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L’ESECUTORIETÀ DEI TITOLI CONCILIATIVI DI
NATURA NEGOZIALE
| Nota
Osservatorio |
Costanza Acciai |
È ormai da più di un decennio che
i protagonisti del sistema giustizia, ma, a ben vedere anche
la più vasta platea di coloro che alla giustizia debbano
ricorrere, hanno familiarizzato con il termine “degiurisdizionalizzazione”.
L’orribile neologismo ha almeno il pregio di spiegarsi da
solo e illustra l’intenzione, o meglio l’auspicio del
legislatore di rendere possibile, anche fuori dai tribunali,
l’incremento del numero dei titoli esecutivi, vale a dire
l’aumento degli atti rappresentativi di un diritto di
credito in qualche modo coercibile in caso di non spontaneo
adempimento.
La tradizionale concezione della giustizia civile
tranchante, come sistema basato sulla rigida
applicazione delle regole, dovrebbe, nell’ottica dei più
recenti interventi legislativi, fare un passo indietro,
marcando l’inizio di un passaggio culturale dal sistema
aggiudicativo a quello autocompositivo.
Il nuovo fenomeno dovrebbe segnare il tramonto del paradigma
giudiziale vincente-perdente favorendo il sorgere di un
nuovo modello cooperativo che abbandoni l’identificazione
delle pretese fondate sull’applicazione di una regola
generale di diritto, per giungere all’individuazione degli
interessi sottostanti alle posizioni e all’elaborazione di
una soluzione adatta ai veri bisogni delle parti.
Se però la principale sfida è rappresentata dalla necessità
di far comprendere ad un pubblico il più largo possibile il
significato dei nuovi strumenti di soluzione delle
controversie civili, da intendersi non come mero strumento
alternativo al giudizio, ma come opportunità ulteriori a
disposizione dei cittadini, non come restrizione
dell’accesso alla giustizia, ma come diversificazione degli
strumenti destinati ad un’efficace tutela dei diritti, è
proprio su questo ultimo concetto che si giocherà il
successo delle riforme: la tutela che i cittadini
riceveranno attraverso gli strumenti alternativi al giudizio
civile dovrà essere efficace ed effettiva al pari di quella
raggiunta attraverso i tradizionali sistemi giudiziari,
senza rappresentare un ulteriore e inutile allungamento dei
tempi di attesa che frustrano ormai in modo proverbiale le
aspettative di chi alla giustizia civile debba far ricorso.
In altre parole, gli strumenti di soluzione alternativa
delle controversie dovranno garantire ai cittadini sistemi
di tutela più rapidi e altrettanto efficaci rispetto ai
provvedimenti dei giudici civili.
È per tale motivo che il legislatore si è preoccupato di
attribuire agli accordi negoziali che definiscono una
controversia civile efficacia di titolo esecutivo.
E’ stato infatti opportunamente osservato che l’effettività
della tutela, intesa in termini di conseguimento del bene
della vita mediante un processo giusto, «assume un contenuto
ancor più sostanziale e concreto, laddove (come accade con
l’azione esecutiva,
per la tutela forzata di un diritto già consacrato in un
titolo esecutivo, di formazione giudiziale o meno) l’oggetto
da garantire non sia più l’adeguatezza modale del processo
di cognizione e delle sue strutture, ma sia invece
l’effettività delle forme e dei tempi in cui, nel
susseguente processo di esecuzione, chi abbia ottenuto il
riconoscimento del proprio diritto ne possa poi ottenere
l’attuazione coattiva» 1
Sarebbe invero più corretto sostenere che la sequenza dei
provvedimenti normativi che ha rinnovato la materia della
conciliazione raggiunta in giudizio, quella raggiunta
attraverso la mediazione professionale e, da ultimo,
introdotto l’istituto della negoziazione assistita ha avuto
essenzialmente di mira l’obiettivo di ampliare la rosa dei
titoli esecutivi che possono formarsi in sede
extragiudiziale.
È chiaro, peraltro, che le esigenze di effettività della
tutela, manifestantesi soprattutto in termini di celerità
nel conseguimento dell’esatta utilità costituente il bene
della vita, vanno contemperate, nella piena attuazione dei
precetti costituzionali, con le esigenze
del debitore che ha diritto ad un processo esecutivo
rispettoso delle norme che lo regolano, ma anche giusto ed
opportuno2.
1. I titoli stragiudiziali introdotti dalla legge 24
febbraio 2006, n. 52
In effetti già dopo le recenti modifiche apportate
al processo civile nel 2006, era stata ampliata
l’elencazione degli atti e dei provvedimenti aventi
efficacia di titolo esecutivo.
Prima della novella erano titoli esecutivi, alla stregua
dell’art.474 c.p.c.: le sentenze e i provvedimenti ai quali
la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva, le
cambiali, gli altri titoli di credito e gli atti a cui la
legge attribuisce espressamente la stessa efficacia, gli
atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale
autorizzato dalla legge a riceverli, ma solo limitatamente
alle obbligazioni di somme di denaro in essi contenute.
Il legislatore, nel 2006, è intervenuto sul n.1)
dell’art.474 c.p.c., facendo confluire in esso il
riferimento agli altri atti cui la legge attribuisce
efficacia esecutiva. In tal modo si è provveduto ad
inserire, accanto ai titoli esecutivi di formazione
giudiziale, anche quegli atti (come ad esempio i verbali di
conciliazione), la cui natura giudiziale era contestata da
parte della dottrina e per i quali si discuteva in ordine
alla idoneità a dar luogo ad esecuzione diretta.
Mentre, infatti, in passato non si dubitava che il verbale
di conciliazione giudiziale fosse titolo esecutivo idoneo
all'esecuzione per le obbligazioni pecuniarie e per quelle
di consegna e rilascio, secondo il testo letterale dell’art.
185,comma II, c.p.c., l’attribuzione di tale efficacia ha
formato invece oggetto di un vivace dibattito per quanto
riguarda l’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di
non fare.
Per la soluzione negativa si erano pronunciate sia la
giurisprudenza di legittimità che quella di merito3,
sia buona parte della dottrina4.
Quest’ultima, in particolare, traeva argomento dal testo
letterale dell’art. 612 il cui esplicito riferimento alla
sola sentenza di condanna portava ad escludere che
l’esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare
potesse trovare titolo in un verbale di conciliazione
ancorché raggiunto sotto il controllo giudiziale, che si
riteneva meramente certificativo ed esercitato in funzione
di omologazione della volontà negoziale delle parti.
Altro argomento con cui si era negata l'idoneità del verbale
di conciliazione ad essere considerato quale titolo ai sensi
dell'art. 612 c.p.c. era rappresentato dal rilievo che solo
un provvedimento del giudice possa contenere l'accertamento
positivo della fungibilità - e quindi della coercibilità -
dell'obbligo di fare;5
Secondo Mandrioli, infatti: « Non è compito del processo
esecutivo lo stabilire se un diritto può essere eseguito
coattivamente nella sua specificità... oppure se esso deve
trasformarsi per essere eseguito. Ciò è invece compito del
processo di cognizione, al termine del quale il diritto deve
risultare accertato come eseguibile con le forme preordinate
in astratto dalla legge, ma già determinate in concreto
dalla pronuncia del giudice e che gli organi esecutivi
debbono semplicemente attuare.»6
Sulla scorta di simili considerazioni si era altresì
sostenuto che il verbale di conciliazione il cui contenuto
trova il proprio parametro non in obiettive esigenze di
coordinamento, ma esclusivamente nella volontà e nella
capacità di previsione delle parti7, non
garantisse il nesso tra il contenuto del titolo esecutivo,
la concreta determinazione delle sue modalità esecutive e la
necessaria continuità tra le due fasi attuative del diritto
fatto valere.
