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“La domanda di mediazione, ritualmente
proposta, assolve la condizione di procedibilità ex
lege prevista, anche quando contiene una pretesa
risarcitoria generica o minore rispetto alla
successiva domanda proposta in giudizio” |
Sezione Giurisprudenza |
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completa |
a
cura di Giovanna Crocè
La sentenza in commento ha ad oggetto un
giudizio relativo ad un contratto di locazione, nel quale
parte ricorrente, proprietaria dell’immobile precedentemente
locato, ha chiesto la condanna del conduttore al
risarcimento di tutti i danni subiti a vario titolo. Parte
resistente, costituendosi, ha eccepito preliminarmente
l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento del
tentativo di conciliazione obbligatorio, lamentando che
l’invito in mediazione fosse carente con riferimento al
petitum, non precisato nel quantum.
Il Tribunale di Treviso ha rigettato tale eccezione ed ha
stabilito che il procedimento di mediazione è stato
correttamente avviato, con il conseguenziale assolvimento
della condizione di procedibilità, evidenziando che
“l'obbligo stabilito dall'art. 4 D.Lgs. 28/2010 va riferito
al nucleo della controversia, e non necessariamente anche a
domande risarcitorie di carattere accessorio che è del tutto
prevedibile siano avanzate con il compiuto dispiegarsi
dell'attività difensiva delle parti, cioè nella fase
giudiziale”.
Il Tribunale ha osservato che “la resistente, non
partecipando alla procedura conciliativa stragiudiziale, si
è negata qualsivoglia possibilità di approfondimento
riguardo al completo intendimento della controparte. Del
resto, seppur in fase di mediazione venga chiesto di meno
rispetto alla domanda giudiziale, o la pretesa risarcitoria
sia volutamente generica, ciò non permette di affermare
l'improcedibilità in prima udienza; è fisiologico, infatti,
che nella fase della mediazione - anche in via di istanza -
si possa formalmente chiedere qualcosa di diverso o minore
rispetto al petitum immediato processuale. Diversamente,
verrebbe del tutto vulnerata la ratio sottesa alla
mediazione, rendendola nei fatti un duplicato processuale”.
Alla luce delle argomentazioni sopra riportate, il Tribunale
di Treviso ha ritenuto correttamente avviato il procedimento
di mediazione ed ha, quindi, rigettato l’eccezione di
improcedibilità. |
Tribunale di Treviso –
sentenza n. 1871 del 6 ottobre 2022 |
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TRIBUNALE DI TREVISO
Sentenza, n. 1871
6 ottobre 2022 |
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TREVISO
SEZIONE TERZA CIVILE |
R.G.
n. 7361/2021
Il Giudice, viste le note
depositate dai procuratori delle parti ai sensi dell'art.
221, co. 2 e 4, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, come
modificato dalla legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77,
in sostituzione dell'udienza del 06/10/2022; provvedendo
fuori udienza, dà lettura e deposita il dispositivo e le
ragioni di fatto e di diritto della decisione, ai sensi
dell'art. 429 c.p.c. |
SENTENZA |
nella
causa iscritta a ruolo al n. 7361/2021 R.G., promossa con
ricorso depositato in data 24.11.2021
F.XXXX- parte ricorrente -
contro L.XXX G.XXX parte
resistente -
OGGETTO: Pagamento del
corrispettivo - Indennità di avviamento - Ripetizione di
indebito.
Conclusioni delle parti: cfr.
note depositate ai sensi dell'art. 221, co. 2 e 4, del d.l.
19 maggio 2020, n. 34, come modificato dalla legge di
conversione 17 luglio 2020, n. 77, in vista dell'udienza del
06/10/2022. |
MOTIVI DELLA DECISIONE |
.1.
Con ricorso ex art. 447bis cpc, l'odierno ricorrente
conviene in giudizio la resistente, con riferimento al
contratto di locazione stipulato in data 1.8.2006,
regolarmente registrato, avente ad oggetto un'unità
immobiliare adibita ad uso negozio di parrucchiera sita in
Castelfranco Veneto (T.). Chiede, in particolare, la
condanna della resistente al pagamento dei seguenti importi:
- € 3.153,92 a titolo di risarcimento dei danni subiti per
aver dovuto ripristinare lo stato dei locali a proprie
spese; - € 1.342,00 a titolo di risarcimento del danno per
le spese sostenute per il deposito e la custodia presso
terzi di alcune specchiere di proprietà della resistente; -
183,00 a titolo di risarcimento del danno per le spese di
ordinaria manutenzione eseguita dal locatore in vece della
conduttrice inadempiente; - € 197,15 a titolo di rimborso
delle spese sostenute per il rinnovo del contratto di
locazione e per la sua risoluzione; - € 6.405,78, pari a sei
mensilità, a titolo di indennità di mancato preavviso per
l'ingiustificato recesso della resistente dal contratto di
locazione; - € 6.049,90, o la diversa somma ritenuta di
giustizia, a titolo di canoni di locazione non versati per i
mesi da aprile 2020 ad agosto 2020, nonché per il periodo
intercorrente tra il 01.09.2020 e il 20.09.2020. Chiede,
inoltre, la condanna della resistente al rimborso delle
spese sostenute per il sopralluogo eseguito presso
l'immobile oggetto del contratto da parte del Dipartimento
di Prevenzione dell'U2 (pari ad € 43,00), nonché delle spese
legali e tecniche per il procedimento di ATP (pari ad €
6.416,74), oltre che delle spese di mediazione obbligatoria
(pari ad € 48,80).
