale estraneità all’accordo e per l'impossibilità di correggere quanto univocamente rappresentato dalle espressioni letterali adoperate dinanzi a lui, non può compiere altra attività se non quella di controllo della legittimità e della meritevolezza degli accordi raggiunti.
La necessità di accelerare il soddisfacimento dei diritti, come detto, ha fatto sì che si sia avuta, nell’ultimo decennio, una progressiva moltiplicazione di titoli stragiudiziali: ciò ha comportato una maggiore circolazione di titoli esecutivi, nei confronti dei quali il primo ed unico controllo giurisdizionale, non solo sulla regolarità dell’esecuzione e dello stesso titolo esecutivo, ma sulla esistenza stessa del diritto sostanziale rappresentato nel titolo, si può avere soltanto nell’eventuale giudizio di cognizione che si apra a seguito dell’opposizione.
La l. n. 80/05 ha altresì integrato il 3° comma all’art. 474 precisando che l’esecuzione forzata per consegna o rilascio può avere luogo, non solo in virtù dei titoli esecutivi ricompresi al n. 1 dell’art. 474, ma anche in virtù dei titoli di cui al n. 3 dello stesso articolo. Viene così risolto il dubbio generato dalla precedente formulazione del n. 3 dell’art. 474, che aveva dato adito ad una interpretazione restrittiva dell’efficacia esecutiva degli atti formati dal notaio o dal pubblico ufficiale che, avendo ad oggetto obbligazioni di denaro, si ritenevano idonei a dare avvio al solo processo di espropriazione forzata, e non anche all’esecuzione per consegna o rilascio e di obblighi di fare o non fare.
Più esplicitamente, forse memore dei pregressi dubbi interpretativi, il legislatore della mediazione civile, anche attraverso la novella del 2013, è stato più esplicito nel delineare i campi di possibile efficacia del nuovo titolo di formazione negoziale.
Secondo l'art. 12 del decreto legislativo 28 del 4 marzo 2010, il verbale di avvenuta conciliazione, è titolo esecutivo quando tutte le parti sono assistite da un avvocato ed è sottoscritto da tutte le parti e dai rispettivi avvocati; esso costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, oltre che per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati, e non più il Tribunale attraverso l’omologa, attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.
La possibilità di rendere il verbale di conciliazione titolo esecutivo con la firma delle parti e dei loro avvocati, è stata introdotta con l’entrata in vigore del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 che ha ripristinato la mediazione civile quale condizione di procedibilità e modificato in alcuni punti il decreto legislativo 28/2010.
L’originaria formulazione dell’art. 12 del D. Lgs. N. 28 del 2010 aveva invece notoriamente demandato ai Tribunali il controllo sulla rispondenza dell’accordo raggiunto in sede mediazione sia ai requisiti formali imposti dalla legge sia della rispondenza del
contenuto del verbale alle norme imperative.
Sono ormai note alcune pronunce che, prima della novella del 2013, avevano negato l’omologazione a verbali raggiunti in sede di mediazione, come la sentenza Tribunale di Modica 9 dicembre 2011, che, ritenendo, sulla base del testo dell’art. 12 all’epoca vigente,
data la congiunzione “anche” contenuta nel comma 1, che il controllo del Tribunale dovesse avere ad oggetto sia i profili di carattere formale sia le eventuali violazioni dell’ordine pubblico e delle norme imperative, rigettava l’istanza di omologa di un verbale ove il mediatore non aveva dichiarato il suo legittimo status quale soggetto incluso nei ruoli di un organismo di conciliazione regolarmente registrato presso il Ministero della Giustizia; altrettanto note le pronunce di diversi Giudici di merito in ordine alla possibilità di trascrizione dei verbali di mediazione12
Il controllo di rispondenza alle norme imperative è invece oggi demandato alla competenza e alla responsabilità degli avvocati, che, dopo la recente conversione in legge del D.L. 12 settembre 2014 n. 132, vedono ampliata la loro sfera di competenza nella produzione dei titoli esecutivi indicati dalla legge ai quali fa riferimento l’art. 474 c.p.c.
Da ultimo, infatti, il D.L. 132 del 2014, convertito con alcune modifiche nella legge n.162 del 10 novembre 2014, ha introdotto una nuova disciplina che consente e, in alcuni casi espressamente stabiliti dalla legge, obbliga le parti a impegnarsi a negoziare per risolvere una controversia che riguarda diritti disponibili, senza o prima di passare per il processo civile.
Questa disciplina prevede l’assistenza obbligatoria di un avvocato ed è denominata convenzione di negoziazione assistita dall’avvocato.
L'accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo nonché titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.
In questo caso il legislatore è stato, ancora una volta, meno puntuale ed ha omesso di precisare i possibili oggetti di esecuzione del titolo raggiunto in sede di negoziazione, ma si deve ritenere che l’accordo stipulato ex art. 5 abbia il medesimo ambito esecutivo del titolo raggiunto in mediazione con l’assistenza degli avvocati.
Anche in questo caso sono gli avvocati che, oltre a certificare l'autografia delle firme, certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico.