Del resto, anche i titoli esecutivi di formazione giudiziale
contemplati dall’art. 474 erano stati al centro di un vivace
dibattito, per quello che attiene alla loro esecutorietà;
basti pensare alle pronunce costitutive o alle cosiddette
statuizioni di condanna implicita o, ancora, alle sentenze
condizionate.8
La stessa nozione di titolo esecutivo è stata, per molti
anni, al centro di un’accesa discussione diretta ad
individuarne con certezza i caratteri distintivi. Senza
ripercorrere tutta la vicenda, ci limitiamo a sottolineare
che il titolo esecutivo costituisce la condizione necessaria
e sufficiente, una volta effettuatane l’esibizione agli
organi competenti, a legittimare l’esecuzione forzata; in
buona sostanza, il titolo esecutivo è un documento che
rappresenta il diritto cui si riferisce e, in sé, non
richiede alcun ulteriore accertamento per l’attuazione
coattiva del diritto rappresentato.
Chi agisce in sede esecutiva in ragione del possesso di un
titolo non ha né l’onere di dedurre la vicenda che ha
determinato la formazione del titolo, né l’onere di provare
l’esistenza del diritto certo, liquido ed esigibile
risultante dal titolo, essendo assorbita ogni questione a
riguardo dallo stesso titolo esecutivo9.
Almeno in linea teorica, quindi, non sembra possibile
ipotizzare una sorta di gerarchia dei tioli esecutivi in
ragione del procedimento che li produce; in altre parole non
si può sostenere che il possesso di un titolo esecutivo
stragiudiziale provi meno di un titolo esecutivo di
formazione giudiziale10
2. Gli effetti della cosa giudicata
sull’esecutorietà dei titoli di formazione giudiziale.
È però sotto il profilo della possibilità di
reazione del soggetto passivo dell’esecuzione ritenuta
ingiusta che le differenze fra i due tipi di titolo
esecutivo fanno sentire i loro effetti.
La sentenza e in genere i titoli di formazione giudiziale si
producono nel corso o ad esito del processo civile di
cognizione, preordinato alla pronuncia di una sentenza di
merito i cui effetti sono destinati a divenire definitivi
una volta che la stessa non possa più essere messa in
discussione attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione,
con conseguente passaggio in giudicato dell’accertamento del
diritto che legittima l’esecuzione forzata.
L’opposizione all’esecuzione contro i titoli esecutivi di
formazione giudiziale incontra pertanto solo due limiti,
rispettivamente relativi agli effetti del giudicato e alla
non permeabilità tra motivi di impugnazione e motivi di
opposizione ex art. 615 c.p.c.
Sotto il primo profilo, secondo il noto principio per cui il
giudicato copre il dedotto ed il deducibile, l’opposizione
contro il titolo esecutivo di formazione giudiziale non può
fondarsi su fatti deducibili ( ma che non sono stati dedotti
) nel processo che ha dato luogo al giudicato.
In altre parole a fondamento dell’opposizione potranno
essere fatti valere solo fatti modificativi o estintivi del
diritto incorporato nel titolo, successivi e sopravvenuti al
momento di formazione del giudicato sostanziale, ma non
circostanze antecedenti questo momento.
Il principio della non permeabilità tra motivi di
impugnazione e motivi di opposizione, comporta invece che
l’invalidità o l’ingiustizia del provvedimento
giurisdizionale non ancora passato in giudicato, ma munito
di efficacia di titolo esecutivo, possa farsi valere
esclusivamente attraverso i mezzi di impugnazione, mentre i
fatti successivi, estintivi o modificativi del diritto fatto
valere attraverso il titolo passato in giudicato, salvi i
casi di impugnazione straordinaria, possano proporsi solo
tramite opposizione all’esecuzione.
Ai sensi dell’art. 474, n. 1 c.p.c. sono altresì titoli
esecutivi di formazione giudiziale i «provvedimenti, diversi
dalla sentenza, emanati dal giudice ove la legge
espressamente riconosca agli stessi l’efficacia di titolo
esecutivo».11 Si tratta comunque di provvedimenti
di formazione processuale nei quali il diritto è oggetto di
accertamento (sia pur esso sommario o a formazione
progressiva) ma, comunque coperto dal giudicato.
Anche per questi ultimi valgono le medesime considerazioni
svolte a proposito delle sentenze.
In breve, posto che l’analisi dei titoli giudiziali concerne
la materia trattata solo in via ancillare, al fine di
marcare la differenza fra le diverse possibili specie di
titoli esecutivi, potremmo dire che il diritto che forma
oggetto del giudizio, una volta che il provvedimento
che conclude la controversia ne abbia sancito il
riconoscimento e fondato su tale presupposto l’eventuale
condanna del debitore, non richiede per la propria
attuazione, in caso di non spontaneo adempimento, alcun
altro accertamento formale o sostanziale.
3. I titoli di natura mista e i titoli negoziali di
mediazione e negoziazione assistita.
Diversa la situazione per i titoli che taluni
autori hanno chiamato di natura mista. Si tratta di quei
titoli nei quali la manifestazione di volontà dei privati,
che si esprime nella conciliazione, si combina con
l’intervento del giudice, che secondo i casi, si limita a
sottoscrivere insieme alle parti il verbale di conciliazione
c.d. giudiziale, redatto in udienza (art.185, ult. comma,
185bis c.p.c.) ovvero con decreto, conferisce efficacia di
titolo esecutivo al verbale sottoscritto dalle parti
(art.696bis c. 3 c.p.c.).
Si tratta di titoli di natura negoziale, attraverso i quali
le parti non si limitano o possono non limitarsi al mero
riconoscimento del diritto controverso, avendo facoltà, in
un’ottica conciliativa, di regolare fra loro rapporti
diversi o ulteriori rispetto a quanto deducibile in giudizio
attraverso il rapporto domanda-eccezione.
La Corte di Cassazione con sentenza 26 febbraio 2014 n. 4564
ha ribadito che «Per antico insegnamento (fin da Cass. 1
giugno 1968, n. 1655), sotto il profilo formale, il verbale
di conciliazione giudiziale tra le parti non può avere gli
effetti esecutivi di una sentenza passata in giudicato, ma
solo quelli di un titolo contrattuale esecutivo ai sensi
dell'art. 474, n. 3, cod. proc. civ.; e così, visto che la
conciliazione è frutto dell'incontro della volontà delle
parti, il relativo verbale, ancorché redatto con
l'intervento del giudice a definizione di una controversia
pendente, è ad ogni effetto un atto negoziale...infatti,
l'intervento del giudice nel tentativo di conciliazione non
altera, ove il medesimo riesca, la natura consensuale
dell'atto di composizione che le parti volontariamente
concludono (Cass. 18 luglio 1987, n. 6333)».