1.2. Allega, infatti, che la
conduttrice, dopo aver comunicato con raccomandata A/R di
data 31.03.2020 che avrebbe sospeso il pagamento dei canoni
di locazione a partire dal mese di aprile 2020 a causa della
crisi dovuta alla pandemia da Covid-19, si sarebbe resa
morosa - nonostante avesse ripreso la propria attività a far
data dal 18.05.2020 - nel pagamento dei canoni di locazione
scaduti a far data dal mese di aprile 2020.
Inoltre, nel riscontrare la
diffida di pagamento inviatale dal legale del ricorrente in
data 08.07.2020, avrebbe comunicato al locatore di ritenere
il contratto risolto a causa dell'insalubrità dei locali
concessi in locazione - tale da renderli inidonei a
svolgervi la propria attività - e di voler sospendere ex
art. 1460 c.c. il pagamento dei canoni.
1.3. Il ricorrente evidenzia,
altresì, di aver ritirato le chiavi dell'immobile, senza
tuttavia accettare la riconsegna dei locali, avvenuta in
data XXXX nello stato in cui gli stessi si trovavano, a
causa di una serie di vizi ivi riscontrati. Allega, infine,
di aver depositato davanti a questo Tribunale ricorso per
accertamento tecnico preventivo e che il procedimento così
instauratosi (R.G. 7652/2020), nel quale si era costituita
anche la resistente, si è concluso con il deposito della
relazione tecnica sullo stato dell'immobile da parte del
nominato CTU.
1.4 La resistente si è
costituita in giudizio contestando tutto quanto ex adverso
dedotto e proponendo domanda riconvenzionale di condanna
della ricorrente al pagamento della somma complessiva di
19.217, 34 a titolo di indennità per la perdita
dell'avviamento ex art. 34 L. 392/1978, da porsi in
compensazione con quanto eventualmente dovuto al locatore.
Eccepisce, innanzitutto,
l'improcedibilità delle domande attoree a causa del mancato
esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria;
lamenta, in particolare, come l'invito alla mediazione
rivoltole fosse carente circa uno degli elementi necessari
per attivare utilmente la procedura, specificamente il
petitum, non precisato nel quantum.
Allega, poi, come le richieste
risarcitorie di parte resistente siano infondate per diverse
ragioni, vale a dire l'impossibilità di verificare lo stato
dei luoghi alla data di inizio del contratto di locazione e,
comunque, la non imputabilità a sé dei danni riscontrati
nella relazione tecnica depositata dal CTU all'esito del
procedimento per accertamento tecnico preventivo. In
particolare, la resistente evidenzia di essere subentrata,
senza soluzione di continuità, nel 1998 alla precedente
conduttrice, tale A.XXXXX O.XXXX, ricevendo i locali nello
stato in cui si trovavano a seguito della precedente
gestione, limitandosi solo ad effettuare alcune modifiche
dell'impianto elettrico per metterlo a norma e ad apporre
una pellicola pubblicitaria sulla vetrina.
Contesta, in ogni caso, le
pretese risarcitorie di parte ricorrente non solo nell'an,
ma anche nel quantum, poiché gli importi richiesti
differirebbero notevolmente rispetto ai costi prospettati
dal CTU nella propria relazione tecnica. Eccepisce, in ogni
caso, la non debenza dei canoni non corrisposti (aprile
2020-agosto 2020; 1-20 settembre 2020), in quanto la
conduttrice sarebbe stata impossibilitata, per causa ad essa
non imputabile, ad eseguire la prestazione ex art. 1218 c.c.
a causa delle misure governative adottate per il contrasto
alla nota pandemia da Covid-19 e , comunque, a causa
dell'inadempimento del locatore al proprio obbligo di
provvedere alla manutenzione straordinaria; in particolare,
la conduttrice lamenta la mancata risoluzione di gravi vizi
denunciati sin dall'anno 2013.
Eccepisce, infine, la non
debenza dell'indennità di mancato preavviso, poiché il
recesso Sentenza n.1871/2022 pubbl. il 06/10/2022 RG n.
7361/2021 sarebbe avvenuto per giusta causa, a seguito del
grave inadempimento del locatore. 1.5. Il Giudice, alla
prima udienza del 08.02.2022, dopo aver inutilmente esperito
un tentativo di conciliazione tra le parti, ha concesso
termini per il deposito di brevi repliche e controrepliche,
rinviando per i medesimi incombenti all'udienza del
24.2.2022.
All'esito, il ricorrente, nella
memoria autorizzata, oltre ad insistere per tutto quanto già
dedotto, evidenzia l'infondatezza dell'eccezione di
improcedibilità sollevata da parte resistente, sottolineando
come le ragioni della pretesa fossero state correttamente
indicate nell' invito alla procedura di mediazione;
evidenzia, altresì, come esse fossero ben note alla
conduttrice, essendosi quest'ultima costituita nel
precedente procedimento per accertamento tecnico preventivo.
Contesta la fondatezza della difesa avversaria circa la
mancanza di documentazione sullo stato iniziale dei luoghi,
evidenziando come l'art. 7 del contratto di locazione -
richiamato anche dal CTU nella propria relazione tecnica -
dimostri per tabulas che parte conduttrice ha riconosciuto,
all'epoca, l'immobile in buono stato di manutenzione e,
quindi, adatto al proprio uso.
Eccepisce, infine,
l’inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta da
parte resistente, in quanto priva della contestuale istanza
di fissazione di nuova udienza ex art. 418 c.p.c. e,
comunque, in quanto la conduttrice non ha precedentemente
attivato in relazione ad essa la procedura di mediazione
obbligatoria.