In tutti i casi in cui l’accordo sia raggiunto dalle parti non assistite da avvocati, come accade nella mediazione svolta con l’ausilio del solo mediatore, è necessario invece che l’accordo sia allegato al verbale, e, su istanza di parte, sia omologato dal tribunale perché possa costituire titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica, oltre che per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Dalla panoramica che precede emerge con chiarezza come non solo l’orizzonte dei titoli di formazione stragiudiziale si sia decisamente ampliato negli ultimi anni, ma risulta altresì evidente come l’ordinamento abbia inteso rinunciare al controllo di rispondenza dell’accordo alle norme inderogabili e ai principi di ordine pubblico da parte della magistratura, demandandolo alla competenza e all’accordo degli avvocati che assistono le parti.
Non poche le critiche verso i governi che secondo i detrattori hanno favorito una giustizia privata, consegnando il contenzioso civile nelle mani degli avvocati13 , ma, fuori da ogni polemica, appare altamente probabile che, in assenza di un qualsiasi controllo giudiziale sulla formazione del titolo, la possibilità di muovere contestazioni contro un titolo esecutivo di natura stragiudiziale sia certamente più ampia.
Ora, sostenere che l’auspicio di deflazionare il contenzioso civile attraverso la moltiplicazione dei titoli esecutivi di natura stragiudiziale avrà come unico esito quello di spostare il teatro del contenzioso civile dalle alule del giudice del merito alle aule del giudice dell’esecuzione, può suonare disfattista, ma appare invece realistico ritenere che molti dei titoli esecutivi di formazione stragiudiziale porranno una serie di problemi di concreta eseguibilità, richiedendo, in non pochi casi, il ricorso alla giustizia ordinaria per accertamenti supplementari in ordine ai presupposti previsti ovvero alle condizioni poste dalle stesse parti per l’efficacia del diritto rappresentato nel titolo.
Il problema, già prima della novella del 2006, si era posto con riguardo all’arbitrato irrituale14 ; la giurisprudenza aveva ritenuto il lodo irrituale come un contratto tra le parti sancendo che l’eventuale efficacia esecutiva conferita nei casi previsti dalla legge non privasse le parti della possibilità di impugnarne il contenuto dinanzi al giudice ordinario di primo grado. L’art.808ter c.p.c., che nel 2006 ha finalmente normato l’istituto, ha definitivamente sancito che il giudice competente a decidere sull’impugnazione del lodo contrattuale, è il giudice ordinario secondo le regole di cui al libro primo del codice di rito15.
La decisione degli arbitri irrituali ha peraltro, secondo la nuova norma, valore esclusivamente contrattuale, con la conseguenza che, per il lodo contrattuale, vista la sua natura negoziale, non è possibile il deposito e la dichiarazione di esecutorietà16. La collocazione sistematica della norma che disciplina un istituto sostanziale nel codice di rito si giustifica per l’effetto della convenzione di arbitrato irrituale di rinuncia temporanea alla tutela giurisdizionale.
Tuttavia, il legislatore ha progressivamente consentito che gli strumenti negoziali di definizione delle controversie ricevessero esecutorietà, abdicando gradualmente al controllo di legittimità del loro contenuto anche solo attraverso il procedimento di omologazione.

4. L’esecuzione forzata dei verbali di mediazione e degli accordi conclusi in sede di negoziazione assistita dagli avvocati.
Ora, pur se parlare di efficacia esecutiva di un accordo volto a risolvere una controversia, e della successiva esecuzione forzata, possa apparire in contrasto evidente con lo spirito della mediazione o della negoziazione, e con ogni processo che in genere conduce i litiganti alla sottoscrizione di un accordo conciliativo, si ritiene che da un lato ben possano verificarsi esempi nei quali eventi successivi conducano le parti a dover ricorrere, nonostante l'apparente raggiungimento di un accordo, ai mezzi esecutivi offerti dall’ordinamento giudiziario, mentre, dall’altro, possano ravvisarsi nello stesso accordo i profili patologici tipici di un contratto, ad esempio relativamente alla nullità ed all'annullabilità.
Si deve rilevare, infatti, come la circostanza che gli accordi conciliativi raggiunti in sede di mediazione o di negoziazione assistita siano oggi muniti di efficacia esecutiva al pari degli accordi di conciliazione giudiziale ovvero di quelli soggetti all’omologa dei tribunali, non priva i primi così come non ha privato i secondi della loro natura eminentemente negoziale di accordi nei cui confronti rimangono esperibili tutte le azioni ed eccezioni di merito esperibili riguardo ai contratti.
La soluzione è relativamente semplice quando l’accordo conciliativo definisce e disciplina un unico rapporto fra le parti, quello, appunto, che ha formato la cosiddetta res litigiosa: in questo caso, infatti, l’inadempimento agli obblighi che le parti assumono
nell’accordo di conciliazione-titolo esecutivo può fondare il legittimo ricorso all’esecuzione forzata (con le eventuali opposizioni previste dal codice di rito) , mentre, per altro verso, si potrà procedere all'impugnazione dinanzi al giudice ordinario attraverso gli ordinari strumenti di impugnativa negoziale esperibili nei confronti del contratto di transazione ed elencati agli artt. 1969 ss. c.c.
