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“La domanda di mediazione, ritualmente proposta, assolve la condizione di procedibilità ex lege prevista, anche quando contiene una pretesa risarcitoria generica o minore rispetto alla successiva domanda proposta in giudizio” | Sezione Giurisprudenza
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a cura di Giovanna Crocè
La sentenza in commento ha ad oggetto un giudizio relativo ad un contratto di locazione, nel quale parte ricorrente, proprietaria dell’immobile precedentemente locato, ha chiesto la condanna del conduttore al risarcimento di tutti i danni subiti a vario titolo. Parte resistente, costituendosi, ha eccepito preliminarmente l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di conciliazione obbligatorio, lamentando che l’invito in mediazione fosse carente con riferimento al petitum, non precisato nel quantum.
Il Tribunale di Treviso ha rigettato tale eccezione ed ha stabilito che il procedimento di mediazione è stato correttamente avviato, con il conseguenziale assolvimento della condizione di procedibilità, evidenziando che “l'obbligo stabilito dall'art. 4 D.Lgs. 28/2010 va riferito al nucleo della controversia, e non necessariamente anche a domande risarcitorie di carattere accessorio che è del tutto prevedibile siano avanzate con il compiuto dispiegarsi dell'attività difensiva delle parti, cioè nella fase giudiziale”.
Il Tribunale ha osservato che “la resistente, non partecipando alla procedura conciliativa stragiudiziale, si è negata qualsivoglia possibilità di approfondimento riguardo al completo intendimento della controparte. Del resto, seppur in fase di mediazione venga chiesto di meno rispetto alla domanda giudiziale, o la pretesa risarcitoria sia volutamente generica, ciò non permette di affermare l'improcedibilità in prima udienza; è fisiologico, infatti, che nella fase della mediazione - anche in via di istanza - si possa formalmente chiedere qualcosa di diverso o minore rispetto al petitum immediato processuale. Diversamente, verrebbe del tutto vulnerata la ratio sottesa alla mediazione, rendendola nei fatti un duplicato processuale”.
Alla luce delle argomentazioni sopra riportate, il Tribunale di Treviso ha ritenuto correttamente avviato il procedimento di mediazione ed ha, quindi, rigettato l’eccezione di improcedibilità.
Tribunale di Treviso – sentenza n. 1871 del 6 ottobre 2022

TRIBUNALE DI TREVISO
Sentenza, n. 1871
6 ottobre 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TREVISO
SEZIONE TERZA CIVILE
R.G. n. 7361/2021
Il Giudice, viste le note depositate dai procuratori delle parti ai sensi dell'art. 221, co. 2 e 4, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, come modificato dalla legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77, in sostituzione dell'udienza del 06/10/2022; provvedendo fuori udienza, dà lettura e deposita il dispositivo e le ragioni di fatto e di diritto della decisione, ai sensi dell'art. 429 c.p.c.
SENTENZA
nella causa iscritta a ruolo al n. 7361/2021 R.G., promossa con ricorso depositato in data 24.11.2021
F.XXXX- parte ricorrente -
contro L.XXX G.XXX parte resistente -
OGGETTO: Pagamento del corrispettivo - Indennità di avviamento - Ripetizione di indebito.
Conclusioni delle parti: cfr. note depositate ai sensi dell'art. 221, co. 2 e 4, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, come modificato dalla legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77, in vista dell'udienza del 06/10/2022.
MOTIVI DELLA DECISIONE
.1. Con ricorso ex art. 447bis cpc, l'odierno ricorrente conviene in giudizio la resistente, con riferimento al contratto di locazione stipulato in data 1.8.2006, regolarmente registrato, avente ad oggetto un'unità immobiliare adibita ad uso negozio di parrucchiera sita in Castelfranco Veneto (T.). Chiede, in particolare, la condanna della resistente al pagamento dei seguenti importi: - € 3.153,92 a titolo di risarcimento dei danni subiti per aver dovuto ripristinare lo stato dei locali a proprie spese; - € 1.342,00 a titolo di risarcimento del danno per le spese sostenute per il deposito e la custodia presso terzi di alcune specchiere di proprietà della resistente; - 183,00 a titolo di risarcimento del danno per le spese di ordinaria manutenzione eseguita dal locatore in vece della conduttrice inadempiente; - € 197,15 a titolo di rimborso delle spese sostenute per il rinnovo del contratto di locazione e per la sua risoluzione; - € 6.405,78, pari a sei mensilità, a titolo di indennità di mancato preavviso per l'ingiustificato recesso della resistente dal contratto di locazione; - € 6.049,90, o la diversa somma ritenuta di giustizia, a titolo di canoni di locazione non versati per i mesi da aprile 2020 ad agosto 2020, nonché per il periodo intercorrente tra il 01.09.2020 e il 20.09.2020. Chiede, inoltre, la condanna della resistente al rimborso delle spese sostenute per il sopralluogo eseguito presso l'immobile oggetto del contratto da parte del Dipartimento di Prevenzione dell'U2 (pari ad € 43,00), nonché delle spese legali e tecniche per il procedimento di ATP (pari ad € 6.416,74), oltre che delle spese di mediazione obbligatoria (pari ad € 48,80).