La conduttrice, nella memoria
autorizzata, ribadisce tutto quanto già dedotto nel proprio
atto introduttivo ed insiste, in particolare sulla lamentata
asimmetria tra il petitum della domanda oggetto della
mediazione e quello relativo alla successiva domanda
giudiziale proposta nel presente giudizio. Evidenza
l'irrilevanza della dichiarazione contenuta nell'art. 7 del
contratto di locazione, sottolineando come la conoscenza dei
vizi da parte del conduttore non liberi il locatore da
responsabilità né limiti la sua responsabilità, se i vizi
sono tali da rendere impossibile il godimento dell'immobile.
2. La causa è stata ritenuta
matura per la decisione su base documentale, come da
ordinanza in data 29.4.2022, alla quale integralmente si fa
richiamo. Le istanze istruttorie formulate dalle parti
appaiono, del resto, inammissibili: i capitoli di prova
orale formulati da parte ricorrente hanno ad oggetto
circostanze non contestate, mentre i capitoli di prova
formulati dal resistente hanno ad oggetto circostanze non
contestate (1,7, 8), generiche (2, 4, 5 , 6), documentali
(3) o irrilevanti ai fini della decisione (9, 10).
2.1
Preliminarmente, quanto all'eccepita improcedibilità del
giudizio per mancato esperimento da parte del ricorrente del
tentativo di mediazione obbligatoria, l'eccezione risulta
infondata, visto che il procedimento di mediazione è stato
correttamente avviato, con conseguente verificazione
dell'adempimento obbligatorio
ex lege;
infatti, l'obbligo stabilito dall'art. 4 D.Lgs. 28/2010 va
riferito al nucleo della controversia, e non necessariamente
anche a domande risarcitorie di carattere accessorio che è
del tutto prevedibile siano avanzate con il compiuto
dispiegarsi dell'attività difensiva delle parti, cioè nella
fase giudiziale. Nel caso di specie, era stato
preventivamente attivato, alla fine del 2020, dall'odierna
ricorrente un procedimento per accertamento tecnico
preventivo, nel quale la resistente risulta essersi
costituita (cfr. doc. 10 resistente) e dove, peraltro, era
indicato lo scaglione di valore entro il quale rientrava la
domanda (5.200,00 - 26.000,00, cfr. doc. 16 ricorrente);
pertanto, non può condividersi l'assunto di parte resistente
secondo cui la mancata indicazione del quantum della domanda
risarcitoria nell'invito alla mediazione le avrebbe precluso
ogni possibilità di approntare un'adeguata difesa.
A ciò aggiungasi che la
resistente, non partecipando alla procedura conciliativa
stragiudiziale, si è negata qualsivoglia possibilità di
approfondimento riguardo al completo intendimento della
controparte. Del resto, seppur in fase di mediazione venga
chiesto di meno rispetto alla domanda giudiziale, o la
pretesa risarcitoria sia volutamente generica, ciò non
permette di affermare l'improcedibilità in prima udienza; è
fisiologico, infatti, che nella fase della mediazione -
anche in via di istanza - si possa formalmente chiedere
qualcosa di diverso o minore rispetto al petitum immediato
processuale. Diversamente, verrebbe del tutto vulnerata la
ratio sottesa alla mediazione, rendendola nei fatti un
duplicato processuale.
L'eccezione proposta da parte
resistente è, quindi, infondata e va respinta.
2.2 Quanto all'eccepita
inammissibilità della domanda riconvenzionale svolta dal
resistente, l'eccezione di parte ricorrente risulta
meritevole di accoglimento.
Infatti, essa non è stata
accompagnata dalla necessaria richiesta di spostamento
dell'udienza prevista dagli artt. 416 e 418 c.p.c. per il
rito locatizio.
Per questo motivo, la domanda
riconvenzionale proposta da parte resistente è
inammissibile.
2.3 Nel merito, è pacifico che
il conduttore non abbia provveduto a corrispondere i canoni
di locazione dovuti per i mesi da aprile 2020 ad agosto 2020
e per il periodo 1-20 settembre 2020, sino all'intervenuto
rilascio dell'immobile, per un importo pari a complessivi
6.049, 90 (cfr. pag. 9 ricorso, oltre a pag. 19 comparsa di
costituzione del resistente), nulla essendo stato allegato
dalle parti con riferimento all'eventuale successivo
pagamento dei canoni scaduti.
La resistente afferma di non
aver adempiuto all'obbligazione di versare i canoni di
locazione per il periodo di cui sopra essenzialmente per due
ragioni, vale a dire a causa delle restrizioni imposte per
il contrasto alla nota pandemia da Covid-19 che hanno
determinato la chiusura forzata dell'attività di
parrucchiera dalla stessa esercitata nell'immobile locato
nonché a causa dei vizi asseritamente presenti nell'immobile
e mai risolti dal locatore, che avrebbero impedito il pieno
godimento dell'immobile da parte del conduttore.
Entrambe le eccezioni sollevate
dalla resistente sono, tuttavia, infondate e non possono
trovare accoglimento.
Innanzitutto, risulta del tutto
irrilevante, nel caso di specie, l'impedimento all'esercizio
dell'attività lavorativa del conduttore dal 23 marzo al 3.
maggio 2020 in ragione del D.L. n. 18/2020 emesso in
costanza del lockdown per l'emergenza Covid-19, atteso che
la morosità del conduttore è proseguita anche
successivamente alla ripresa dell'attività lavorativa fino
al rilascio dell'immobile e che, pertanto, la sua condotta
non può essere valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e
per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della
responsabilità del debitore, ai sensi dell'art. 3 d.l. n. 6
del 23 febbraio 2020, convertito con modificazioni dalla
legge 5 marzo 2020, n. 13.