I problemi si presentano invece quando le parti dell’accordo negoziale, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, hanno dato vita, sempre al fine di dirimere la controversia, a rapporti diversi o ulteriori rispetto alla situazione che ha originato la lite, proprio in virtù di quelle attività e capacità negoziali attinenti alla creazione del cosiddetto valore aggiunto che sono caratteristiche dell’attività di mediazione e negoziazione.
Spesso sono gli stessi negoziatori o i terzi neutrali che, presi da quella che potremmo definire euforia conciliativa, dimenticano di indicare o consigliare alle parti l’adozione di quelle cautele fondamentali che, anche nella stesura di un normale contratto, vengono di norma adottate a salvaguardia di possibili criticità future del rapporto.
Con altrettanta frequenza, tuttavia, si assiste all’eccesso opposto, vale a dire a una superfetazione di clausole risolutive, obblighi di restituzione o riconsegna, decadenze dai termini, previsioni di penali decisamente sproporzionate, che creano ulteriori problemi attuativi e interpretativi dell’accordo-titolo anche in sede di esecuzione forzata.
Qualora l’efficacia dell’accordo sia subordinata ad un adempimento ovvero a un inadempimento ulteriore e diverso rispetto a quello dedotto in lite si potrà ritenere che l’accordo mantenga la propria efficacia di titolo esecutivo in difetto dell’accertamento da parte del giudice ordinario dell’adempimento/inadempimento successivo? Se le parti intendono recuperare un rapporto contrattuale squilibrato da un ritardato adempimento, stabilendo un rinnovo degli obblighi originari in termini ulteriormente dilazionati quali saranno le conseguenze di un ulteriore ritardo? Il verbale o l’atto negoziale di accordo potranno costituire valido titolo per ottenere la restituzione delle somme versate dalla parte adempiente in difetto di un nuovo accertamento?
Ritenere che la tutela di simili situazioni sia confinata al ristretto ambito dell’opposizione all’esecuzione, significherebbe porre in secondo piano l’interesse di almeno una delle parti che, in ipotesi, potrebbe essere titolare di un diverso e autonomo interesse all’adempimento di obbligazioni dedotte nel medesimo verbale e non strettamente attinenti alla res litigiosa.
Si possono considerare alcuni esempi concreti nei quali si sono posti più che ragionevoli dubbi in ordine agli strumenti di tutela cui fare ricorso: in sede di mediazione le parti avevano convenuto che un ritardato adempimento delle prestazioni di un contratto di appalto di servizi fosse compensato attraverso una particolare scontistica da applicarsi su di un appalto alla cui futura stipula le parti si obbligavano; ricevuto quindi l’integrale pagamento delle tardive prestazioni, l’appaltatore aveva però opposto un netto rifiuto alla
stipula del nuovo contratto di appalto. In un secondo caso, attinente però ad un appalto di lavori, le parti si erano contestate reciproci inadempimenti in merito alle tempistiche dei s.a.l., ed alla conseguente sospensione dei lavori: in sede di mediazione le stesse avevano convenuto che l’appaltatore incamerasse a titolo di acconto le somme già ricevute e riprendesse le opere nel termine di 30 giorni, dettagliando tempi e modalità dei s.a.l. successivi, ma l’appaltatore non aveva ripreso i lavori, trattenendo le somme già versate dal committente.
È noto che una mediazione di successo è affidata alla capacità del mediatore di indurre le parti a considerare il loro conflitto da prospettive diverse, creando situazioni, anche differenti dall’oggetto del contendere, che rappresentino un valore aggiunto per ciascuna di esse, con reciproco vantaggio.
In un simile contesto l’attività esplicata dalle parti si traduce sul piano negoziale in un esercizio di autonomia contrattuale che incontra esclusivamente i limiti di cui all’art. 1322 c.c.; ma anche se il sistema offre alle parti gli strumenti normativi per rendere il contratto il più possibile autosufficiente, selfregulatory17 per usare la più calzante terminologia anglosassone, appare assurdo prevedere che il contratto concluso in sede di mediazione possa contenere in sé tutti gli elementi che consentano di eseguirne forzosamente le prestazioni in caso di non spontaneo adempimento.
Si dovrebbe così assistere ad una sorta di sdoppiamento della valenza dell’accordo di mediazione o di negoziazione assistita che in parte potrebbe costituire titolo esecutivo di formazione negoziale e, in altra parte, dovrebbe formare oggetto, in caso di conflitto, di un giudizio ordinario.
Allo stato dell’arte appare quindi eccessivamente ottimistico parlare degli strumenti di soluzione alternativa delle controversie o, come io preferisco definirli, strumenti di giustizia complementare, in termini di degiurisdizionalizzazione, e si ritiene che l’attesa degli effetti benefici delle recenti riforme passi il vaglio della giurisprudenza e, soprattutto la diffusione di una cultura della mediazione ancora agli esordi18. Al momento si può soltanto affermare che la solidità degli accordi raggiunti in sede stragiudiziale dipende, in massima parte, dalla competenza del mediatore o del tecnico che assista le parti in negoziazione anche riguardo alle possibili patologie dei rapporti che scaturiscono dall’attività negoziale di mediazione.