1.2. Allega, infatti, che la conduttrice, dopo aver comunicato con raccomandata A/R di data 31.03.2020 che avrebbe sospeso il pagamento dei canoni di locazione a partire dal mese di aprile 2020 a causa della crisi dovuta alla pandemia da Covid-19, si sarebbe resa morosa - nonostante avesse ripreso la propria attività a far data dal 18.05.2020 - nel pagamento dei canoni di locazione scaduti a far data dal mese di aprile 2020.
Inoltre, nel riscontrare la diffida di pagamento inviatale dal legale del ricorrente in data 08.07.2020, avrebbe comunicato al locatore di ritenere il contratto risolto a causa dell'insalubrità dei locali concessi in locazione - tale da renderli inidonei a svolgervi la propria attività - e di voler sospendere ex art. 1460 c.c. il pagamento dei canoni.
1.3. Il ricorrente evidenzia, altresì, di aver ritirato le chiavi dell'immobile, senza tuttavia accettare la riconsegna dei locali, avvenuta in data XXXX nello stato in cui gli stessi si trovavano, a causa di una serie di vizi ivi riscontrati. Allega, infine, di aver depositato davanti a questo Tribunale ricorso per accertamento tecnico preventivo e che il procedimento così instauratosi (R.G. 7652/2020), nel quale si era costituita anche la resistente, si è concluso con il deposito della relazione tecnica sullo stato dell'immobile da parte del nominato CTU.
1.4 La resistente si è costituita in giudizio contestando tutto quanto ex adverso dedotto e proponendo domanda riconvenzionale di condanna della ricorrente al pagamento della somma complessiva di 19.217, 34 a titolo di indennità per la perdita dell'avviamento ex art. 34 L. 392/1978, da porsi in compensazione con quanto eventualmente dovuto al locatore.
Eccepisce, innanzitutto, l'improcedibilità delle domande attoree a causa del mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria; lamenta, in particolare, come l'invito alla mediazione rivoltole fosse carente circa uno degli elementi necessari per attivare utilmente la procedura, specificamente il petitum, non precisato nel quantum.
Allega, poi, come le richieste risarcitorie di parte resistente siano infondate per diverse ragioni, vale a dire l'impossibilità di verificare lo stato dei luoghi alla data di inizio del contratto di locazione e, comunque, la non imputabilità a sé dei danni riscontrati nella relazione tecnica depositata dal CTU all'esito del procedimento per accertamento tecnico preventivo. In particolare, la resistente evidenzia di essere subentrata, senza soluzione di continuità, nel 1998 alla precedente conduttrice, tale A.XXXXX O.XXXX, ricevendo i locali nello stato in cui si trovavano a seguito della precedente gestione, limitandosi solo ad effettuare alcune modifiche dell'impianto elettrico per metterlo a norma e ad apporre una pellicola pubblicitaria sulla vetrina.
Contesta, in ogni caso, le pretese risarcitorie di parte ricorrente non solo nell'an, ma anche nel quantum, poiché gli importi richiesti differirebbero notevolmente rispetto ai costi prospettati dal CTU nella propria relazione tecnica. Eccepisce, in ogni caso, la non debenza dei canoni non corrisposti (aprile 2020-agosto 2020; 1-20 settembre 2020), in quanto la conduttrice sarebbe stata impossibilitata, per causa ad essa non imputabile, ad eseguire la prestazione ex art. 1218 c.c. a causa delle misure governative adottate per il contrasto alla nota pandemia da Covid-19 e , comunque, a causa dell'inadempimento del locatore al proprio obbligo di provvedere alla manutenzione straordinaria; in particolare, la conduttrice lamenta la mancata risoluzione di gravi vizi denunciati sin dall'anno 2013.
Eccepisce, infine, la non debenza dell'indennità di mancato preavviso, poiché il recesso Sentenza n.1871/2022 pubbl. il 06/10/2022 RG n. 7361/2021 sarebbe avvenuto per giusta causa, a seguito del grave inadempimento del locatore. 1.5. Il Giudice, alla prima udienza del 08.02.2022, dopo aver inutilmente esperito un tentativo di conciliazione tra le parti, ha concesso termini per il deposito di brevi repliche e controrepliche, rinviando per i medesimi incombenti all'udienza del 24.2.2022.
All'esito, il ricorrente, nella memoria autorizzata, oltre ad insistere per tutto quanto già dedotto, evidenzia l'infondatezza dell'eccezione di improcedibilità sollevata da parte resistente, sottolineando come le ragioni della pretesa fossero state correttamente indicate nell' invito alla procedura di mediazione; evidenzia, altresì, come esse fossero ben note alla conduttrice, essendosi quest'ultima costituita nel precedente procedimento per accertamento tecnico preventivo. Contesta la fondatezza della difesa avversaria circa la mancanza di documentazione sullo stato iniziale dei luoghi, evidenziando come l'art. 7 del contratto di locazione - richiamato anche dal CTU nella propria relazione tecnica - dimostri per tabulas che parte conduttrice ha riconosciuto, all'epoca, l'immobile in buono stato di manutenzione e, quindi, adatto al proprio uso.
Eccepisce, infine, l’inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta da parte resistente, in quanto priva della contestuale istanza di fissazione di nuova udienza ex art. 418 c.p.c. e, comunque, in quanto la conduttrice non ha precedentemente attivato in relazione ad essa la procedura di mediazione obbligatoria.