Inoltre, non risultano
esperibili, nel caso in esame, i diversi strumenti giuridici
astrattamente utilizzabili per la correzione di eventuali
alterazioni del sinallagma contrattuale. In primo luogo, non
è possibile ritenere che si verta in un'ipotesi di
impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi
dell'art. 1463 c.c., che giustifica la risoluzione del
contratto; infatti, la prestazione del conduttore di
pagamento del canone di locazione non può venir meno, se non
nell'ipotesi di scuola di ritiro dei mezzi di pagamento
(moneta, moneta elettronica) utilizzabili, mentre la
prestazione del locatore di garantire il pacifico godimento
del bene e di mantenerlo in stato da servire all'uso
convenuto sono rimaste possibili, tanto è vero che
l’immobile locato è stato occupato dalla conduttrice anche
durante la pandemia e l'impossibilità di ivi esercitarvi
l'attività di parrucchiera non è certo dipesa dalla volontà
del locatore.
Si aggiunga che la prestazione
di cui si dovrebbe predicare l'impossibilità (per quanto
temporanea o parziale) è quella del locatore, mentre la
parte prevalentemente colpita dai provvedimenti restrittivi
(nella misura dei mancati introiti), che avrebbe interesse a
venire esonerata dalle obbligazioni su di essa gravanti e
che necessiterebbe di tutela è la conduttrice, tenuta
all'obbligazione pecuniaria, per la quale il rimedio ex
art.1463 c.c. non è, si ribadisce, in sé, esperibile.
In secondo luogo, per i medesimi
motivi, non si verte in un'ipotesi di impossibilità parziale
sopravvenuta ai sensi dell'art. 1464 c.c., che dà diritto ad
una corrispondente riduzione della controprestazione ovvero
al recesso dal contratto, in assenza di un interesse
apprezzabile all'adempimento parziale.
Infatti, come già poco sopra
esposto, la prestazione del locatore non è divenuta
parzialmente impossibile, essendo soltanto stati emanati, in
conseguenza della situazione di emergenza sanitaria, dei
provvedimenti governativi impeditivi dell'attività svolta
nell'immobile locato, discendendo l'inutilizzabilità del
bene da fattori estrinseci al bene in sé considerato,
attinenti più direttamente all'attività, e solo
indirettamente al bene strumentale al relativo esercizio.
Peraltro, si è trattato, in ogni
caso, di un'impossibilità non definitiva, atteso che,
superata l'emergenza, l'immobile è divenuto nuovamente e
totalmente utilizzabile senza alcuna limitazione. In terzo
luogo, non sembra ricorrere nemmeno l'ipotesi di
un'eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell'art. 1467
c.c., atteso che l'immobile locato ha conservato il proprio
valore locativo nel periodo interessato e, comunque,
l'onerosità cui fa riferimento la norma deve attenere ad
aspetti obiettivi e non alle condizioni soggettive (quali la
perdita di reddito) del conduttore.
Tale soluzione, peraltro,
potrebbe giustificare soltanto la domanda di risoluzione del
contratto da parte del conduttore (sempre che il locatore,
di fronte a della richiesta, non offra di modificare
equamente le condizioni del contratto), con effetti anche in
questo caso caducatori, non rispondenti al normale interesse
del conduttore; della norma, dunque, non potrebbe costituire
titolo per una domanda di riduzione del canone già maturato
e contrattualmente dovuto, né tantomeno legittima il
conduttore stesso a non versare alcunché, come nel caso di
specie.
Si aggiunga che la risoluzione
per eccessiva onerosità può esser fatta valere solo in via
di azione, e non anche in via di eccezione, in quanto il
contraente a carico del quale si verifica l'eccessiva
onerosità della prestazione non può pretendere che l'altro
contraente accetti l'adempimento a condizioni diverse da
quelle pattuite (cfr., ex multis, Cass. Sez. 1, Ordinanza n.
2047 del 26/01/2018). Senza considerare che, anche in detta
ipotesi, va considerata la non definitività della situazione
di crisi che determina l'eccessiva onerosità, di tal che è
preferibile ritenere che si verta in un'ipotesi di ordinario
rischio di impresa, che grava sul conduttore.
Infine, non si ritiene
configurabile alcun obbligo generale di rinegoziazione dei
termini contrattuali, che troverebbe fondamento nel
principio di buona fede ex art. 1375 c.c. ovvero nell'equità
integrativa ex art. 1374 c.c. o, ancora, nel dovere
costituzionale di solidarietà nei rapporti intersoggettivi,
ai sensi dell'art. 2 della Costituzione: in primis, non può
considerarsi in mala fede colui che si limita ad esigere
l'esecuzione del contratto in base ai tempi e alle
condizioni previste, senza contare che vi è il rischio di
violare l' autonomia contrattuale delle parti, costituente
limite insuperabile anche per il giudice; in secundis, non è
possibile ritenere che il Giudice possa/debba intervenire
nelle dinamiche del contratto per consentire la prosecuzione
del rapporto, in assenza di una disposizione normativa che
gli attribuisca espressamente tale potere e, addirittura, in
presenza di previsioni di legge che esplicitamente glielo
attribuiscono solo in casi particolari e per un limitato
periodo di tempo (come meglio specificato nel prosieguo);
per non parlare del rischio di un'attività d'interpretazione
creativa, che potrebbe dar luogo ad un soggettivismo
interpretativo e applicativo, con nocumento per la stessa
certezza del diritto o, quanto meno, per la prevedibilità
delle decisioni (di quanto ridurre il canone ? per quanto
tempo ? in presenza di quali requisiti ? come arginare i
rischi di comportamenti opportunistici dei conduttori ?).
Invero, lo stesso legislatore ha già adottato meccanismi
compensatori idonei a ripristinare un equilibrio
sinallagmatico tra le parti, od a ridurne lo squilibrio, con
ciò rendendo ancor più difficile la possibilità di ricorso
agli strumenti sopra esaminati, previsti dal codice civile.