Ciò sta in pratica a significare che ogniqualvolta le parti
intendano pervenire in via autonoma alla regolamentazione
dei rispettivi interessi, sia in via preventiva, regolando
gli aspetti fisiologici o patologici di una relazione,
ovvero in via successiva, per dirimere una controversia fra
di loro insorta, le questioni concernenti l’interpretazione
della volontà delle parti, la corretta formazione di questa,
la verifica della rispondenza delle previsioni contrattuali
al regolamento voluto dalle parti, la situazione di
equilibrio fra le prestazioni, non sfuggono ad un possibile
controllo di merito da parte dell’autorità giudiziaria, da
compiersi in sede di opposizione all’esecuzione ovvero in
via di accertamento ordinario. A ciò non osta la circostanza
che l’accordo di conciliazione giudiziale sia sottoscritto
dalle parti dinanzi al Giudice che a propria volta lo
sottoscrive, in quanto quest’ultimo per la sua istituzionale
estraneità all’accordo e per l'impossibilità di correggere
quanto univocamente rappresentato dalle espressioni
letterali adoperate dinanzi a lui, non può compiere altra
attività se non quella di controllo della legittimità e
della meritevolezza degli accordi raggiunti.
La necessità di accelerare il soddisfacimento dei diritti,
come detto, ha fatto sì che si sia avuta, nell’ultimo
decennio, una progressiva moltiplicazione di titoli
stragiudiziali: ciò ha comportato una maggiore circolazione
di titoli esecutivi, nei confronti dei quali il primo ed
unico controllo giurisdizionale, non solo sulla regolarità
dell’esecuzione e dello stesso titolo esecutivo, ma sulla
esistenza stessa del diritto sostanziale rappresentato nel
titolo, si può avere soltanto nell’eventuale giudizio di
cognizione che si apra a seguito dell’opposizione.
La l. n. 80/05 ha altresì integrato il 3° comma all’art. 474
precisando che l’esecuzione forzata per consegna o rilascio
può avere luogo, non solo in virtù dei titoli esecutivi
ricompresi al n. 1 dell’art. 474, ma anche in virtù dei
titoli di cui al n. 3 dello stesso articolo. Viene così
risolto il dubbio generato dalla precedente formulazione del
n. 3 dell’art. 474, che aveva dato adito ad una
interpretazione restrittiva dell’efficacia esecutiva degli
atti formati dal notaio o dal pubblico ufficiale che, avendo
ad oggetto obbligazioni di denaro, si ritenevano idonei a
dare avvio al solo processo di espropriazione forzata, e non
anche all’esecuzione per consegna o rilascio e di obblighi
di fare o non fare.
Più esplicitamente, forse memore dei pregressi dubbi
interpretativi, il legislatore della mediazione civile,
anche attraverso la novella del 2013, è stato più esplicito
nel delineare i campi di possibile efficacia del nuovo
titolo di formazione negoziale.
Secondo l'art. 12 del decreto legislativo 28 del 4 marzo
2010, il verbale di avvenuta conciliazione, è titolo
esecutivo quando tutte le parti sono assistite da un
avvocato ed è sottoscritto da tutte le parti e dai
rispettivi avvocati; esso costituisce titolo esecutivo per
l’espropriazione forzata, per l’esecuzione per consegna e
rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare,
oltre che per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli
avvocati, e non più il Tribunale attraverso l’omologa,
attestano e certificano la conformità dell’accordo alle
norme imperative e all’ordine pubblico.
La possibilità di rendere il verbale di conciliazione titolo
esecutivo con la firma delle parti e dei loro avvocati, è
stata introdotta con l’entrata in vigore del decreto-legge
21 giugno 2013, n. 69 che ha ripristinato la mediazione
civile quale condizione di procedibilità e modificato in
alcuni punti il decreto legislativo 28/2010.
L’originaria formulazione dell’art. 12 del D. Lgs. N. 28 del
2010 aveva invece notoriamente demandato ai Tribunali il
controllo sulla rispondenza dell’accordo raggiunto in sede
mediazione sia ai requisiti formali imposti dalla legge sia
della rispondenza del
contenuto del verbale alle norme imperative.
Sono ormai note alcune pronunce che, prima della novella del
2013, avevano negato l’omologazione a verbali raggiunti in
sede di mediazione, come la sentenza Tribunale di Modica 9
dicembre 2011, che, ritenendo, sulla base del testo
dell’art. 12 all’epoca vigente,
data la congiunzione “anche” contenuta nel comma 1, che il
controllo del Tribunale dovesse avere ad oggetto sia i
profili di carattere formale sia le eventuali violazioni
dell’ordine pubblico e delle norme imperative, rigettava
l’istanza di omologa di un verbale ove il mediatore non
aveva dichiarato il suo legittimo status quale soggetto
incluso nei ruoli di un organismo di conciliazione
regolarmente registrato presso il Ministero della Giustizia;
altrettanto note le pronunce di diversi Giudici di merito in
ordine alla possibilità di trascrizione dei verbali di
mediazione12
Il controllo di rispondenza alle norme imperative è invece
oggi demandato alla competenza e alla responsabilità degli
avvocati, che, dopo la recente conversione in legge del D.L.
12 settembre 2014 n. 132, vedono ampliata la loro sfera di
competenza nella produzione dei titoli esecutivi indicati
dalla legge ai quali fa riferimento l’art. 474 c.p.c.
Da ultimo, infatti, il D.L. 132 del 2014, convertito con
alcune modifiche nella legge n.162 del 10 novembre 2014, ha
introdotto una nuova disciplina che consente e, in alcuni
casi espressamente stabiliti dalla legge, obbliga le parti a
impegnarsi a negoziare per risolvere una controversia che
riguarda diritti disponibili, senza o prima di passare per
il processo civile.
Questa disciplina prevede l’assistenza obbligatoria di un
avvocato ed è denominata convenzione di negoziazione
assistita dall’avvocato.
L'accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle
parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo
esecutivo nonché titolo per l'iscrizione di ipoteca
giudiziale.
In questo caso il legislatore è stato, ancora una volta,
meno puntuale ed ha omesso di precisare i possibili oggetti
di esecuzione del titolo raggiunto in sede di negoziazione,
ma si deve ritenere che l’accordo stipulato ex art. 5 abbia
il medesimo ambito esecutivo del titolo raggiunto in
mediazione con l’assistenza degli avvocati.
Anche in questo caso sono gli avvocati che, oltre a
certificare l'autografia delle firme, certificano la
conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine
pubblico.
In tutti i casi in cui l’accordo sia raggiunto dalle parti
non assistite da avvocati, come accade nella mediazione
svolta con l’ausilio del solo mediatore, è necessario invece
che l’accordo sia allegato al verbale, e, su istanza di
parte, sia omologato dal tribunale perché possa costituire
titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per
l’esecuzione in forma specifica, oltre che per l’iscrizione
di ipoteca giudiziale.
Dalla panoramica che precede emerge con chiarezza come non
solo l’orizzonte dei titoli di formazione stragiudiziale si
sia decisamente ampliato negli ultimi anni, ma risulta
altresì evidente come l’ordinamento abbia inteso rinunciare
al controllo di rispondenza dell’accordo alle norme
inderogabili e ai principi di ordine pubblico da parte della
magistratura, demandandolo alla competenza e all’accordo
degli avvocati che assistono le parti.
Non poche le critiche verso i governi che secondo i
detrattori hanno favorito una giustizia privata, consegnando
il contenzioso civile nelle mani degli avvocati13 , ma,
fuori da ogni polemica, appare altamente probabile che, in
assenza di un qualsiasi controllo giudiziale sulla
formazione del titolo, la possibilità di muovere
contestazioni contro un titolo esecutivo di natura
stragiudiziale sia certamente più ampia.