5. Il problema delle clausole penali e degli altri strumenti selfregulatory
Peraltro anche simili competenze possono rivelarsi foriere di problemi ulteriori che richiedano, in via di opposizione all’esecuzione, ovvero in via di pronunzia ordinaria l’intervento della magistratura proprio rispetto a quegli strumenti negoziali che consentono di stabilire una regolamentazione autonoma dei diritti delle parti, in previsione dei casi di anomalie e disfunzioni che ostacolino o impediscano il regolare funzionamento del rapporto che nasce dall’accordo conciliativo.
Un primo problema si pone con riguardo alle clausole penali che le parti sono in genere libere di prevedere e che nel caso della mediazione civile sono previste dallo stesso decreto legislativo che la disciplina.
Nell’ultima parte del terzo comma dell’art. 11 D.Lgs. 28/2010 il legislatore ha in 10 effetti previsto la possibilità di inadempimenti successivi all’accordo di mediazione, stabilendo che l'accordo raggiunto, anche a seguito della proposta del mediatore , possa prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento. Rimane comunque il dubbio in ordine al soggetto che possa stabilire se un ulteriore inadempimento si sia verificato e se lo stesso possa ritenersi grave ed essenziale nell’economia generale dell’accordo, avuto riguardo all’interesse delle parti. L’incertezza potrebbe risolversi con l’attribuzione al giudice dell’esecuzione del potere di accertamento, in sede di eventuale opposizione all’esecuzione, di quanto attiene agli obblighi che rappresentano condizione esplicita o implicita ovvero fissano termini per l’esigibilità del credito rappresentato nell’ accordo-titolo esecutivo. Le obbligazioni attinenti invece a rapporti che non influiscono
sull’esigibilità del credito restano invece destinate alla cognizione del giudice ordinario.
Rimane, tuttavia, in entrambi i casi, il problema relativo all’eventuale riduzione di somme palesemente eccessive rispetto all’interesse delle parti.
In primo luogo, il problema si pone con riferimento alla possibile efficacia di titolo esecutivo del verbale riguardo alla previsione di una penale in assenza di una pronuncia accertativa dell’inadempimento della parte a carico della quale questa è posta. Sono molti gli autori che hanno criticato l’assimilazione delle clausole penali contenute in un verbale di conciliazione alle cosiddette astreintes, paragonando la disposizione del decreto alla misura prevista dall’art. 614 bis c.p.c., proprio perché la norma da ultimo citata si accompagna ad un provvedimento di condanna quale evidentemente non può essere un verbale di mediazione. Appare dunque logico che la parte che dovesse subire esecuzione per il pagamento degli importi derivanti dalla pretesa applicazione della penale prevista dall’accordo possa contestare il diritto della parte istante a procedere ex art. 615 c.p.c., ma non sembra possibile escludere che la parte che abbia interesse ad un accertamento circa la sproporzione in eccesso della penale possa chiederne la riduzione in via ordinaria.
Altra questione è quella derivante dalla possibilità di considerare il verbale di conciliazione ad esito di mediazione quale contratto di transazione, con conseguente applicabilità del limite previsto dall’art. 1970 c.c.
In un caso esaminato dalla Corte di legittimità con riguardo ad un arbitrato irrituale, l’arbitro incaricato di redigere il cosiddetto biancosegno aveva inserito nel lodo anche una clausola penale; l’importo della penale era stato ridotto ex art. 1384 c.c. dai giudici di merito e la pronunzia era stata impugnata dinanzi alla Suprema Corte. Con la sentenza 6.2.1987 n.1209, la Corte di legittimità, pur riconoscendo la natura transattiva del lodo per biancosegno, statuì che tale natura dell’atto non inibiva la riduzione della penale, ritenendo pacifico che eguale potere spetti al giudice qualora siano le parti a stabilire i contenuti di un contratto transattivo. La Corte ritenne infatti che il potere di riduzione della penale palesemente eccessiva non sia impedito dalla circostanza che la transazione non è impugnabile per causa di lesione: «A prescindere dalla non assimilabilità della fattispecie della lesione ultra dimidium (caratterizzata anche dall’approfittamento dello stato di bisogno in cui versava una delle parti nel momento della formazione del contratto) a quella dell’eccessività della penale (nella quale assume rilevanza giuridica il mero aspetto quantitativo, sia pure con riguardo all’interesse che il debitore aveva all’adempimento) deve escludersi che il divieto di impugnare la transazione per possa estendersi in via analogica alla domanda di riduzione della penale causa di lesione». In effetti, ai sensi dell’art. 14 disp. Att. C.C., la norma di cui all’art.1970 c.c. non appare suscettibile di interpretazione analogica in quanto norma dall’evidente carattere eccezionale.
Ora si è già detto delle differenze fondamentali che intercorrono fra il lodo contrattuale e l’accordo di mediazione o negoziazione assistita, non si ritiene tuttavia che la maggiore efficacia di cui il legislatore ha inteso dotare questi ultimi due strumenti, sia tale da sottrarre l’autonomia contrattuale che le parti esercitano nelle rispettive sedi ad ogni possibilità di controllo giudiziario.