La conduttrice, nella memoria autorizzata, ribadisce tutto quanto già dedotto nel proprio atto introduttivo ed insiste, in particolare sulla lamentata asimmetria tra il petitum della domanda oggetto della mediazione e quello relativo alla successiva domanda giudiziale proposta nel presente giudizio. Evidenza l'irrilevanza della dichiarazione contenuta nell'art. 7 del contratto di locazione, sottolineando come la conoscenza dei vizi da parte del conduttore non liberi il locatore da responsabilità né limiti la sua responsabilità, se i vizi sono tali da rendere impossibile il godimento dell'immobile.
2. La causa è stata ritenuta matura per la decisione su base documentale, come da ordinanza in data 29.4.2022, alla quale integralmente si fa richiamo. Le istanze istruttorie formulate dalle parti appaiono, del resto, inammissibili: i capitoli di prova orale formulati da parte ricorrente hanno ad oggetto circostanze non contestate, mentre i capitoli di prova formulati dal resistente hanno ad oggetto circostanze non contestate (1,7, 8), generiche (2, 4, 5 , 6), documentali (3) o irrilevanti ai fini della decisione (9, 10).
2.1 Preliminarmente, quanto all'eccepita improcedibilità del giudizio per mancato esperimento da parte del ricorrente del tentativo di mediazione obbligatoria, l'eccezione risulta infondata, visto che il procedimento di mediazione è stato correttamente avviato, con conseguente verificazione dell'adempimento obbligatorio ex lege; infatti, l'obbligo stabilito dall'art. 4 D.Lgs. 28/2010 va riferito al nucleo della controversia, e non necessariamente anche a domande risarcitorie di carattere accessorio che è del tutto prevedibile siano avanzate con il compiuto dispiegarsi dell'attività difensiva delle parti, cioè nella fase giudiziale. Nel caso di specie, era stato preventivamente attivato, alla fine del 2020, dall'odierna ricorrente un procedimento per accertamento tecnico preventivo, nel quale la resistente risulta essersi costituita (cfr. doc. 10 resistente) e dove, peraltro, era indicato lo scaglione di valore entro il quale rientrava la domanda (5.200,00 - 26.000,00, cfr. doc. 16 ricorrente); pertanto, non può condividersi l'assunto di parte resistente secondo cui la mancata indicazione del quantum della domanda risarcitoria nell'invito alla mediazione le avrebbe precluso ogni possibilità di approntare un'adeguata difesa.
A ciò aggiungasi che la resistente, non partecipando alla procedura conciliativa stragiudiziale, si è negata qualsivoglia possibilità di approfondimento riguardo al completo intendimento della controparte. Del resto, seppur in fase di mediazione venga chiesto di meno rispetto alla domanda giudiziale, o la pretesa risarcitoria sia volutamente generica, ciò non permette di affermare l'improcedibilità in prima udienza; è fisiologico, infatti, che nella fase della mediazione - anche in via di istanza - si possa formalmente chiedere qualcosa di diverso o minore rispetto al petitum immediato processuale. Diversamente, verrebbe del tutto vulnerata la ratio sottesa alla mediazione, rendendola nei fatti un duplicato processuale.
L'eccezione proposta da parte resistente è, quindi, infondata e va respinta.
2.2 Quanto all'eccepita inammissibilità della domanda riconvenzionale svolta dal resistente, l'eccezione di parte ricorrente risulta meritevole di accoglimento.
Infatti, essa non è stata accompagnata dalla necessaria richiesta di spostamento dell'udienza prevista dagli artt. 416 e 418 c.p.c. per il rito locatizio.
Per questo motivo, la domanda riconvenzionale proposta da parte resistente è inammissibile.
2.3 Nel merito, è pacifico che il conduttore non abbia provveduto a corrispondere i canoni di locazione dovuti per i mesi da aprile 2020 ad agosto 2020 e per il periodo 1-20 settembre 2020, sino all'intervenuto rilascio dell'immobile, per un importo pari a complessivi 6.049, 90 (cfr. pag. 9 ricorso, oltre a pag. 19 comparsa di costituzione del resistente), nulla essendo stato allegato dalle parti con riferimento all'eventuale successivo pagamento dei canoni scaduti.
La resistente afferma di non aver adempiuto all'obbligazione di versare i canoni di locazione per il periodo di cui sopra essenzialmente per due ragioni, vale a dire a causa delle restrizioni imposte per il contrasto alla nota pandemia da Covid-19 che hanno determinato la chiusura forzata dell'attività di parrucchiera dalla stessa esercitata nell'immobile locato nonché a causa dei vizi asseritamente presenti nell'immobile e mai risolti dal locatore, che avrebbero impedito il pieno godimento dell'immobile da parte del conduttore.
Entrambe le eccezioni sollevate dalla resistente sono, tuttavia, infondate e non possono trovare accoglimento.
Innanzitutto, risulta del tutto irrilevante, nel caso di specie, l'impedimento all'esercizio dell'attività lavorativa del conduttore dal 23 marzo al 3. maggio 2020 in ragione del D.L. n. 18/2020 emesso in costanza del lockdown per l'emergenza Covid-19, atteso che la morosità del conduttore è proseguita anche successivamente alla ripresa dell'attività lavorativa fino al rilascio dell'immobile e che, pertanto, la sua condotta non può essere valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, ai sensi dell'art. 3 d.l. n. 6 del 23 febbraio 2020, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13.