Ora, sostenere che l’auspicio di deflazionare il contenzioso
civile attraverso la moltiplicazione dei titoli esecutivi di
natura stragiudiziale avrà come unico esito quello di
spostare il teatro del contenzioso civile dalle alule del
giudice del merito alle aule del giudice dell’esecuzione,
può suonare disfattista, ma appare invece realistico
ritenere che molti dei titoli esecutivi di formazione
stragiudiziale porranno una serie di problemi di concreta
eseguibilità, richiedendo, in non pochi casi, il ricorso
alla giustizia ordinaria per accertamenti supplementari in
ordine ai presupposti previsti ovvero alle condizioni poste
dalle stesse parti per l’efficacia del diritto rappresentato
nel titolo.
Il problema, già prima della novella del 2006, si era posto
con riguardo all’arbitrato irrituale14 ; la
giurisprudenza aveva ritenuto il lodo irrituale come un
contratto tra le parti sancendo che l’eventuale efficacia
esecutiva conferita nei casi previsti dalla legge non
privasse le parti della possibilità di impugnarne il
contenuto dinanzi al giudice ordinario di primo grado.
L’art.808ter c.p.c., che nel 2006 ha finalmente normato
l’istituto, ha definitivamente sancito che il giudice
competente a decidere sull’impugnazione del lodo
contrattuale, è il giudice ordinario secondo le regole di
cui al libro primo del codice di rito15.
La decisione degli arbitri irrituali ha peraltro, secondo la
nuova norma, valore esclusivamente contrattuale, con la
conseguenza che, per il lodo contrattuale, vista la sua
natura negoziale, non è possibile il deposito e la
dichiarazione di esecutorietà16. La collocazione
sistematica della norma che disciplina un istituto
sostanziale nel codice di rito si giustifica per l’effetto
della convenzione di arbitrato irrituale di rinuncia
temporanea alla tutela giurisdizionale.
Tuttavia, il legislatore ha progressivamente consentito che
gli strumenti negoziali di definizione delle controversie
ricevessero esecutorietà, abdicando gradualmente al
controllo di legittimità del loro contenuto anche solo
attraverso il procedimento di omologazione.
4. L’esecuzione forzata dei verbali di mediazione e
degli accordi conclusi in sede di negoziazione assistita
dagli avvocati.
Ora, pur se parlare di efficacia esecutiva di un
accordo volto a risolvere una controversia, e della
successiva esecuzione forzata, possa apparire in contrasto
evidente con lo spirito della mediazione o della
negoziazione, e con ogni processo che in genere conduce i
litiganti alla sottoscrizione di un accordo conciliativo, si
ritiene che da un lato ben possano verificarsi esempi nei
quali eventi successivi conducano le parti a dover
ricorrere, nonostante l'apparente raggiungimento di un
accordo, ai mezzi esecutivi offerti dall’ordinamento
giudiziario, mentre, dall’altro, possano ravvisarsi nello
stesso accordo i profili patologici tipici di un contratto,
ad esempio relativamente alla nullità ed all'annullabilità.
Si deve rilevare, infatti, come la circostanza che gli
accordi conciliativi raggiunti in sede di mediazione o di
negoziazione assistita siano oggi muniti di efficacia
esecutiva al pari degli accordi di conciliazione giudiziale
ovvero di quelli soggetti all’omologa dei tribunali, non
priva i primi così come non ha privato i secondi della loro
natura eminentemente negoziale di accordi nei cui confronti
rimangono esperibili tutte le azioni ed eccezioni di merito
esperibili riguardo ai contratti.
La soluzione è relativamente semplice quando l’accordo
conciliativo definisce e disciplina un unico rapporto fra le
parti, quello, appunto, che ha formato la cosiddetta res
litigiosa: in questo caso, infatti, l’inadempimento
agli obblighi che le parti assumono
nell’accordo di conciliazione-titolo esecutivo può fondare
il legittimo ricorso all’esecuzione forzata (con le
eventuali opposizioni previste dal codice di rito) , mentre,
per altro verso, si potrà procedere all'impugnazione dinanzi
al giudice ordinario attraverso gli ordinari strumenti di
impugnativa negoziale esperibili nei confronti del contratto
di transazione ed elencati agli artt. 1969 ss. c.c.
I problemi si presentano invece quando le parti dell’accordo
negoziale, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale,
hanno dato vita, sempre al fine di dirimere la controversia,
a rapporti diversi o ulteriori rispetto alla situazione che
ha originato la lite, proprio in virtù di quelle attività e
capacità negoziali attinenti alla creazione del cosiddetto
valore aggiunto che sono caratteristiche dell’attività di
mediazione e negoziazione.
Spesso sono gli stessi negoziatori o i terzi neutrali che,
presi da quella che potremmo definire euforia conciliativa,
dimenticano di indicare o consigliare alle parti l’adozione
di quelle cautele fondamentali che, anche nella stesura di
un normale contratto, vengono di norma adottate a
salvaguardia di possibili criticità future del rapporto.
Con altrettanta frequenza, tuttavia, si assiste all’eccesso
opposto, vale a dire a una superfetazione di clausole
risolutive, obblighi di restituzione o riconsegna, decadenze
dai termini, previsioni di penali decisamente
sproporzionate, che creano ulteriori problemi attuativi e
interpretativi dell’accordo-titolo anche in sede di
esecuzione forzata.
Qualora l’efficacia dell’accordo sia subordinata ad un
adempimento ovvero a un inadempimento ulteriore e diverso
rispetto a quello dedotto in lite si potrà ritenere che
l’accordo mantenga la propria efficacia di titolo esecutivo
in difetto dell’accertamento da parte del giudice ordinario
dell’adempimento/inadempimento successivo? Se le parti
intendono recuperare un rapporto contrattuale squilibrato da
un ritardato adempimento, stabilendo un rinnovo degli
obblighi originari in termini ulteriormente dilazionati
quali saranno le conseguenze di un ulteriore ritardo? Il
verbale o l’atto negoziale di accordo potranno costituire
valido titolo per ottenere la restituzione delle somme
versate dalla parte adempiente in difetto di un nuovo
accertamento?
Ritenere che la tutela di simili situazioni sia confinata al
ristretto ambito dell’opposizione all’esecuzione,
significherebbe porre in secondo piano l’interesse di almeno
una delle parti che, in ipotesi, potrebbe essere titolare di
un diverso e autonomo interesse all’adempimento di
obbligazioni dedotte nel medesimo verbale e non strettamente
attinenti alla res litigiosa.
Si possono considerare alcuni esempi concreti nei quali si
sono posti più che ragionevoli dubbi in ordine agli
strumenti di tutela cui fare ricorso: in sede di mediazione
le parti avevano convenuto che un ritardato adempimento
delle prestazioni di un contratto di appalto di servizi
fosse compensato attraverso una particolare scontistica da
applicarsi su di un appalto alla cui futura stipula le parti
si obbligavano; ricevuto quindi l’integrale pagamento delle
tardive prestazioni, l’appaltatore aveva però opposto un
netto rifiuto alla
stipula del nuovo contratto di appalto. In un secondo caso,
attinente però ad un appalto di lavori, le parti si erano
contestate reciproci inadempimenti in merito alle
tempistiche dei s.a.l., ed alla conseguente sospensione dei
lavori: in sede di mediazione le stesse avevano convenuto
che l’appaltatore incamerasse a titolo di acconto le somme
già ricevute e riprendesse le opere nel termine di 30
giorni, dettagliando tempi e modalità dei s.a.l. successivi,
ma l’appaltatore non aveva ripreso i lavori, trattenendo le
somme già versate dal committente.
È noto che una mediazione di successo è affidata alla
capacità del mediatore di indurre le parti a considerare il
loro conflitto da prospettive diverse, creando situazioni,
anche differenti dall’oggetto del contendere, che
rappresentino un valore aggiunto per ciascuna di esse, con
reciproco vantaggio.