Quale finale considerazione, non pare inutile rammentare il favor espresso dalla Suprema Corte per il controllo giudiziale dell’autonomia privata con la nota sentenza SS.UU. 18128/2005. Nella composizione di un annoso contrasto giurisprudenziale ancora formatosi sul tema di riducibilità ex art. 1384 c.c. della penale, la Suprema Corte ha privilegiato l’orientamento secondo il quale il potere del giudice di ridurre la penale manifestamente eccessiva risponde ad una funzione oggettiva di controllo dell’autonomia privata – in sintonia con il principio costituzionale di solidarietà, riferibile anche ai rapporti negoziali, e con la clausola di buona fede, inerente anche alla fase della formazione del contratto – e può di conseguenza essere esercitata d’ufficio, anche in difetto di istanza della parte interessata. (Cass. civ., Sez. I, 24/09/1999, n.10511). Si è trattato di una scelta di posizione netta, che vede l’autonomia contrattuale in posizione recessiva rispetto agli interessi superiori dell’ordinamento, che il giudice deve in ogni caso, e quindi anche d’ufficio, tutelare.
Analoghi problemi potranno presentarsi in ordine ai verbali di conciliazione che prevedano la prosecuzione di un rapporto contrattuale, interrotto a causa del preteso inadempimento di una delle parti e ripreso, ad esito della mediazione, con connotazioni
diverse (es. nuovi termini di adempimento, nuovi obblighi reciproci, diversi oggetti contrattuali etc.). Sarà certo possibile che inadempimenti ulteriori vengano a privare la parte adempiente di qualsiasi interesse all’ulteriore prosecuzione del rapporto.
In simile caso, l’esecuzione dell’obbligo di fare dovrebbe cedere il passo alla risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. essendo, comunque sempre possibile che la parte non soddisfatta nel proprio interesse opti per la cessazione di ogni rapporto contrattuale con il partner negoziale.
Nel difetto di previsione o della ricorrenza dei presupposti per l’applicabilità di uno dei rimedi risolutivi di diritto (diffida ad adempiere, clausola risolutiva espressa o termine essenziale) la parte che ha interesse alla risoluzione dovrà proporre domanda intesa ad accertare la gravità dell’inadempimento nell’economia generale dell’accordo; si dubita che un simile accertamento possa rimanere confinato nei limiti dell’opposizione.
Ma anche qualora le previsioni del negozio conciliativo possano condurre alla sua risoluzione automatica, il titolo che preveda l’originaria sopravvivenza del rapporto negoziale potrà essere ritenuto non sufficiente a legittimare un’azione esecutiva per la restituzione di caparre o acconti versati in vista dell’adempimento non verificatosi.
È evidente che l’abilità dei tecnici che assistono le parti nelle mediazioni o negoziazioni civili, dovrà mantenere viva l’attenzione del negoziato su tutti gli strumenti che ne garantiscono l’efficacia in termini di esecutorietà ed effettività, consigliando il ricorso a tutti quegli strumenti contrattuali che tendano a rendere l’accordo completamente autonomo anche in termini di esecutorietà per il caso di inadempimento.
Si tratterà non solo di prevedere casi o facoltà di risoluzione di diritto dell’accordo, ma anche di prevederne le conseguenze ulteriori come obblighi di restituzione, penali o clausole liquidated damages19 , che consentano alle parti di poter porre in esecuzione il titolo, senza necessità di ulteriore attività di accertamento dei diritti rappresentati dal titolo.
Sarà comunque possibile che nel caso in cui dal verbale di conciliazione o dall’accordo negoziale assistito sorga una nuova lite tra le parti, queste avvertano l’esigenza di fare ricorso alla giustizia togata o comunque tranchante, sia in sede di opposizione all’esecuzione che in sede interpretativa della volontà negoziale espressa attraverso la loro autonomia negoziale.
L’esercizio dell’autonomia contrattuale da parte dei privati incontra limiti generali e ben definiti, limiti che devono essere salvaguardati nell’interesse generale dal giudice. A tale salvaguardia non si ritiene possa sottrarsi quell’espressione di autonomia privata, facilitata dalla mediazione o dalla negoziazione assistita, che si esprime nell’accordo di conciliazione.

6. Titoli negoziali di conciliazione e “formula esecutiva” prima e dopo la riforma Cartabia.
Come è noto, il I° co. dell’art 11 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 prevede che “Se e’ raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale e’ allegato il testo dell’accordo medesimo”.
L’art. 12 del medesimo decreto, nella versione successiva alla L. 9 agosto 2013, n. 98, ha disposto che “Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. L’accordo di cui al periodo precedente deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’art 480, secondo comma del codice di procedura civile. In tutti gli altri casi – (nelle materie nelle quali la mediazione non rappesenta condizione di procedibilità della domanda e non vi è la presenza dell’avvocato) – l’accordo allegato al verbale e’ omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico”.
L’art. 5 della L. 134/2014 sembra voler limitare l’ambito di esecutorietà dell’accordo raggiunto in negoziazione assistita limitandosi a stabilire che “1. L'accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.”; la più sintetica disposizione ha lasciato molte perplessità riguardo alla possibilità di questo accordo di rappresentre titolo per l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, rispetto alla più ampia elencazione del D.lgs 28/2010.