Ad esempio, l'art. 65, co. 1,
d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. "C.XX I.XXXX", convertito
nella l. 24 aprile 2020, n. 27), ha introdotto il cd.
credito d'imposta a favore dei soggetti esercenti attività
d' impresa nella misura del 60% dell'ammontare del canone di
locazione, relativo al mese di marzo 2020, per immobili
rientranti nella categoria catastale C/1.
Successivamente, il d.l. 19
maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla l. 17
luglio 2020, n. 77 (c.d. "decreto rilancio") ha previsto,
all'art. 28, un ulteriore credito d'imposta (per un periodo
più lungo e in misura diversificata, con soglie dal 60% al
10% al ricorrere di determinati requisiti, legati al tipo di
attività e/o ai ricavi e/o alla perdita di fatturato) per le
locazioni ad uso non abitativo e l'affitto d'azienda a
favore di una platea di beneficiari più vasta. E’ stata,
altresì, espressamente prevista la possibilità di cessione
di detto credito d' imposta da parte del conduttore al
locatore, così alleggerendo, in parte qua, il conduttore, ma
comunque lasciando invariati i termini originari del
contratto e continuando a postulare l'adempimento del
conduttore come dovuto ed integrale. Ancora, l'art. 95 del
c.d. decreto cura Italia ha, invece, previsto la
possibilità, per le federazioni sportive nazionali, gli enti
di promozione sportiva, le società e associazioni sportive,
professionistiche e dilettantistiche, di sospendere i canoni
di locazione e concessori relativi all'affidamento di
impianti sportivi pubblici dello Stato e degli enti
territoriali.
L'art. 216 Decreto "Rilancio" ha
espressamente previsto la rilevanza della limitazione
imposta anche nel rapporto tra privati.
3. La sospensione delle attività
sportive, disposta con i decreti del Presidente del
Consiglio dei Ministri attuativi dei citati decreti L. 23
febbraio 2020, n. 6, e L. 25 marzo 2020, n. 19, è sempre
valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468
del codice civile, e a decorrere dalla data di entrata in
vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di
sopravvenuto squilibrio dell'assetto di interessi pattuito
con il contratto di locazione di palestre, piscine e
impianti sportivi di proprietà di soggetti privati. In
ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto,
limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio
2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio
che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della
parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento
del canone contrattualmente stabilito", addirittura
disponendo un'automatica riduzione del canone (in mancanza
di diversi accordi) pari al 50%.
Dunque, seppur il legislatore
stesso abbia riconosciuto l'eccezionalità della situazione
connessa alla pandemia e le gravi ripercussioni economiche
che essa ha comportato in molte attività, egli non ha voluto
prevedere una forma di intervento normativo idonea ad
incidere in modo generalizzato sui rapporti locatizi di
natura privata né, tanto meno, ha attribuito al Giudice un
generale potere riequilibrativo, al di là dei casi, quali
piscine e palestre, espressamente considerati.
Dall'altro lato, con riferimento
alla lamentata insalubrità dei locali, all'esito di apposito
sopralluogo eseguito dal Dipartimento competente dell'Ulss 2
(cfr. docc. 14-15 ricorrente), è emerso che i locali erano
idonei all'esercizio dell'attività di parrucchiera,
precisando che la circostanza che la tinteggiatura fosse
scrostata in più punti "non costituisce elemento sufficiente
a dichiarare l'insalubrità del locale", di talché le
doglianze della conduttrice sono prive di fondamento. Lo
stesso c.t.u. (cfr. pagg. 5/6 relazione del c.t.u.), pur
dando atto della presenza di una certa umidità di risalita,
ha confermato la circostanza. Del resto, è pur vero che la
conduttrice si è lamentata delle condizioni dei locali sin
dalla fine dell'anno 2018, con tre missive (cfr. docc. 6/8
resistente); ma è anche vero che è carente il presupposto
dell'exceptio non rite adimpleti contractus, di cui all'art.
1460 c.c., consistente nella proporzionalità tra i
rispettivi inadempimenti, avendo la conduttrice continuato a
godere dell'immobile locato, pur in presenza dei vizi
lamentati (cfr., ex multis, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 16918
del 25/06/2019) e , anzi, non essendosi attivata per
impedire il secondo tacito rinnovo del contratto di
locazione avvenuto nel 2018, pur risalendo le prime
contestazioni proprio a detto periodo. Di conseguenza, la
domanda di parte ricorrente relativa al pagamento dei canoni
scaduti e non pagati, per un importo pari ad 6.049, 90 è
fondata e merita di trovare accoglimento.
2.4 Quanto alla domanda del
locatore avente ad oggetto l'indennità di mancato preavviso,
quantificata in 6.405, 78 (pari a sei mensilità), è pacifico
che la conduttrice abbia comunicato alla locatrice la
volontà di rilasciare l'immobile locato "nel minor tempo
possibile" con la missiva datata 10.8.2020 (cfr. doc. 5
ricorrente), ancor prima che con la lettera del 15.9.2020,
di pochi giorni antecedente all'effettiva riconsegna delle
chiavi del locale.
Poiché, ai sensi dell'art. 2 del
contratto di locazione (cfr. doc. 1 ricorrente), la
conduttrice poteva recedere liberamente dal contratto in
ogni momento, con un preavviso di sei mesi, detto termine
semestrale deve essere computato dal 17.8.2020 (data in cui
la citata missiva fu ricevuta dal locatore, cfr. doc. 23
resistente).
Conseguentemente, la domanda del
ricorrente risulta parzialmente meritevole di accoglimento,
con riferimento al solo periodo residuale intercorso tra il
rilascio dell'immobile (20.9.2020) e la scadenza di dette
termine semestrale (17.2.2021), ovvero per 5 mensilità,
anziché 6, come richiesto, e per un importo pari ad €
5.338,15 (1.067,63 x 5 mensilità).