In un simile contesto l’attività esplicata dalle parti si
traduce sul piano negoziale in un esercizio di autonomia
contrattuale che incontra esclusivamente i limiti di cui
all’art. 1322 c.c.; ma anche se il sistema offre alle parti
gli strumenti normativi per rendere il contratto il più
possibile autosufficiente, selfregulatory17
per usare la più calzante terminologia anglosassone,
appare assurdo prevedere che il contratto concluso in sede
di mediazione possa contenere in sé tutti gli elementi che
consentano di eseguirne forzosamente le prestazioni in caso
di non spontaneo adempimento.
Si dovrebbe così assistere ad una sorta di sdoppiamento
della valenza dell’accordo di mediazione o di negoziazione
assistita che in parte potrebbe costituire titolo esecutivo
di formazione negoziale e, in altra parte, dovrebbe formare
oggetto, in caso di conflitto, di un giudizio ordinario.
Allo stato dell’arte appare quindi eccessivamente
ottimistico parlare degli strumenti di soluzione alternativa
delle controversie o, come io preferisco definirli,
strumenti di giustizia complementare, in termini di
degiurisdizionalizzazione, e si ritiene che l’attesa
degli effetti benefici delle recenti riforme passi il vaglio
della giurisprudenza e, soprattutto la diffusione di una
cultura della mediazione ancora agli esordi18. Al
momento si può soltanto affermare che la solidità degli
accordi raggiunti in sede stragiudiziale dipende, in massima
parte, dalla competenza del mediatore o del tecnico che
assista le parti in negoziazione anche riguardo alle
possibili patologie dei rapporti che scaturiscono
dall’attività negoziale di mediazione.
5. Il problema delle clausole penali e degli altri
strumenti selfregulatory
Peraltro anche simili competenze possono rivelarsi
foriere di problemi ulteriori che richiedano, in via di
opposizione all’esecuzione, ovvero in via di pronunzia
ordinaria l’intervento della magistratura proprio rispetto a
quegli strumenti negoziali che consentono di stabilire una
regolamentazione autonoma dei diritti delle parti, in
previsione dei casi di anomalie e disfunzioni che ostacolino
o impediscano il regolare funzionamento del rapporto che
nasce dall’accordo conciliativo.
Un primo problema si pone con riguardo alle clausole penali
che le parti sono in genere libere di prevedere e che nel
caso della mediazione civile sono previste dallo stesso
decreto legislativo che la disciplina.
Nell’ultima parte del terzo comma dell’art. 11 D.Lgs.
28/2010 il legislatore ha in 10 effetti previsto la
possibilità di inadempimenti successivi all’accordo di
mediazione, stabilendo che l'accordo raggiunto, anche a
seguito della proposta del mediatore , possa prevedere il
pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o
inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo
nel loro adempimento. Rimane comunque il dubbio in ordine al
soggetto che possa stabilire se un ulteriore inadempimento
si sia verificato e se lo stesso possa ritenersi grave ed
essenziale nell’economia generale dell’accordo, avuto
riguardo all’interesse delle parti. L’incertezza potrebbe
risolversi con l’attribuzione al giudice dell’esecuzione del
potere di accertamento, in sede di eventuale opposizione
all’esecuzione, di quanto attiene agli obblighi che
rappresentano condizione esplicita o implicita ovvero
fissano termini per l’esigibilità del credito rappresentato
nell’ accordo-titolo esecutivo. Le obbligazioni attinenti
invece a rapporti che non influiscono
sull’esigibilità del credito restano invece destinate alla
cognizione del giudice ordinario.
Rimane, tuttavia, in entrambi i casi, il problema relativo
all’eventuale riduzione di somme palesemente eccessive
rispetto all’interesse delle parti.
In primo luogo, il problema si pone con riferimento alla
possibile efficacia di titolo esecutivo del verbale riguardo
alla previsione di una penale in assenza di una pronuncia
accertativa dell’inadempimento della parte a carico della
quale questa è posta. Sono molti gli autori che hanno
criticato l’assimilazione delle clausole penali contenute in
un verbale di conciliazione alle cosiddette astreintes,
paragonando la disposizione del decreto alla misura prevista
dall’art. 614 bis c.p.c., proprio perché la norma da ultimo
citata si accompagna ad un provvedimento di condanna quale
evidentemente non può essere un verbale di mediazione.
Appare dunque logico che la parte che dovesse subire
esecuzione per il pagamento degli importi derivanti dalla
pretesa applicazione della penale prevista dall’accordo
possa contestare il diritto della parte istante a procedere
ex art. 615 c.p.c., ma non sembra possibile escludere che la
parte che abbia interesse ad un accertamento circa la
sproporzione in eccesso della penale possa chiederne la
riduzione in via ordinaria.
Altra questione è quella derivante dalla possibilità di
considerare il verbale di conciliazione ad esito di
mediazione quale contratto di transazione, con conseguente
applicabilità del limite previsto dall’art. 1970 c.c.
In un caso esaminato dalla Corte di legittimità con riguardo
ad un arbitrato irrituale, l’arbitro incaricato di redigere
il cosiddetto biancosegno aveva inserito nel lodo anche una
clausola penale; l’importo della penale era stato ridotto ex
art. 1384 c.c. dai giudici di merito e la pronunzia era
stata impugnata dinanzi alla Suprema Corte. Con la sentenza
6.2.1987 n.1209, la Corte di legittimità, pur riconoscendo
la natura transattiva del lodo per biancosegno, statuì che
tale natura dell’atto non inibiva la riduzione della penale,
ritenendo pacifico che eguale potere spetti al giudice
qualora siano le parti a stabilire i contenuti di un
contratto transattivo. La Corte ritenne infatti che il
potere di riduzione della penale palesemente eccessiva non
sia impedito dalla circostanza che la transazione non è
impugnabile per causa di lesione: «A prescindere dalla non
assimilabilità della fattispecie della lesione ultra
dimidium (caratterizzata anche dall’approfittamento dello
stato di bisogno in cui versava una delle parti nel momento
della formazione del contratto) a quella dell’eccessività
della penale (nella quale assume rilevanza giuridica il mero
aspetto quantitativo, sia pure con riguardo all’interesse
che il debitore aveva all’adempimento) deve escludersi che
il divieto di impugnare la transazione per possa estendersi
in via analogica alla domanda di riduzione della penale
causa di lesione». In effetti, ai sensi dell’art. 14 disp.
Att. C.C., la norma di cui all’art.1970 c.c. non appare
suscettibile di interpretazione analogica in quanto norma
dall’evidente carattere eccezionale.
Ora si è già detto delle differenze fondamentali che
intercorrono fra il lodo contrattuale e l’accordo di
mediazione o negoziazione assistita, non si ritiene tuttavia
che la maggiore efficacia di cui il legislatore ha inteso
dotare questi ultimi due strumenti, sia tale da sottrarre
l’autonomia contrattuale che le parti esercitano nelle
rispettive sedi ad ogni possibilità di controllo
giudiziario.