Inoltre, non risultano esperibili, nel caso in esame, i diversi strumenti giuridici astrattamente utilizzabili per la correzione di eventuali alterazioni del sinallagma contrattuale. In primo luogo, non è possibile ritenere che si verta in un'ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi dell'art. 1463 c.c., che giustifica la risoluzione del contratto; infatti, la prestazione del conduttore di pagamento del canone di locazione non può venir meno, se non nell'ipotesi di scuola di ritiro dei mezzi di pagamento (moneta, moneta elettronica) utilizzabili, mentre la prestazione del locatore di garantire il pacifico godimento del bene e di mantenerlo in stato da servire all'uso convenuto sono rimaste possibili, tanto è vero che l’immobile locato è stato occupato dalla conduttrice anche durante la pandemia e l'impossibilità di ivi esercitarvi l'attività di parrucchiera non è certo dipesa dalla volontà del locatore.
Si aggiunga che la prestazione di cui si dovrebbe predicare l'impossibilità (per quanto temporanea o parziale) è quella del locatore, mentre la parte prevalentemente colpita dai provvedimenti restrittivi (nella misura dei mancati introiti), che avrebbe interesse a venire esonerata dalle obbligazioni su di essa gravanti e che necessiterebbe di tutela è la conduttrice, tenuta all'obbligazione pecuniaria, per la quale il rimedio ex art.1463 c.c. non è, si ribadisce, in sé, esperibile.
In secondo luogo, per i medesimi motivi, non si verte in un'ipotesi di impossibilità parziale sopravvenuta ai sensi dell'art. 1464 c.c., che dà diritto ad una corrispondente riduzione della controprestazione ovvero al recesso dal contratto, in assenza di un interesse apprezzabile all'adempimento parziale.
Infatti, come già poco sopra esposto, la prestazione del locatore non è divenuta parzialmente impossibile, essendo soltanto stati emanati, in conseguenza della situazione di emergenza sanitaria, dei provvedimenti governativi impeditivi dell'attività svolta nell'immobile locato, discendendo l'inutilizzabilità del bene da fattori estrinseci al bene in sé considerato, attinenti più direttamente all'attività, e solo indirettamente al bene strumentale al relativo esercizio.
Peraltro, si è trattato, in ogni caso, di un'impossibilità non definitiva, atteso che, superata l'emergenza, l'immobile è divenuto nuovamente e totalmente utilizzabile senza alcuna limitazione. In terzo luogo, non sembra ricorrere nemmeno l'ipotesi di un'eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell'art. 1467 c.c., atteso che l'immobile locato ha conservato il proprio valore locativo nel periodo interessato e, comunque, l'onerosità cui fa riferimento la norma deve attenere ad aspetti obiettivi e non alle condizioni soggettive (quali la perdita di reddito) del conduttore.
Tale soluzione, peraltro, potrebbe giustificare soltanto la domanda di risoluzione del contratto da parte del conduttore (sempre che il locatore, di fronte a della richiesta, non offra di modificare equamente le condizioni del contratto), con effetti anche in questo caso caducatori, non rispondenti al normale interesse del conduttore; della norma, dunque, non potrebbe costituire titolo per una domanda di riduzione del canone già maturato e contrattualmente dovuto, né tantomeno legittima il conduttore stesso a non versare alcunché, come nel caso di specie.
Si aggiunga che la risoluzione per eccessiva onerosità può esser fatta valere solo in via di azione, e non anche in via di eccezione, in quanto il contraente a carico del quale si verifica l'eccessiva onerosità della prestazione non può pretendere che l'altro contraente accetti l'adempimento a condizioni diverse da quelle pattuite (cfr., ex multis, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 2047 del 26/01/2018). Senza considerare che, anche in detta ipotesi, va considerata la non definitività della situazione di crisi che determina l'eccessiva onerosità, di tal che è preferibile ritenere che si verta in un'ipotesi di ordinario rischio di impresa, che grava sul conduttore.
Infine, non si ritiene configurabile alcun obbligo generale di rinegoziazione dei termini contrattuali, che troverebbe fondamento nel principio di buona fede ex art. 1375 c.c. ovvero nell'equità integrativa ex art. 1374 c.c. o, ancora, nel dovere costituzionale di solidarietà nei rapporti intersoggettivi, ai sensi dell'art. 2 della Costituzione: in primis, non può considerarsi in mala fede colui che si limita ad esigere l'esecuzione del contratto in base ai tempi e alle condizioni previste, senza contare che vi è il rischio di violare l' autonomia contrattuale delle parti, costituente limite insuperabile anche per il giudice; in secundis, non è possibile ritenere che il Giudice possa/debba intervenire nelle dinamiche del contratto per consentire la prosecuzione del rapporto, in assenza di una disposizione normativa che gli attribuisca espressamente tale potere e, addirittura, in presenza di previsioni di legge che esplicitamente glielo attribuiscono solo in casi particolari e per un limitato periodo di tempo (come meglio specificato nel prosieguo); per non parlare del rischio di un'attività d'interpretazione creativa, che potrebbe dar luogo ad un soggettivismo interpretativo e applicativo, con nocumento per la stessa certezza del diritto o, quanto meno, per la prevedibilità delle decisioni (di quanto ridurre il canone ? per quanto tempo ? in presenza di quali requisiti ? come arginare i rischi di comportamenti opportunistici dei conduttori ?). Invero, lo stesso legislatore ha già adottato meccanismi compensatori idonei a ripristinare un equilibrio sinallagmatico tra le parti, od a ridurne lo squilibrio, con ciò rendendo ancor più difficile la possibilità di ricorso agli strumenti sopra esaminati, previsti dal codice civile.