2.5 Con riferimento alla domanda
di rimborso della somma di 197, 15 a titolo di tassa per il
rinnovo del contratto e per la sua risoluzione, essa non può
trovare accoglimento in quanto l'esborso non è provato.
Parte ricorrente, infatti,
allega di aver provveduto al pagamento di detta somma e, nel
proprio atto introduttivo (cfr. p. 9 ricorso), cita i docc.
26 e 27 a fondamento della propria allegazione; tuttavia,
tali documenti non risultano depositati tra gli atti del
presente giudizio, all'interno della cartella zippata
allegata al ricorso.
2.6 Quanto alla domanda di
risarcimento dei danni subiti dall'immobile locato, il
consulente tecnico d'ufficio, nel procedimento per
accertamento tecnico preventivo esperito ante causam R.G. n.
7652/2020, ha stimato il costo di ripristino dell'immobile
già locato alla resistente nell'importo complessivo di
Sentenza n. 1871/2022 pubbl. il 06/10/2022 RG n. 7361/2021
6.875, 00, IVA esclusa, così ripartito (cfr. pagg. 12/13
relazione c.t.u. sub doc. 17 ricorrente): - € 150,00 + IVA
per la rimozione, l'asporto e l'eliminazione della pellicola
presente sulla vetrina, degli specchi e dello scaffale; - €
960, 00 + IVA ed € 3.240,00 + IVA per il ripristino della
pavimentazione, con asporto della precedente e posa di nuova
pavimentazione a causa della difficoltà di reperire
piastrelle della stessa tipologia di quelle presenti, stante
la vetustà delle stesse; - € 150,00 + IVA per la rasatura e
la stuccatura dei fori presenti nel controsoffitto e nelle
pareti; - € 570,00 + IVA per il ripristino del quadro
elettrico e la posa di nuove placche in sostituzione di
quanto asportato (di cui 450, 00 + IVA per il ripristino del
quadro elettrico ed € 120,00 + IVA per la posa delle
placche); - € 945,00 + IVA per il taglio dell'intonaco sulle
pareti interessate dall' umidità di risalita, l'
applicazione di idoneo prodotto deumidificante/isolante e la
successiva intonacatura; - € 560,00 + IVA per la
ritinteggiatura delle pareti; - € 300, 00 + IVA per
l'eliminazione delle pareti in cartongesso e asporto dei
materiali di risulta in discarica.
Nell'odierno giudizio, tuttavia,
il ricorrente non chiede il pagamento delle somme relative
alla ritinteggiatura delle pareti (peraltro l'art. 7 del
contratto stesso prevedeva che l'immobile fosse riconsegnato
non ritinteggiato), all'eliminazione delle pareti in
cartongesso e all'asporto dei relativi materiali, al taglio
dell'intonaco, all'applicazione dell'idoneo prodotto
deumidificante/isolante e alla successiva intonacatura, ma
soltanto di quelle inerenti l'asporto della pellicola
presente sulla vetrina, dei sei specchi e dello scaffale, il
ripristino della pavimentazione, la rasatura e la stuccatura
dei fori, il ripristino del quadro elettrico e la posa di
nuove placche, tenendo conto degli importi medio tempore
effettivamente spesi per l'esecuzione di dette attività,
quantificati in € 3.153,90, IVA inclusa.
A tale proposito, il ricorrente
si è limitato a chiedere l'acquisizione in giudizio della
citata relazione peritale redatta in sede di procedimento di
accertamento tecnico preventivo, che attesta la sussistenza
di alcuni danni, mentre la resistente ha formulato alcuni
capitoli di prova, ritenuti inammissibili, volti a
dimostrare che sin dall'inizio del rapporto l'immobile non
si trovava in ottimo stato locativo, con particolare
riferimento alquadro elettrico e alla salubrità dei locali
concessi in locazione.
In merito al risarcimento dei
danni che si verifichino nell'immobile locato, in base a
giurisprudenza costante (cfr., ex multis, Cass., Sez. 3,
Ordinanza n. 6387 del 15/03/2018), incombe sul locatore
l'onere della prova del fatto costitutivo del vantato
diritto, e cioè del deterioramento intervenuto tra il
momento della consegna e quello della restituzione
dell'immobile, mentre sul conduttore grava l'onere di
dimostrare il fatto impeditivo della sua responsabilità.
Peraltro, è nozione pacifica
che, tra i danni arrecati all' immobile dei quali il
locatore è ammesso a chiedere il risarcimento al termine
della locazione, non rientrino i deterioramenti dovuti al
normale uso dell'immobile medesimo da parte del conduttore.
Tali principi devono trovare
applicazione nel caso di specie. Orbene, quanto alle
condizioni del pavimento, il CTU ha verificato il
danneggiamento di alcune piastrelle. Atteso che il
danneggiamento riguarda solo alcune piastrelle, e non
un'intera parte della pavimentazione del locale, il danno
ora in esame pare potersi qualificare come normale
deterioramento dovuto all'uso ultraventennale dell'immobile
oggetto di causa da parte della conduttrice, che lo occupava
dal 1998, essendo subentrata nel rapporto ad altra
precedente conduttrice e titolare dell'azienda.
Il ricorrente non ha, dunque,
alcun diritto risarcitorio in merito. Infatti, sul
conduttore, per espressa previsione di legge e costante
giurisprudenza, incombe il doveroso obbligo di riconsegnare
l'immobile nello stesso stato in cui lo ha ricevuto
inizialmente, senza essere responsabile per l'ordinario
stato di usura del bene. Il conduttore, quindi, deve sì
essere custode diligente dell'immobile, limitandosi ad
utilizzarlo secondo le sue caratteristiche e per l'uso
pattuito, ma non può ritenersi tenuto a risarcire alcun
degrado che sia mera conseguenza del suo normale uso (in
questo senso, ex multis, Cass., Sez. Un., Sentenza n. 6882
del 08/03/2019).