Quale finale considerazione, non pare inutile rammentare il
favor espresso dalla Suprema Corte per il controllo
giudiziale dell’autonomia privata con la nota sentenza
SS.UU. 18128/2005. Nella composizione di un annoso contrasto
giurisprudenziale ancora formatosi sul tema di riducibilità
ex art. 1384 c.c. della penale, la Suprema Corte ha
privilegiato l’orientamento secondo il quale il potere del
giudice di ridurre la penale manifestamente eccessiva
risponde ad una funzione oggettiva di controllo
dell’autonomia privata – in sintonia con il principio
costituzionale di solidarietà, riferibile anche ai rapporti
negoziali, e con la clausola di buona fede, inerente anche
alla fase della formazione del contratto – e può di
conseguenza essere esercitata d’ufficio, anche in difetto di
istanza della parte interessata. (Cass. civ., Sez. I,
24/09/1999, n.10511). Si è trattato di una scelta di
posizione netta, che vede l’autonomia contrattuale in
posizione recessiva rispetto agli interessi superiori
dell’ordinamento, che il giudice deve in ogni caso, e quindi
anche d’ufficio, tutelare.
Analoghi problemi potranno presentarsi in ordine ai verbali
di conciliazione che prevedano la prosecuzione di un
rapporto contrattuale, interrotto a causa del preteso
inadempimento di una delle parti e ripreso, ad esito della
mediazione, con connotazioni
diverse (es. nuovi termini di adempimento, nuovi obblighi
reciproci, diversi oggetti contrattuali etc.). Sarà certo
possibile che inadempimenti ulteriori vengano a privare la
parte adempiente di qualsiasi interesse all’ulteriore
prosecuzione del rapporto.
In simile caso, l’esecuzione dell’obbligo di fare dovrebbe
cedere il passo alla risoluzione del contratto ex art. 1453
c.c. essendo, comunque sempre possibile che la parte non
soddisfatta nel proprio interesse opti per la cessazione di
ogni rapporto contrattuale con il partner negoziale.
Nel difetto di previsione o della ricorrenza dei presupposti
per l’applicabilità di uno dei rimedi risolutivi di diritto
(diffida ad adempiere, clausola risolutiva espressa o
termine essenziale) la parte che ha interesse alla
risoluzione dovrà proporre domanda intesa ad accertare la
gravità dell’inadempimento nell’economia generale
dell’accordo; si dubita che un simile accertamento possa
rimanere confinato nei limiti dell’opposizione.
Ma anche qualora le previsioni del negozio conciliativo
possano condurre alla sua risoluzione automatica, il titolo
che preveda l’originaria sopravvivenza del rapporto
negoziale potrà essere ritenuto non sufficiente a
legittimare un’azione esecutiva per la restituzione di
caparre o acconti versati in vista dell’adempimento non
verificatosi.
È evidente che l’abilità dei tecnici che assistono le parti
nelle mediazioni o negoziazioni civili, dovrà mantenere viva
l’attenzione del negoziato su tutti gli strumenti che ne
garantiscono l’efficacia in termini di esecutorietà ed
effettività, consigliando il ricorso a tutti quegli
strumenti contrattuali che tendano a rendere l’accordo
completamente autonomo anche in termini di esecutorietà per
il caso di inadempimento.
Si tratterà non solo di prevedere casi o facoltà di
risoluzione di diritto dell’accordo, ma anche di prevederne
le conseguenze ulteriori come obblighi di restituzione,
penali o clausole liquidated damages19 ,
che consentano alle parti di poter porre in esecuzione il
titolo, senza necessità di ulteriore attività di
accertamento dei diritti rappresentati dal titolo.
Sarà comunque possibile che nel caso in cui dal verbale di
conciliazione o dall’accordo negoziale assistito sorga una
nuova lite tra le parti, queste avvertano l’esigenza di fare
ricorso alla giustizia togata o comunque tranchante,
sia in sede di opposizione all’esecuzione che in sede
interpretativa della volontà negoziale espressa attraverso
la loro autonomia negoziale.
L’esercizio dell’autonomia contrattuale da parte dei privati
incontra limiti generali e ben definiti, limiti che devono
essere salvaguardati nell’interesse generale dal giudice. A
tale salvaguardia non si ritiene possa sottrarsi
quell’espressione di autonomia privata, facilitata dalla
mediazione o dalla negoziazione assistita, che si esprime
nell’accordo di conciliazione.
6. Titoli negoziali di conciliazione e “formula
esecutiva” prima e dopo la riforma Cartabia.
Come è noto, il I° co. dell’art 11 del d.lgs. 4
marzo 2010, n. 28 prevede che “Se e’ raggiunto un
accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al
quale e’ allegato il testo dell’accordo medesimo”.
L’art. 12 del medesimo decreto, nella versione successiva
alla L. 9 agosto 2013, n. 98, ha disposto che “Ove tutte
le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un
avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e
dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per
l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e
rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare,
nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati
attestano e certificano la conformità dell’accordo alle
norme imperative e all’ordine pubblico. L’accordo di cui al
periodo precedente deve essere integralmente trascritto nel
precetto ai sensi dell’art 480, secondo comma del codice di
procedura civile. In tutti gli altri casi – (nelle
materie nelle quali la mediazione non rappesenta condizione
di procedibilità della domanda e non vi è la presenza
dell’avvocato) – l’accordo allegato al verbale e’
omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente
del tribunale, previo accertamento della regolarità formale
e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico”.
L’art. 5 della L. 134/2014 sembra voler limitare l’ambito di
esecutorietà dell’accordo raggiunto in negoziazione
assistita limitandosi a stabilire che “1. L'accordo che
compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli
avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e
per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.”; la più
sintetica disposizione ha lasciato molte perplessità
riguardo alla possibilità di questo accordo di rappresentre
titolo per l’esecuzione per consegna e rilascio,
l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare,
rispetto alla più ampia elencazione del D.lgs 28/2010.
Si è infatti ritenuto da alcuni che la più ampia dizione
dell’art. 5 cit. estenda la portata del titolo alla
esecutorietà di tutte le pattuizioni possibili in
negoziazione assistita, laddove altri hanno inteso la non
troppo felice formulazione legislativa da interpretarsi in
senso restrittivo, specie dopo le recenti pronunce della
Corte di Cassazione sulla possibilità di trascrivere il
titolo in assenza di autenticazione da parte di un pubblico
ufficiale.20
L’art 474 del codice di rito, dopo aver previsto che
l’esecuzione forzata possa avere inizio soltanto “in
virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo liquido ed
esigibile” elenca i titoli esecutivi, che, oltre alle
sentenze, sono gli altri atti ai quali la legge
attribuisce espressamente efficacia esecutiva.
Il verbale di conciliazione e l’accordo ad esso allegato
così come l’accordo raggiunto in sede di negoziazione
assistita sottoscritto dalle parti e dagli avvocati
costituiscono dunque titolo esecutivo ex lege ( art. 123
D.Lgs 28/2010 , art.5 L.132/2014) , rientrando senza dubbio
nel novero de “gli altri atti ai quali la legge attribuisce
espressamente efficacia esecutiva”.
Si era dunque posto, prima dell’ultima riforma21
, il problema della necessità dell’apposizione della formula
esecutiva in calce ai titoli conciliativi di natura
negoziale.
Si era dunque pervenuti alla conclusione che simili titoli,
esecutivi ex lege, non necessitassero della formula
in ragione della perfetta simmetria che si riscontrava tra
l’art. 474 e l’art 475 del c.p.c.
Prima della riforma l’art 475 c.p.c. stabiliva infatti la
necessità dell’apposizione della formula solo per alcune
delle categorie dei titoli esecutivi menzionati dall’art 474
c.p.c..
In particolare l’art. 475 c.p.c. menzionava fra tali atti:
– Le sentenze e gli altri provvedimenti dell’autorità
giudiziaria
– Gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale
autorizzato dalla legge a riceverli.
Non vi era alcun riferimento a gli altri atti ai quali
la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva.