Ad esempio, l'art. 65, co. 1, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. "C.XX I.XXXX", convertito nella l. 24 aprile 2020, n. 27), ha introdotto il cd. credito d'imposta a favore dei soggetti esercenti attività d' impresa nella misura del 60% dell'ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, per immobili rientranti nella categoria catastale C/1.
Successivamente, il d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2020, n. 77 (c.d. "decreto rilancio") ha previsto, all'art. 28, un ulteriore credito d'imposta (per un periodo più lungo e in misura diversificata, con soglie dal 60% al 10% al ricorrere di determinati requisiti, legati al tipo di attività e/o ai ricavi e/o alla perdita di fatturato) per le locazioni ad uso non abitativo e l'affitto d'azienda a favore di una platea di beneficiari più vasta. E’ stata, altresì, espressamente prevista la possibilità di cessione di detto credito d' imposta da parte del conduttore al locatore, così alleggerendo, in parte qua, il conduttore, ma comunque lasciando invariati i termini originari del contratto e continuando a postulare l'adempimento del conduttore come dovuto ed integrale. Ancora, l'art. 95 del c.d. decreto cura Italia ha, invece, previsto la possibilità, per le federazioni sportive nazionali, gli enti di promozione sportiva, le società e associazioni sportive, professionistiche e dilettantistiche, di sospendere i canoni di locazione e concessori relativi all'affidamento di impianti sportivi pubblici dello Stato e degli enti territoriali.
L'art. 216 Decreto "Rilancio" ha espressamente previsto la rilevanza della limitazione imposta anche nel rapporto tra privati.
3. La sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri attuativi dei citati decreti L. 23 febbraio 2020, n. 6, e L. 25 marzo 2020, n. 19, è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del codice civile, e a decorrere dalla data di entrata in vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell'assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati. In ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito", addirittura disponendo un'automatica riduzione del canone (in mancanza di diversi accordi) pari al 50%.
Dunque, seppur il legislatore stesso abbia riconosciuto l'eccezionalità della situazione connessa alla pandemia e le gravi ripercussioni economiche che essa ha comportato in molte attività, egli non ha voluto prevedere una forma di intervento normativo idonea ad incidere in modo generalizzato sui rapporti locatizi di natura privata né, tanto meno, ha attribuito al Giudice un generale potere riequilibrativo, al di là dei casi, quali piscine e palestre, espressamente considerati.
Dall'altro lato, con riferimento alla lamentata insalubrità dei locali, all'esito di apposito sopralluogo eseguito dal Dipartimento competente dell'Ulss 2 (cfr. docc. 14-15 ricorrente), è emerso che i locali erano idonei all'esercizio dell'attività di parrucchiera, precisando che la circostanza che la tinteggiatura fosse scrostata in più punti "non costituisce elemento sufficiente a dichiarare l'insalubrità del locale", di talché le doglianze della conduttrice sono prive di fondamento. Lo stesso c.t.u. (cfr. pagg. 5/6 relazione del c.t.u.), pur dando atto della presenza di una certa umidità di risalita, ha confermato la circostanza. Del resto, è pur vero che la conduttrice si è lamentata delle condizioni dei locali sin dalla fine dell'anno 2018, con tre missive (cfr. docc. 6/8 resistente); ma è anche vero che è carente il presupposto dell'exceptio non rite adimpleti contractus, di cui all'art. 1460 c.c., consistente nella proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, avendo la conduttrice continuato a godere dell'immobile locato, pur in presenza dei vizi lamentati (cfr., ex multis, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 16918 del 25/06/2019) e , anzi, non essendosi attivata per impedire il secondo tacito rinnovo del contratto di locazione avvenuto nel 2018, pur risalendo le prime contestazioni proprio a detto periodo. Di conseguenza, la domanda di parte ricorrente relativa al pagamento dei canoni scaduti e non pagati, per un importo pari ad 6.049, 90 è fondata e merita di trovare accoglimento.
2.4 Quanto alla domanda del locatore avente ad oggetto l'indennità di mancato preavviso, quantificata in 6.405, 78 (pari a sei mensilità), è pacifico che la conduttrice abbia comunicato alla locatrice la volontà di rilasciare l'immobile locato "nel minor tempo possibile" con la missiva datata 10.8.2020 (cfr. doc. 5 ricorrente), ancor prima che con la lettera del 15.9.2020, di pochi giorni antecedente all'effettiva riconsegna delle chiavi del locale.
Poiché, ai sensi dell'art. 2 del contratto di locazione (cfr. doc. 1 ricorrente), la conduttrice poteva recedere liberamente dal contratto in ogni momento, con un preavviso di sei mesi, detto termine semestrale deve essere computato dal 17.8.2020 (data in cui la citata missiva fu ricevuta dal locatore, cfr. doc. 23 resistente).
Conseguentemente, la domanda del ricorrente risulta parzialmente meritevole di accoglimento, con riferimento al solo periodo residuale intercorso tra il rilascio dell'immobile (20.9.2020) e la scadenza di dette termine semestrale (17.2.2021), ovvero per 5 mensilità, anziché 6, come richiesto, e per un importo pari ad € 5.338,15 (1.067,63 x 5 mensilità).