Quanto ai fori presenti nel
controsoffitto e nelle pareti, accertati dal CTU in corso di
causa, vale analogo discorso.
Infatti, anche alla luce
dell'attività regolarmente svolta da parte della conduttrice
nei locali ad essa locati, è certo plausibile che siano
stati operati alcuni piccoli fori sulle pareti, strumentali
ad appendere degli scaffali sospesi alle pareti o altri
supporti - verosimilmente fissati tramite viti a pressione -
necessari all'attività di parrucchiera.
Sicché la stuccatura e rasatura
degli stessi rimane a carico del locatore. Per quanto
concerne il costo di rimozione, asporto ed eliminazione
della pellicola presente sulla vetrina, dei sei specchi e
dello scaffale, la fattura dimessa in giudizio dal
ricorrente sub doc. 20 riguarda soltanto la rimozione delle
specchiere, rispetto alle quali, sulla base delle
allegazioni delle parti, non è dato comprendere quando siano
state installate nell'immobile locato, in specie se prima o
dopo la consegna dei locali all'attuale conduttrice.
Tuttavia, in entrambi i casi il
costo della rimozione delle specchiere non può essere
addossato alla resistente. Infatti, ove queste ultime
fossero preesistenti al subentro della G.XXX, la rimozione
delle suddette non potrebbe, evidentemente, considerarsi
onere ricompreso nell'obbligo di riconsegnare l'immobile
nello stato in cui le fu consegnato.
Viceversa, ove fossero state da
questa installate, troverebbe applicazione l'art. 8, comma
secondo, del contratto di locazione, in forza del quale
queste ultime andrebbero considerate acquisite alla
proprietà della ricorrente, e, di conseguenza, la spesa per
la loro rimozione resterebbe a suo carico, visto che il loro
asporto avrebbe necessariamente danneggiato i muri su cui
erano installate.
In ogni caso, considerato che è
pacifico che la pellicola presente sulla vetrina sia stata
apposta dalla resistente, il costo di rimozione, per come
ritenuto congruo dal c.t.u. all'esito del contraddittorio
tra le parti e, dunque, nella misura di 150, 00, oltre IVA
al 22%, e, dunque, per € 183,00 può essere riconosciuto al
ricorrente.
Quanto all'ulteriore costo
richiesto dal ricorrente per la custodia delle suddette
specchiere, quantificato nel ricorso nell'importo di €
1.134,60 sino al 31.12.2021, il ricorso non può trovare
accoglimento sotto tale profilo, visto quanto già rilevato
in ordine all' assenza di un obbligo per la conduttrice di
rimozione delle specchiere.
In ogni caso, la spesa di
custodia non potrebbe comunque essere addossata alla
conduttrice, considerato che il ricorrente ha diffidato la
resistente al loro ritiro entro 8 giorni con missiva del
15.11.2021 (cfr. doc. 34 ricorrente), successiva di più di
un anno al rilascio dei locali, avvertendola che decorso
detto periodo egli si sarebbe ritenuto libero di assumere le
conseguenti iniziative: atteso che mai la conduttrice ha
risposto a della diffida né ha manifestato alcun interesse
al ritiro delle specchiere (avendo, anzi, espressamente
optato per il loro smaltimento, cfr. doc. 18 resistente), il
costo per la loro conservazione, derivante da una
pattuizione intercorsa tra la ricorrente e la terza
N.XXXXXXX, non può certo essere posto a suo carico.
Con riferimento al quadro
elettrico, le doglianze di parte ricorrente sono fondate e
il costo di rimessione in pristino del medesimo va risarcito
al locatore da parte resistente.
Infatti, dalla documentazione in
atti (cfr. docc. 12, 37 ricorrente, docc. 20, 27 resistente)
si evince che sia il locatore sia il conduttore si sono
premurati di far eseguire, nel 2014 (verosimilmente proprio
a seguito delle missive inviate dalla conduttrice,
documentate sub docc. 3 e 5 resistente), degli interventi di
manutenzione dell'impianto elettrico e delle relative prese
(oltretutto rivolgendosi alla medesima ditta, la
I.XXXXXXXXXXXXXXXX D.XXXX di D.XXXX Andrea); dunque, non è
possibile affermare il diritto della resistente di asportare
quadro elettrico e prese di corrente una volta terminato il
rapporto, operazione
peraltro non eseguibile senza
danneggiare i locali, contrariamente a quanto sostenuto
dalla conduttrice.
Parte resistente, del resto,
allega di avere commissionato, all'epoca del suo subentro
nell'immobile, la realizzazione del quadro elettrico, delle
prese e dei differenziali perché l'impianto non era a norma,
ma non documenta in alcun modo l'effettuazione della
relativa spesa.
Tuttavia, poiché parte
ricorrente allega di aver sostenuto, a detto titolo, una
spesa maggiore di quella indicata dal CTU nella propria
relazione, ritenuta congrua all' esito del contraddittorio
tra le parti, essa ha diritto al minor importo rispetto a
quello richiesto, pari ad € 570,00 + IVA, quantificato dal
c.t.u. e, dunque, ad 695, 40, IVA compresa.