La circostanza che l’art 475 c.p.c., non menzionasse
espressamente questi ultimi titoli ha portato a ritenere che
l’apposizione della formula esecutiva non fosse per essi
necessaria per poter agire in esecuzione.
Tale interpretazione è stata suffragata altresì dalla
lettura della disposizione di cui all’art. 5 commi 2-bis e
4-bis del D.L. 132/2014 convertito in L. 162/2014; i commi
in questione prevedendo che l’accordo di conciliazione debba
“essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi
dell’art. 480, secondo comma, del codice di procedura civile.”
Regolano i verbali di accordo raggiunti in mediazione o in
negoziazione in modo analogo a quanto avviene per l’assegno
e la cambiale, per i quali è sufficiente riportare il tenore
letterale del titolo nel corpo del precetto, unitamente alla
dichiarazione di conformità da parte dell’ufficiale
giudiziario.
Diverso discorso valeva per i casi richiamati dall’art. 12,
ove si era necessaria l’omologa del Presidente del
Tribunale.
In questi casi si è infatti ritenuto che fosse necessario
fare apporre la formula esecutiva sul decreto di omologa del
Presidente del Tribunale.
Oggi, L’articolo 475 c.p.c., rubricato “Spedizione in
forma esecutiva”, è stato sostituito dal nuovo articolo
475, intitolato “Forma del titolo esecutivo giudiziale e
del titolo ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale”,
il quale prevede che, per valere come titolo per
l’esecuzione forzata, le sentenze e gli altri provvedimenti
dell’Autorità Giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da
altro pubblico ufficiale debbano essere formati in copia
attestata conforme all’originale. Sparisce anche riguardo ai
detti titoli ogni formula sacramentale, così come l’intera
disciplina relativa alla spedizione in forma esecutiva.
L’apposizione della formula esecutiva era finalizzata a
garantire un controllo preliminare rispetto al procedimento
di esecuzione forzata sulla legittimità formale dell’azione
esecutiva e del titolo esecutivo nonché a garantire che
potesse circolare solamente una copia del documento - titolo
esecutivo, quindi l’esistenza di un’unica copia utilizzabile
ai fini esecutivi.
A tal fine si attestava sull’originale del titolo (da parte
dell’Ufficiale giudiziario o del Notaio, a seconda dei casi)
il rilascio di una copia munita della formula che lo stesso
pubblico ufficiale provvedeva a redigere.
La spedizione in forma esecutiva consisteva in un controllo
preliminare meramente formale, il pubblico ufficiale
analizzava il diritto sostanziale portato dal titolo sotto
il profilo della certezza liquidità ed esigibilità.
L’art 479 c.p.c dispone oggi che “Se la legge non
dispone altrimenti, l’esecuzione forzata deve essere
preceduta dalla notificazione del titolo in copia
attestata conformeall’originale e del precetto. La
notificazione del titolo esecutivo deve essere fatta alla
parte personalmente a norma degli artt. 137 e seguenti. Il
precetto può essere redatto di seguito al titolo esecutivo
ed essere notificato insieme con questo, purché la
notificazione sia fatta alla parte personalmente.”
Anche se la nuova formulazione degli artt. 475 e 479 c.p.c.
ha dato adito ad alcuni dubbi, si ritiene che il cambiamento
non abbia travolto il sistema previgente riguardo ai titoli
conciliativi di natura negoziale.
Sarà sempre l’ODM a dover rilasciare agli Avvocati, nel caso
della mediazione e saranno sempre gli Avvocati a munirsi,
nel caso della negoziazione assistita, di un doppio
originale dell’accordo.
Proprio per questo motivo, è necessario che l’Organismo di
mediazione rilasci ad ogni parte del procedimento
l’originale del verbale di mediazione ed il relativo
accordo, indicando in calce al verbale stesso le copie
originali che vengono rilasciate.
Analogamente, gli Avvocati che attestano la conformità alle
norme di ordine pubblico della negoziazione dovranno
dichiarare il numero degli originali sottoscritti.
Potrebbero, comunque, presentarsi problemi nei casi nei
quali le procedure di mediazione vengano svolte in
videoconferenza come espressamente oggi disciplinato dalla
Riforma Cartabia con l’introduzione nel D.lgs. 28/2010
dell’art. 8 bis, in quanto il verbale di mediazione non
potrà essere sottoscritto in originale.
Dispone ai commi 3-5 l’art. 8 bis del D.Lgs. 28 2010 che “A
conclusione della mediazione il mediatore forma un unico
documento informatico, in formato nativo digitale,
contenente il verbale e l’eventuale accordo e lo invia alle
parti per la sottoscrizione mediante firma digitale o altro
tipo di firma elettronica qualificata. Nei casi di cui
all’articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata
dal giudice, il documento elettronico è inviato anche agli
avvocati che lo sottoscrivono con le stesse modalità.
Il documento informatico, sottoscritto ai sensi del comma 3,
è inviato al mediatore che lo firma digitalmente e lo
trasmette alle parti, agli avvocati, ove nominati, e alla
segreteria dell’organismo.
La conservazione e l’esibizione dei documenti del
procedimento di mediazione svolto con modalità telematiche
avvengono, a cura dell’organismo di mediazione, in
conformità all’articolo 43 del decreto legislativo n. 82 del
2005.”
Ciascuna delle parti dovrebbe quindi ricevere un “duplicato
informatico” del verbale che, ai sensi dell’art. 23 CAD
(D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82) ha il medesimo valore
giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento
informatico da cui è tratto. Si tratta di un duplicato del
documento “nativo digitale”.
Il secondo comma della norma da ultimo citata stabilisce che
Le copie e gli estratti informatici del documento
informatico, se prodotti in conformità alle vigenti
linee guida, hanno la stessa efficacia probatoria
dell'originale da cui sono tratte se la loro conformità
all'originale, in tutti le sue componenti, è attestata da un
pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non
è espressamente disconosciuta.
Cosa accade quindi in caso di necessità, a fini esecutivi,
di notifica del titolo negoziale conciliativo ottenuto in
sede telematica?
Si rietiene che, anche dopo la riforma, non si possa
prescindere dalla trascrizione integrale dell’atto nel corpo
del precetto, pena la nullità di quest’ultimo.
La conformità dell’atto rescritto all’originale dovrà inve
ce avvenire da parte del Difensore della parte che intende
procedere all’esecuzione.
Infatti la riforma, abrogando l’art. 16-bis del
decreto-legge n.179 del 2012 ha inserito nuove norme sui
«depositi telematici» nelle disposizioni di attuazione del
c.p.c. e conseguentemente ha inciso sul potere di
certificazione da parte del difensore.
E’ stato inserito difatti un nuovo titolo, il V-ter che
introduce le disposizioni relative alla giustizia digitale.
In particolare il Capo II disciplina la conformità delle
copie agli originali come segue:
- dagli artt. 196 octies e novies viene riconosciuto in capo
al difensore un potere di certificazione delle copie degli
atti e dei provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico
o allegati alle comunicazioni e notificazioni di
cancelleria, sia nel caso in cui se ne estragga copia sia
laddove si depositino all’interno del fascicolo stesso
provvedimenti o atti.
- l’art. 196 decies prevede poi che il difensore, quando
trasmette all'ufficiale giudiziario con modalità telematiche
la copia informatica, anche per immagine, di un atto, di un
provvedimento o di un documento formato su supporto
analogico e detenuto in originale o in copia conforme,
attesti la conformità della copia all'atto detenuto.