Si è infatti ritenuto da alcuni che la più ampia dizione dell’art. 5 cit. estenda la portata del titolo alla esecutorietà di tutte le pattuizioni possibili in negoziazione assistita, laddove altri hanno inteso la non troppo felice formulazione legislativa da interpretarsi in senso restrittivo, specie dopo le recenti pronunce della Corte di Cassazione sulla possibilità di trascrivere il titolo in assenza di autenticazione da parte di un pubblico ufficiale.20
L’art 474 del codice di rito, dopo aver previsto che l’esecuzione forzata possa avere inizio soltanto “in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo liquido ed esigibile” elenca i titoli esecutivi, che, oltre alle sentenze, sono gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva.
Il verbale di conciliazione e l’accordo ad esso allegato così come l’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita sottoscritto dalle parti e dagli avvocati costituiscono dunque titolo esecutivo ex lege ( art. 123 D.Lgs 28/2010 , art.5 L.132/2014) , rientrando senza dubbio nel novero de “gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva”.
Si era dunque posto, prima dell’ultima riforma21 , il problema della necessità dell’apposizione della formula esecutiva in calce ai titoli conciliativi di natura negoziale.
Si era dunque pervenuti alla conclusione che simili titoli, esecutivi ex lege, non necessitassero della formula in ragione della perfetta simmetria che si riscontrava tra l’art. 474 e l’art 475 del c.p.c.
Prima della riforma l’art 475 c.p.c. stabiliva infatti la necessità dell’apposizione della formula solo per alcune delle categorie dei titoli esecutivi menzionati dall’art 474 c.p.c..
In particolare l’art. 475 c.p.c. menzionava fra tali atti:
– Le sentenze e gli altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria
– Gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli.
Non vi era alcun riferimento a gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva.
La circostanza che l’art 475 c.p.c., non menzionasse espressamente questi ultimi titoli ha portato a ritenere che l’apposizione della formula esecutiva non fosse per essi necessaria per poter agire in esecuzione.
Tale interpretazione è stata suffragata altresì dalla lettura della disposizione di cui all’art. 5 commi 2-bis e 4-bis del D.L. 132/2014 convertito in L. 162/2014; i commi in questione prevedendo che l’accordo di conciliazione debba “essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’art. 480, secondo comma, del codice di procedura civile.” Regolano i verbali di accordo raggiunti in mediazione o in negoziazione in modo analogo a quanto avviene per l’assegno e la cambiale, per i quali è sufficiente riportare il tenore letterale del titolo nel corpo del precetto, unitamente alla dichiarazione di conformità da parte dell’ufficiale giudiziario.
Diverso discorso valeva per i casi richiamati dall’art. 12, ove si era necessaria l’omologa del Presidente del Tribunale.
In questi casi si è infatti ritenuto che fosse necessario fare apporre la formula esecutiva sul decreto di omologa del Presidente del Tribunale.
Oggi, L’articolo 475 c.p.c., rubricato “Spedizione in forma esecutiva”, è stato sostituito dal nuovo articolo 475, intitolato “Forma del titolo esecutivo giudiziale e del titolo ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale”, il quale prevede che, per valere come titolo per l’esecuzione forzata, le sentenze e gli altri provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale debbano essere formati in copia attestata conforme all’originale. Sparisce anche riguardo ai detti titoli ogni formula sacramentale, così come l’intera disciplina relativa alla spedizione in forma esecutiva.
L’apposizione della formula esecutiva era finalizzata a garantire un controllo preliminare rispetto al procedimento di esecuzione forzata sulla legittimità formale dell’azione esecutiva e del titolo esecutivo nonché a garantire che potesse circolare solamente una copia del documento - titolo esecutivo, quindi l’esistenza di un’unica copia utilizzabile ai fini esecutivi.
A tal fine si attestava sull’originale del titolo (da parte dell’Ufficiale giudiziario o del Notaio, a seconda dei casi) il rilascio di una copia munita della formula che lo stesso pubblico ufficiale provvedeva a redigere.
La spedizione in forma esecutiva consisteva in un controllo preliminare meramente formale, il pubblico ufficiale analizzava il diritto sostanziale portato dal titolo sotto il profilo della certezza liquidità ed esigibilità.
L’art 479 c.p.c dispone oggi che “Se la legge non dispone altrimenti, l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in copia attestata conformeall’originale e del precetto. La notificazione del titolo esecutivo deve essere fatta alla parte personalmente a norma degli artt. 137 e seguenti. Il precetto può essere redatto di seguito al titolo esecutivo ed essere notificato insieme con questo, purché la notificazione sia fatta alla parte personalmente.
Anche se la nuova formulazione degli artt. 475 e 479 c.p.c. ha dato adito ad alcuni dubbi, si ritiene che il cambiamento non abbia travolto il sistema previgente riguardo ai titoli conciliativi di natura negoziale.
Sarà sempre l’ODM a dover rilasciare agli Avvocati, nel caso della mediazione e saranno sempre gli Avvocati a munirsi, nel caso della negoziazione assistita, di un doppio originale dell’accordo.
Proprio per questo motivo, è necessario che l’Organismo di mediazione rilasci ad ogni parte del procedimento l’originale del verbale di mediazione ed il relativo accordo, indicando in calce al verbale stesso le copie originali che vengono rilasciate.