3. Quanto alla domanda di parte
ricorrente relativa al rimborso delle spese sostenute per la
manutenzione della canna fumaria e la rimozione delle
tubazioni realizzate dalla conduttrice, essa è fondata e
merita di trovare accoglimento, così come la domanda
relativa al rimborso delle spese sostenute dal locatore per
il sopralluogo eseguito dall'Uxxx presso l'immobile oggetto
del contratto, per gli importi richiesti (cfr. docc. 14, 25
ricorrente), pari ad € 183,00 ed € 43,00; si tratta, invero,
rispettivamente, di opere di ordinaria manutenzione che
gravano sulla conduttrice, sia ai sensi dell'art. 1576 c.c.
sia in base all'espressa pattuizione di cui all'art. 8 del
contratto, ovvero di innovazioni che, sempre ai sensi
dell'art. 8, dovevano essere rimosse a sue spese o, ancora,
di un sopralluogo che si è reso necessario in base alle
doglianze, poi rivelatesi infondate, della conduttrice
medesima. Per tutti i predetti motivi, parte resistente
viene condannata a corrispondere a parte ricorrente tutti
gli importi sopra indicati.
3.1 Ai sensi dell'art. 91
c.p.c., le spese di lite per il presente giudizio vanno
poste a carico della parte resistente, soccombente con
riferimento a quasi tutti le domande formulate nei suoi
confronti, e vanno liquidate come da dispositivo, sulla base
del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014 recante la determinazione
dei parametri per la liquidazione dei compensi per la
professione forense, tenuto conto del criterio del "decisum"
(cfr. SS.UU . , Sentenza n. 19014 dell'11/09/2007, oggi
recepito dall'art. 5, co. 1 , del D.M. n. 55/2014 recante la
determinazione dei parametri per la liquidazione dei
compensi da parte di un organo giurisdizionale) e della
relativa complessità della controversia, del numero di
udienze e di atti depositati, dell'assenza di attività
istruttoria, in misura pari agli importi medi per le fasi di
studio e introduttiva e a quelli minimi per la fase
decisoria per i giudizi di cognizione ordinaria, per
l'importo di € 2.547,00, oltre alle spese e al compenso per
l'attivazione del procedimento di mediazione, in misura pari
all' importo medio, pari ad 441, 00. 3.2 Considerato che nel
procedimento per accertamento tecnico preventivo instaurato
ante causam il c.t.u. aveva quantificato nell'importo di €
6.875,00, IVA esclusa (€ 8.387, 50 IVA inclusa), i costi di
ripristino dei locali, necessari affinché essi potessero
essere nuovamente locati, e che lo stesso ricorrente,
nell'odierno giudizio, si è limitato a chiedere il ristoro a
detto titolo del solo importo di 3.153, 9., IVA compresa, di
gran lunga inferiore, e che, peraltro, la sua domanda
risarcitoria è stata accolta per un importo inferiore e pari
ad e 878,40, le relative spese legali e tecniche sostenute
(quantificate dal ricorrente nell'importo di € 6.416,74, da
ritenersi congruo) vengono poste a carico della parte
resistente soccombente per la sola quota di 1/10 e , dunque,
per l'importo di € 641,00 (comprensivo della rifusione di
una sola minima parte del compenso liquidato a favore del
c.t.u. Geom. G.XXXXXX, anticipato dal ricorrente). |
|
P.Q.M. |
Il
Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni
ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando,
così provvede:
1) condanna parte resistente
L.XXX G.XXX, titolare della ditta individuale L. S.XXX D.
L.XXX DI L.XXX G.XXX, al pagamento in favore della parte
ricorrente F.XXXX Q.XXXXXXXX della somma di € 878,40 a
titolo di risarcimento dei danni subiti;
2) condanna parte resistente
L.XXX G.XXX, titolare della ditta individuale L. S.XXX D.
L.XXX DI L.XXX G.XXX, al pagamento in favore della parte
ricorrente F.XXXX Q.XXXXXXXX della somma di € 6.049,90 a
titolo di canoni di locazione scaduti e non versati;
3) condanna parte resistente
L.XXX G.XXX, titolare della ditta individuale L. S.XXX D.
L.XXX DI L.XXX G.XXX, al pagamento in favore della parte
ricorrente F.XXXX Q.XXXXXXXX della somma di € 5.338,15 a
titolo di indennità di mancato preavviso;
4) condanna parte resistente
L.XXX G.XXX, titolare della ditta individuale L. S.XXX D.
L.XXX DI L.XXX G.XXX, alla rifusione in favore della parte
ricorrente F.XXXX Q.XXXXXXXX della somma di € 183,00 a
titolo di spese da quest' ultimo sostenute per la
manutenzione della canna fumaria e l'eliminazione delle
tubazioni poste in essere dalla conduttrice;
5) condanna parte resistente
L.XXX G.XXX, titolare della ditta individuale L. S.XXX D.
L.XXX DI L.XXX G.XXX, alla rifusione in favore della parte
ricorrente F.XXXX Q.XX della somma di € 43,00 a titolo di
spese da quest' ultimo sostenute per il sopralluogo dell'U2
presso l' immobile oggetto del contratto;
6) condanna parte resistente
L.XXX G.XXX, titolare della ditta individuale L. S.XXX D.
L.XXX DI L.XXX G.XXX, alla rifusione delle spese di lite a
favore della parte ricorrente F.XXXX Q.XXXXXXXX, liquidate
nell'importo di € 2.547,00, oltre ad € 264,00 a titolo di
spese vive e alle spese forfettarie nella misura del 15%,
IVA e CPA come per legge, con riferimento al presente
giudizio; nell'importo di € 441,00, oltre ad € 48,80 a
titolo di spese vive e alle spese forfettarie nella misura
del 15%, IVA e CPA come per legge, con riferimento al
procedimento di mediazione obbligatoria; nell'importo
onnicomprensivo di € 1.000,00 con riferimento al
procedimento di accertamento tecnico preventivo.
Treviso, 06/10/2022
Il Giudice dott.ssa Elena Merlo |
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