2.5 Con riferimento alla domanda di rimborso della somma di 197, 15 a titolo di tassa per il rinnovo del contratto e per la sua risoluzione, essa non può trovare accoglimento in quanto l'esborso non è provato.
Parte ricorrente, infatti, allega di aver provveduto al pagamento di detta somma e, nel proprio atto introduttivo (cfr. p. 9 ricorso), cita i docc. 26 e 27 a fondamento della propria allegazione; tuttavia, tali documenti non risultano depositati tra gli atti del presente giudizio, all'interno della cartella zippata allegata al ricorso.
2.6 Quanto alla domanda di risarcimento dei danni subiti dall'immobile locato, il consulente tecnico d'ufficio, nel procedimento per accertamento tecnico preventivo esperito ante causam R.G. n. 7652/2020, ha stimato il costo di ripristino dell'immobile già locato alla resistente nell'importo complessivo di Sentenza n. 1871/2022 pubbl. il 06/10/2022 RG n. 7361/2021 6.875, 00, IVA esclusa, così ripartito (cfr. pagg. 12/13 relazione c.t.u. sub doc. 17 ricorrente): - € 150,00 + IVA per la rimozione, l'asporto e l'eliminazione della pellicola presente sulla vetrina, degli specchi e dello scaffale; - € 960, 00 + IVA ed € 3.240,00 + IVA per il ripristino della pavimentazione, con asporto della precedente e posa di nuova pavimentazione a causa della difficoltà di reperire piastrelle della stessa tipologia di quelle presenti, stante la vetustà delle stesse; - € 150,00 + IVA per la rasatura e la stuccatura dei fori presenti nel controsoffitto e nelle pareti; - € 570,00 + IVA per il ripristino del quadro elettrico e la posa di nuove placche in sostituzione di quanto asportato (di cui 450, 00 + IVA per il ripristino del quadro elettrico ed € 120,00 + IVA per la posa delle placche); - € 945,00 + IVA per il taglio dell'intonaco sulle pareti interessate dall' umidità di risalita, l' applicazione di idoneo prodotto deumidificante/isolante e la successiva intonacatura; - € 560,00 + IVA per la ritinteggiatura delle pareti; - € 300, 00 + IVA per l'eliminazione delle pareti in cartongesso e asporto dei materiali di risulta in discarica.
Nell'odierno giudizio, tuttavia, il ricorrente non chiede il pagamento delle somme relative alla ritinteggiatura delle pareti (peraltro l'art. 7 del contratto stesso prevedeva che l'immobile fosse riconsegnato non ritinteggiato), all'eliminazione delle pareti in cartongesso e all'asporto dei relativi materiali, al taglio dell'intonaco, all'applicazione dell'idoneo prodotto deumidificante/isolante e alla successiva intonacatura, ma soltanto di quelle inerenti l'asporto della pellicola presente sulla vetrina, dei sei specchi e dello scaffale, il ripristino della pavimentazione, la rasatura e la stuccatura dei fori, il ripristino del quadro elettrico e la posa di nuove placche, tenendo conto degli importi medio tempore effettivamente spesi per l'esecuzione di dette attività, quantificati in € 3.153,90, IVA inclusa.
A tale proposito, il ricorrente si è limitato a chiedere l'acquisizione in giudizio della citata relazione peritale redatta in sede di procedimento di accertamento tecnico preventivo, che attesta la sussistenza di alcuni danni, mentre la resistente ha formulato alcuni capitoli di prova, ritenuti inammissibili, volti a dimostrare che sin dall'inizio del rapporto l'immobile non si trovava in ottimo stato locativo, con particolare riferimento alquadro elettrico e alla salubrità dei locali concessi in locazione.
In merito al risarcimento dei danni che si verifichino nell'immobile locato, in base a giurisprudenza costante (cfr., ex multis, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 6387 del 15/03/2018), incombe sul locatore l'onere della prova del fatto costitutivo del vantato diritto, e cioè del deterioramento intervenuto tra il momento della consegna e quello della restituzione dell'immobile, mentre sul conduttore grava l'onere di dimostrare il fatto impeditivo della sua responsabilità.
Peraltro, è nozione pacifica che, tra i danni arrecati all' immobile dei quali il locatore è ammesso a chiedere il risarcimento al termine della locazione, non rientrino i deterioramenti dovuti al normale uso dell'immobile medesimo da parte del conduttore.
Tali principi devono trovare applicazione nel caso di specie. Orbene, quanto alle condizioni del pavimento, il CTU ha verificato il danneggiamento di alcune piastrelle. Atteso che il danneggiamento riguarda solo alcune piastrelle, e non un'intera parte della pavimentazione del locale, il danno ora in esame pare potersi qualificare come normale deterioramento dovuto all'uso ultraventennale dell'immobile oggetto di causa da parte della conduttrice, che lo occupava dal 1998, essendo subentrata nel rapporto ad altra precedente conduttrice e titolare dell'azienda.
Il ricorrente non ha, dunque, alcun diritto risarcitorio in merito. Infatti, sul conduttore, per espressa previsione di legge e costante giurisprudenza, incombe il doveroso obbligo di riconsegnare l'immobile nello stesso stato in cui lo ha ricevuto inizialmente, senza essere responsabile per l'ordinario stato di usura del bene. Il conduttore, quindi, deve sì essere custode diligente dell'immobile, limitandosi ad utilizzarlo secondo le sue caratteristiche e per l'uso pattuito, ma non può ritenersi tenuto a risarcire alcun degrado che sia mera conseguenza del suo normale uso (in questo senso, ex multis, Cass., Sez. Un., Sentenza n. 6882 del 08/03/2019).