Analogamente, gli Avvocati che attestano la conformità alle norme di ordine pubblico della negoziazione dovranno dichiarare il numero degli originali sottoscritti.
Potrebbero, comunque, presentarsi problemi nei casi nei quali le procedure di mediazione vengano svolte in videoconferenza come espressamente oggi disciplinato dalla Riforma Cartabia con l’introduzione nel D.lgs. 28/2010 dell’art. 8 bis, in quanto il verbale di mediazione non potrà essere sottoscritto in originale.
Dispone ai commi 3-5 l’art. 8 bis del D.Lgs. 28 2010 che “A conclusione della mediazione il mediatore forma un unico documento informatico, in formato nativo digitale, contenente il verbale e l’eventuale accordo e lo invia alle parti per la sottoscrizione mediante firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata. Nei casi di cui all’articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata dal giudice, il documento elettronico è inviato anche agli avvocati che lo sottoscrivono con le stesse modalità.
Il documento informatico, sottoscritto ai sensi del comma 3, è inviato al mediatore che lo firma digitalmente e lo trasmette alle parti, agli avvocati, ove nominati, e alla segreteria dell’organismo.
La conservazione e l’esibizione dei documenti del procedimento di mediazione svolto con modalità telematiche avvengono, a cura dell’organismo di mediazione, in conformità all’articolo 43 del decreto legislativo n. 82 del 2005.

Ciascuna delle parti dovrebbe quindi ricevere un “duplicato informatico” del verbale che, ai sensi dell’art. 23 CAD (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82) ha il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui è tratto. Si tratta di un duplicato del documento “nativo digitale”.
Il secondo comma della norma da ultimo citata stabilisce che Le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti linee guida, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui sono tratte se la loro conformità all'originale, in tutti le sue componenti, è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta.
Cosa accade quindi in caso di necessità, a fini esecutivi, di notifica del titolo negoziale conciliativo ottenuto in sede telematica?
Si rietiene che, anche dopo la riforma, non si possa prescindere dalla trascrizione integrale dell’atto nel corpo del precetto, pena la nullità di quest’ultimo.
La conformità dell’atto rescritto all’originale dovrà inve ce avvenire da parte del Difensore della parte che intende procedere all’esecuzione.
Infatti la riforma, abrogando l’art. 16-bis del decreto-legge n.179 del 2012 ha inserito nuove norme sui «depositi telematici» nelle disposizioni di attuazione del c.p.c. e conseguentemente ha inciso sul potere di certificazione da parte del difensore.
E’ stato inserito difatti un nuovo titolo, il V-ter che introduce le disposizioni relative alla giustizia digitale.
In particolare il Capo II disciplina la conformità delle copie agli originali come segue:
- dagli artt. 196 octies e novies viene riconosciuto in capo al difensore un potere di certificazione delle copie degli atti e dei provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico o allegati alle comunicazioni e notificazioni di cancelleria, sia nel caso in cui se ne estragga copia sia laddove si depositino all’interno del fascicolo stesso provvedimenti o atti.
- l’art. 196 decies prevede poi che il difensore, quando trasmette all'ufficiale giudiziario con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto, di un provvedimento o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attesti la conformità della copia all'atto detenuto.
La copia munita dell'attestazione di conformità equivale all'originale o alla copia conforme dell'atto, del provvedimento o del documento
 

 
 1 Cfr. STORTO Esecuzione forzata e diritto costituzionale di difesa in www. Cortecostituzionale.it /documenti.
2 Ibidem. Nonché BOVE , L’esecuzione ingiusta 1996, ivi cit.
3 Cass. 13 gennaio 1997, n. 258; Cass. 24 maggio 1955, n. 1531; Cass. 13 ottobre 1954, n. 3637; App. Trento 21 maggio 1999, in Gius 1999, p. 2585
4 DENTI, L’esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1953; MAZZAMUTO, L’esecuzione forzata, Torino, 1998; VACCARELLA, L’esecuzione forzata dal punto di vista del titolo esecutivo Torino 1993;
5 Cass. 14 dicembre 1994, n. 10713; MANDRIOLI, p. 557
6 MANDRIOLI Corso di diritto Processuale Civile vol III pag. 19 ,1991
7 BORRÈ, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, Napoli, 1966
8 Cfr. Cassazione civile , sez. II, sentenza 21.10.2011 n° 21896; CARRATTA, Sentenza di divorzio e domanda di condanna «condizionata», in Fam. e dir., 2005, 37 ss.; ZUFFI, Sull’incerto operare del fenomeno condizionale nelle sentenze di accertamento e di condanna, in Riv. trim dir. proc. civ., 2006, 991 ss. Donzelli Sulla condizione di adempimento nella sentenza ex art. 2932 c.c. in www. Treccani.it
9 Così VERDE- CAPPONI, Profili del processo civile, III, Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli, 1998, 38.