La copia munita dell'attestazione di conformità equivale
all'originale o alla copia conforme dell'atto, del
provvedimento o del documento |
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1 Cfr. STORTO Esecuzione
forzata e diritto costituzionale di difesa in www.
Cortecostituzionale.it /documenti.
2 Ibidem. Nonché BOVE , L’esecuzione ingiusta 1996, ivi cit.
3 Cass. 13 gennaio 1997, n. 258; Cass. 24 maggio 1955, n.
1531; Cass. 13 ottobre 1954, n. 3637; App. Trento 21 maggio
1999, in Gius 1999, p. 2585
4 DENTI, L’esecuzione forzata in forma specifica, Milano,
1953; MAZZAMUTO, L’esecuzione forzata, Torino, 1998;
VACCARELLA, L’esecuzione forzata dal punto di vista del
titolo esecutivo Torino 1993;
5 Cass. 14 dicembre 1994, n. 10713; MANDRIOLI, p. 557
6 MANDRIOLI Corso di diritto Processuale Civile vol III pag.
19 ,1991
7 BORRÈ, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non
fare, Napoli, 1966
8 Cfr. Cassazione civile , sez. II, sentenza 21.10.2011 n°
21896; CARRATTA, Sentenza di divorzio e domanda di condanna
«condizionata», in Fam. e dir., 2005, 37 ss.; ZUFFI,
Sull’incerto operare del fenomeno condizionale nelle
sentenze di accertamento e di condanna, in Riv. trim dir.
proc. civ., 2006, 991 ss. Donzelli Sulla condizione di
adempimento nella sentenza ex art. 2932 c.c. in www.
Treccani.it
9 Così VERDE- CAPPONI, Profili del processo civile, III,
Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli,
1998, 38.
10 10 Cfr. CHIOVENDA, L’azione nel sistema dei diritti, in
Saggi di diritto processuale, I, Roma, 1930, 37 e ss.,
secondo il quale, ai fini dell’esecuzione, l’accertamento
contenuto nel titolo esecutivo stragiudiziale sarebbe dalla
legge considerato equipollente all’accertamento giudiziale
11 Sono altresì titoli esecutivi di formazione giudiziale,
diversi dalla sentenza di condanna: il decreto ingiuntivo
dichiarato esecutivo in via provvisoria ex art. 642 c.p.c.,
ovvero per mancata opposizione o inattività dell’opponente
ai sensi dell’art. 647 c.p.c., o ancora in pendenza di
opposizione ex art. 648 c.p.c., o se l’opposizione è
rigettata con sentenza oppure è dichiarata con ordinanza
l’estinzione del processo 653 c.p.c.; alle ordinanze di
pagamento delle somme non contestate di cui agli artt. 186
bis e 423, 1° e 3° comma e all’ordinanza di ingiunzione ex
art. 186 ter c.p.c.; all’ordinanza di condanna provvisionale
di cui all’art. 423, 2°, 3° e 4° comma; all’ordinanza di
convalida di sfratto ex art. 663 c.p.c. e all’ordinanza
immediata di rilascio ex art. 665 c.p.c.; al decreto di
trasferimento del bene espropriato (art. 586 c.p.c.); nonché
i c.d. provvedimenti-semplificati esecutivi,provvedimenti
emanati al termine di procedimenti sommari, l’ordinanza di
rilascio ex art. 30, l. 2 7 luglio 1978, n. 392; il decreto
con cuiil tribunale dichiara esecutivo il verbale di
conciliazione in materia di lavoro ai sensi degli artt. 411,
3° comma e 412 , 1° comma; i provvedimenti temporanei ed
urgenti nell’interesse dei coniugi e della prole emanati dal
presidente del tribunale nei giudizi di separazione e di
divorzio ai sensi degli artt. 708, 3° comma, 189 disp. att.
e 4, 8° comma, l. 898/1970; l’ordinanza con cui il giudice
istruttore dichiara esecutivo il progetto di divisione ai
sensi dell’art. 789, 3° comma; il decreto di cui all’art.
148 c.c.,al d ecreto di cui all’art. 28, l. 300/1970;
all’ordinanza di condanna a pene pecuniarie(art. 179
c.p.c.); il decreto con cui si liquida il compenso del
consulente tecnico(art.11, 4° comma, l. n. 319/80); il
decreto con cui sono liquidati i compensi del custode e
degli ausiliari del giudice (art. 53 disp. att. c.p.c.), e
le indennità ai testimoni (art. 179 c.pc.); il decreto che
liquida le spese dell’esecuzione per consegna e rilascio
(art. 611 c.p.c.), il decreto con cui il tribunale dichiara
esecutivo il lodo arbitrale ai sensi dell’art. 825, 3°
comma; il provvedimento inaudita altera parte con cui il
giudice italiano dichiara esecutiva in Italia una decisione
straniera ai sensi degli artt. 31 e ss. della Convenzione di
Bruxelles del 1968 (ma vedi ora l’art. 38 ss. reg. CE
44/2001) o della Convenzione di Lugano del 1988.
12 Cfr. Tribunale di Como Sez.dist. Cantù ord 2.2.2012;
Tribunale di Palermo Sez. dist. Bagheria, ord. 30.12.2011 ;
Tribunale di Roma Sez. V, decreto 6 – 22.7.2011), Tribunale
di Varese ordinanza 20.12.2011
13 Cfr. LONGONI, la giustizia in mano agli avvocati Italia
Oggi 8 settembre 2014.
14 Cass. civ. sez. lav., 17 agosto 2004, n. 16049, cit.;
Cass. civ., sez. I, 18 maggio 2004, n. 9293, cit.5; Cass.
civ., sez. lav., 26 marzo 2004, n. 6113, in Giust. civ.
Mass., 2004, p. 3
15 Si veda Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza
del 21 luglio 2010, n. 17114, in Guida al Diritto, 2010, 46,
pag. 82, dove si spiega che nell’arbitrato rituale le parti
intendono pervenire alla pronuncia di un lodo suscettibile
di esecutività onde produrre gli effetti di cui all’articolo
825 c.p.c., con l’osservanza del regime formale del
procedimento arbitrale. Invece, nell’arbitrato irrituale le
parti intendono affidare all’arbitro la soluzione di una
lite mediante uno strumento strettamente negoziale ovvero
una composizione amichevole o un negozio di accertamento
riconducibili alla loro volontà, impegnandosi, per
l’effetto, a considerare la decisione degli arbitri quale
espressione di tale personale volontà.
16 Cass., 27.3.2007, n. 7525, in Foro it. Mass., 2007, 753
17 Cfr. F. CAFAGGI Self-regulation in european contract law,
European journal of legal studies , issue 1.
18 L’effetto deflattivo del contenzioso ad esito
dell’inserimento dei sistemi di Alternative Dispute
Resolution, è oggi maggiormente avvertito nei paesi di
Common Law, dove la cultura della mediazione è certamente
più radicata; per un’interessante analisi cfr.
BIANCONE-SOLAZZI La mediazione nei diversi ambiti
internazionali.
19 Cfr. PERRELLA Le clausole penali nel commercio
internazionale in www. Newsmercati.com
20 Sentenza n. 1202/2020 in cui la Cassazione ha precisato
che il legislatore ha ritenuto insufficiente il potere di
certificazione e autenticazione del controllo di legalità
esercitato dagli avvocati, affermando che quando l'accordo
contiene un contratto o un atto che deve essere trascritto,
occorre che il verbale di accordo venga autenticato da un
notaio. Si veda altresì n. 29570/2019
21 L.26.11.2021 n. 206 – D.Lgs 10.10.2022 n. 149 |
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