Quanto ai fori presenti nel controsoffitto e nelle pareti, accertati dal CTU in corso di causa, vale analogo discorso.
Infatti, anche alla luce dell'attività regolarmente svolta da parte della conduttrice nei locali ad essa locati, è certo plausibile che siano stati operati alcuni piccoli fori sulle pareti, strumentali ad appendere degli scaffali sospesi alle pareti o altri supporti - verosimilmente fissati tramite viti a pressione - necessari all'attività di parrucchiera.
Sicché la stuccatura e rasatura degli stessi rimane a carico del locatore. Per quanto concerne il costo di rimozione, asporto ed eliminazione della pellicola presente sulla vetrina, dei sei specchi e dello scaffale, la fattura dimessa in giudizio dal ricorrente sub doc. 20 riguarda soltanto la rimozione delle specchiere, rispetto alle quali, sulla base delle allegazioni delle parti, non è dato comprendere quando siano state installate nell'immobile locato, in specie se prima o dopo la consegna dei locali all'attuale conduttrice.
Tuttavia, in entrambi i casi il costo della rimozione delle specchiere non può essere addossato alla resistente. Infatti, ove queste ultime fossero preesistenti al subentro della G.XXX, la rimozione delle suddette non potrebbe, evidentemente, considerarsi onere ricompreso nell'obbligo di riconsegnare l'immobile nello stato in cui le fu consegnato.
Viceversa, ove fossero state da questa installate, troverebbe applicazione l'art. 8, comma secondo, del contratto di locazione, in forza del quale queste ultime andrebbero considerate acquisite alla proprietà della ricorrente, e, di conseguenza, la spesa per la loro rimozione resterebbe a suo carico, visto che il loro asporto avrebbe necessariamente danneggiato i muri su cui erano installate.
In ogni caso, considerato che è pacifico che la pellicola presente sulla vetrina sia stata apposta dalla resistente, il costo di rimozione, per come ritenuto congruo dal c.t.u. all'esito del contraddittorio tra le parti e, dunque, nella misura di 150, 00, oltre IVA al 22%, e, dunque, per € 183,00 può essere riconosciuto al ricorrente.
Quanto all'ulteriore costo richiesto dal ricorrente per la custodia delle suddette specchiere, quantificato nel ricorso nell'importo di € 1.134,60 sino al 31.12.2021, il ricorso non può trovare accoglimento sotto tale profilo, visto quanto già rilevato in ordine all' assenza di un obbligo per la conduttrice di rimozione delle specchiere.
In ogni caso, la spesa di custodia non potrebbe comunque essere addossata alla conduttrice, considerato che il ricorrente ha diffidato la resistente al loro ritiro entro 8 giorni con missiva del 15.11.2021 (cfr. doc. 34 ricorrente), successiva di più di un anno al rilascio dei locali, avvertendola che decorso detto periodo egli si sarebbe ritenuto libero di assumere le conseguenti iniziative: atteso che mai la conduttrice ha risposto a della diffida né ha manifestato alcun interesse al ritiro delle specchiere (avendo, anzi, espressamente optato per il loro smaltimento, cfr. doc. 18 resistente), il costo per la loro conservazione, derivante da una pattuizione intercorsa tra la ricorrente e la terza N.XXXXXXX, non può certo essere posto a suo carico.
Con riferimento al quadro elettrico, le doglianze di parte ricorrente sono fondate e il costo di rimessione in pristino del medesimo va risarcito al locatore da parte resistente.
Infatti, dalla documentazione in atti (cfr. docc. 12, 37 ricorrente, docc. 20, 27 resistente) si evince che sia il locatore sia il conduttore si sono premurati di far eseguire, nel 2014 (verosimilmente proprio a seguito delle missive inviate dalla conduttrice, documentate sub docc. 3 e 5 resistente), degli interventi di manutenzione dell'impianto elettrico e delle relative prese (oltretutto rivolgendosi alla medesima ditta, la I.XXXXXXXXXXXXXXXX D.XXXX di D.XXXX Andrea); dunque, non è possibile affermare il diritto della resistente di asportare quadro elettrico e prese di corrente una volta terminato il rapporto, operazione
peraltro non eseguibile senza danneggiare i locali, contrariamente a quanto sostenuto dalla conduttrice.
Parte resistente, del resto, allega di avere commissionato, all'epoca del suo subentro nell'immobile, la realizzazione del quadro elettrico, delle prese e dei differenziali perché l'impianto non era a norma, ma non documenta in alcun modo l'effettuazione della relativa spesa.
Tuttavia, poiché parte ricorrente allega di aver sostenuto, a detto titolo, una spesa maggiore di quella indicata dal CTU nella propria relazione, ritenuta congrua all' esito del contraddittorio tra le parti, essa ha diritto al minor importo rispetto a quello richiesto, pari ad € 570,00 + IVA, quantificato dal c.t.u. e, dunque, ad 695, 40, IVA compresa.