10 10 Cfr. CHIOVENDA, L’azione nel sistema dei diritti, in Saggi di diritto processuale, I, Roma, 1930, 37 e ss., secondo il quale, ai fini dell’esecuzione, l’accertamento contenuto nel titolo esecutivo stragiudiziale sarebbe dalla legge considerato equipollente all’accertamento giudiziale
11 Sono altresì titoli esecutivi di formazione giudiziale, diversi dalla sentenza di condanna: il decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo in via provvisoria ex art. 642 c.p.c., ovvero per mancata opposizione o inattività dell’opponente ai sensi dell’art. 647 c.p.c., o ancora in pendenza di opposizione ex art. 648 c.p.c., o se l’opposizione è rigettata con sentenza oppure è dichiarata con ordinanza l’estinzione del processo 653 c.p.c.; alle ordinanze di pagamento delle somme non contestate di cui agli artt. 186 bis e 423, 1° e 3° comma e all’ordinanza di ingiunzione ex art. 186 ter c.p.c.; all’ordinanza di condanna provvisionale di cui all’art. 423, 2°, 3° e 4° comma; all’ordinanza di convalida di sfratto ex art. 663 c.p.c. e all’ordinanza immediata di rilascio ex art. 665 c.p.c.; al decreto di trasferimento del bene espropriato (art. 586 c.p.c.); nonché i c.d. provvedimenti-semplificati esecutivi,provvedimenti emanati al termine di procedimenti sommari, l’ordinanza di rilascio ex art. 30, l. 2 7 luglio 1978, n. 392; il decreto con cuiil tribunale dichiara esecutivo il verbale di conciliazione in materia di lavoro ai sensi degli artt. 411, 3° comma e 412 , 1° comma; i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei coniugi e della prole emanati dal presidente del tribunale nei giudizi di separazione e di divorzio ai sensi degli artt. 708, 3° comma, 189 disp. att. e 4, 8° comma, l. 898/1970; l’ordinanza con cui il giudice istruttore dichiara esecutivo il progetto di divisione ai sensi dell’art. 789, 3° comma; il decreto di cui all’art. 148 c.c.,al d ecreto di cui all’art. 28, l. 300/1970; all’ordinanza di condanna a pene pecuniarie(art. 179 c.p.c.); il decreto con cui si liquida il compenso del consulente tecnico(art.11, 4° comma, l. n. 319/80); il decreto con cui sono liquidati i compensi del custode e degli ausiliari del giudice (art. 53 disp. att. c.p.c.), e le indennità ai testimoni (art. 179 c.pc.); il decreto che liquida le spese dell’esecuzione per consegna e rilascio (art. 611 c.p.c.), il decreto con cui il tribunale dichiara esecutivo il lodo arbitrale ai sensi dell’art. 825, 3° comma; il provvedimento inaudita altera parte con cui il giudice italiano dichiara esecutiva in Italia una decisione straniera ai sensi degli artt. 31 e ss. della Convenzione di Bruxelles del 1968 (ma vedi ora l’art. 38 ss. reg. CE 44/2001) o della Convenzione di Lugano del 1988.
12 Cfr. Tribunale di Como Sez.dist. Cantù ord 2.2.2012; Tribunale di Palermo Sez. dist. Bagheria, ord. 30.12.2011 ; Tribunale di Roma Sez. V, decreto 6 – 22.7.2011), Tribunale di Varese ordinanza 20.12.2011
13 Cfr. LONGONI, la giustizia in mano agli avvocati Italia Oggi 8 settembre 2014.
14 Cass. civ. sez. lav., 17 agosto 2004, n. 16049, cit.; Cass. civ., sez. I, 18 maggio 2004, n. 9293, cit.5; Cass. civ., sez. lav., 26 marzo 2004, n. 6113, in Giust. civ. Mass., 2004, p. 3
15 Si veda Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza del 21 luglio 2010, n. 17114, in Guida al Diritto, 2010, 46, pag. 82, dove si spiega che nell’arbitrato rituale le parti intendono pervenire alla pronuncia di un lodo suscettibile di esecutività onde produrre gli effetti di cui all’articolo 825 c.p.c., con l’osservanza del regime formale del procedimento arbitrale. Invece, nell’arbitrato irrituale le parti intendono affidare all’arbitro la soluzione di una lite mediante uno strumento strettamente negoziale ovvero una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibili alla loro volontà, impegnandosi, per l’effetto, a considerare la decisione degli arbitri quale espressione di tale personale volontà.
16 Cass., 27.3.2007, n. 7525, in Foro it. Mass., 2007, 753
17 Cfr. F. CAFAGGI Self-regulation in european contract law, European journal of legal studies , issue 1.
18 L’effetto deflattivo del contenzioso ad esito dell’inserimento dei sistemi di Alternative Dispute Resolution, è oggi maggiormente avvertito nei paesi di Common Law, dove la cultura della mediazione è certamente più radicata; per un’interessante analisi cfr. BIANCONE-SOLAZZI La mediazione nei diversi ambiti internazionali.
19 Cfr. PERRELLA Le clausole penali nel commercio internazionale in www. Newsmercati.com
20 Sentenza n. 1202/2020 in cui la Cassazione ha precisato che il legislatore ha ritenuto insufficiente il potere di certificazione e autenticazione del controllo di legalità esercitato dagli avvocati, affermando che quando l'accordo contiene un contratto o un atto che deve essere trascritto, occorre che il verbale di accordo venga autenticato da un notaio. Si veda altresì n. 29570/2019
21 L.26.11.2021 n. 206 – D.Lgs 10.10.2022 n. 149
     
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