3. Quanto alla domanda di parte ricorrente relativa al rimborso delle spese sostenute per la manutenzione della canna fumaria e la rimozione delle tubazioni realizzate dalla conduttrice, essa è fondata e merita di trovare accoglimento, così come la domanda relativa al rimborso delle spese sostenute dal locatore per il sopralluogo eseguito dall'Uxxx presso l'immobile oggetto del contratto, per gli importi richiesti (cfr. docc. 14, 25 ricorrente), pari ad € 183,00 ed € 43,00; si tratta, invero, rispettivamente, di opere di ordinaria manutenzione che gravano sulla conduttrice, sia ai sensi dell'art. 1576 c.c. sia in base all'espressa pattuizione di cui all'art. 8 del contratto, ovvero di innovazioni che, sempre ai sensi dell'art. 8, dovevano essere rimosse a sue spese o, ancora, di un sopralluogo che si è reso necessario in base alle doglianze, poi rivelatesi infondate, della conduttrice medesima. Per tutti i predetti motivi, parte resistente viene condannata a corrispondere a parte ricorrente tutti gli importi sopra indicati.
3.1 Ai sensi dell'art. 91 c.p.c., le spese di lite per il presente giudizio vanno poste a carico della parte resistente, soccombente con riferimento a quasi tutti le domande formulate nei suoi confronti, e vanno liquidate come da dispositivo, sulla base del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014 recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, tenuto conto del criterio del "decisum" (cfr. SS.UU . , Sentenza n. 19014 dell'11/09/2007, oggi recepito dall'art. 5, co. 1 , del D.M. n. 55/2014 recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi da parte di un organo giurisdizionale) e della relativa complessità della controversia, del numero di udienze e di atti depositati, dell'assenza di attività istruttoria, in misura pari agli importi medi per le fasi di studio e introduttiva e a quelli minimi per la fase decisoria per i giudizi di cognizione ordinaria, per l'importo di € 2.547,00, oltre alle spese e al compenso per l'attivazione del procedimento di mediazione, in misura pari all' importo medio, pari ad 441, 00. 3.2 Considerato che nel procedimento per accertamento tecnico preventivo instaurato ante causam il c.t.u. aveva quantificato nell'importo di € 6.875,00, IVA esclusa (€ 8.387, 50 IVA inclusa), i costi di ripristino dei locali, necessari affinché essi potessero essere nuovamente locati, e che lo stesso ricorrente, nell'odierno giudizio, si è limitato a chiedere il ristoro a detto titolo del solo importo di 3.153, 9., IVA compresa, di gran lunga inferiore, e che, peraltro, la sua domanda risarcitoria è stata accolta per un importo inferiore e pari ad e 878,40, le relative spese legali e tecniche sostenute (quantificate dal ricorrente nell'importo di € 6.416,74, da ritenersi congruo) vengono poste a carico della parte resistente soccombente per la sola quota di 1/10 e , dunque, per l'importo di € 641,00 (comprensivo della rifusione di una sola minima parte del compenso liquidato a favore del c.t.u. Geom. G.XXXXXX, anticipato dal ricorrente).
 
P.Q.M.
Il Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, così provvede:
1) condanna parte resistente L.XXX G.XXX, titolare della ditta individuale L. S.XXX D. L.XXX DI L.XXX G.XXX, al pagamento in favore della parte ricorrente F.XXXX Q.XXXXXXXX della somma di € 878,40 a titolo di risarcimento dei danni subiti;
2) condanna parte resistente L.XXX G.XXX, titolare della ditta individuale L. S.XXX D. L.XXX DI L.XXX G.XXX, al pagamento in favore della parte ricorrente F.XXXX Q.XXXXXXXX della somma di € 6.049,90 a titolo di canoni di locazione scaduti e non versati;
3) condanna parte resistente L.XXX G.XXX, titolare della ditta individuale L. S.XXX D. L.XXX DI L.XXX G.XXX, al pagamento in favore della parte ricorrente F.XXXX Q.XXXXXXXX della somma di € 5.338,15 a titolo di indennità di mancato preavviso;
4) condanna parte resistente L.XXX G.XXX, titolare della ditta individuale L. S.XXX D. L.XXX DI L.XXX G.XXX, alla rifusione in favore della parte ricorrente F.XXXX Q.XXXXXXXX della somma di € 183,00 a titolo di spese da quest' ultimo sostenute per la manutenzione della canna fumaria e l'eliminazione delle tubazioni poste in essere dalla conduttrice;
5) condanna parte resistente L.XXX G.XXX, titolare della ditta individuale L. S.XXX D. L.XXX DI L.XXX G.XXX, alla rifusione in favore della parte ricorrente F.XXXX Q.XX della somma di € 43,00 a titolo di spese da quest' ultimo sostenute per il sopralluogo dell'U2 presso l' immobile oggetto del contratto;
6) condanna parte resistente L.XXX G.XXX, titolare della ditta individuale L. S.XXX D. L.XXX DI L.XXX G.XXX, alla rifusione delle spese di lite a favore della parte ricorrente F.XXXX Q.XXXXXXXX, liquidate nell'importo di € 2.547,00, oltre ad € 264,00 a titolo di spese vive e alle spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, con riferimento al presente giudizio; nell'importo di € 441,00, oltre ad € 48,80 a titolo di spese vive e alle spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, con riferimento al procedimento di mediazione obbligatoria; nell'importo onnicomprensivo di € 1.000,00 con riferimento al procedimento di accertamento tecnico preventivo.
Treviso, 06/10/2022
Il Giudice dott.ssa Elena Merlo
     
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