In questa articolata intervista abbiamo chiesto a
Laila Simoncelli di raccontarci del
suo impegno per la diffusione della cultura della
nonviolenza e della Campagna lanciata proprio dalla
Comunità Papa Giovanni XIII per l'istituzione di un
Ministero della Pace nel nostro Paese.
Breve biografia
Classe ’68 pesarese, avvocato, esperta nella
tutela dei diritti umani, Responsabile generale del
servizio diritti umani e giustizia e consulente per la
rappresentanza alle Nazioni Unite della Comunità Papa
Giovanni XXIII di cui cura in particolare i report del
meccanismo della Revisione Periodica Universale dei
diritti umani (UPR).
Coordinatrice della Campagna nazionale del “Ministero
della Pace – Una scelta di Governo”.
Impegnata nella rete cattolica ed ecumenica per il
disarmo e la messa al bando delle armi nucleari.
Negli anni ’90 in Ex Jugoslavia è stata al fianco delle
vittime del conflitto dei Balcani, missionaria in India
e Africa per un decennio a favore della tutela
internazionale delle donne e dell’infanzia. Ha svolto
missioni operative di monitoraggio delle violazioni di
diritti umani in Niger, Camerun, Libano e Grecia.
E' autrice del libro "L'uomo della casa senza muri"
edito per Sempre Editore nel 2021.
La campagna
"Ministero della Pace - Una Scelta di Governo"
L’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII è
un’associazione internazionale di fedeli di diritto
pontificio.
Fondata nel 1968 da don Oreste Benzi è impegnata con
oltre 500 realtà in tutto il mondo, per contrastare
l'emarginazione e la povertà promuovendo progetti di
inclusione, di emergenza umanitaria e di cooperazione
allo sviluppo, ed è presente nelle zone di conflitto con
un proprio corpo nonviolento di pace, "Operazione
Colomba".
Dal 2006 APG23 siede alle Nazioni Unite con lo Status di
Consultative Special nell'Ecosoc (Consiglio Economico e
Sociale delle Nazioni Unite), facendosi portavoce degli
ultimi del mondo laddove i leader internazionali
prendono le decisioni sulle sorti dell'umanità.
In sintonia con la propria mission e insieme alle
associaizoni ecclesiali maggiormente rappresentative
(fra le quali l'Azione Cattolica Italiana, Focsiv,
Movimento Focolari, Pax Christi, e Sermig) ha
promosso la campagna per l'istituzione e la nomina di un
Ministro per la Pace che si ricolleghi ai fondamenti del
nostro Patto costituzionale.
Il Ministero della Pace sposterebbe il paradigma verso
una nuova architettura di pace, sostenendo e stabilendo
attività che promuovano una cultura della pace nel
Paese, con piani strategici strutturali nazionali
pluriennali di cura mantenimento e promozione della
pace». |
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L'INTERVISTA |
a cura di Francesca Chirico |
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interviste |
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"Da quando l'uomo esiste ha sempre organizzato la
guerra. È ora di organizzare la pace". È un'espressione di
don Oreste Benzi, il fondatore della Comunità Papa Giovanni
XXIII cui lei è legata. È una bella immagine quella di
organizzare la pace: suggerisce che non è un evento che
accade da solo, ma che va pensato, ordinato, concretizzato.
La vostra campagna per l'istituzione del Ministero della
Pace nel nostro Paese fa notare che manca una cabina di
regia istituzionale. Vuole raccontarci concretamente come
immaginate di organizzare la Pace?
La pace può essere
adeguatamente mantenuta, pianificata e sostenuta solo
disinnescando con infrastrutture specifiche quei fattori che
contribuiscono alla violenza, alla apertura di tensioni e
conflitti civili, siano essi fattori attitudinali o
comportamentali, o fattori relativi alle più ampie
condizioni socioeconomiche, culturali e politiche. Ogni
Paese ha bisogno di istituzioni e strutture in grado di
creare e sostenere società pacifiche.
Il ripudio della guerra della nostra Carta Costituzionale
all’art.11 non può assumere valore semplicemente esortativo
o programmatico, ma ha un valore vincolante e precettivo. Il
dettato della Carta richiede di superare il concetto di pace
come mera assenza di guerra (pace negativa), per abbracciare
un concetto di pace positiva, come insieme di atteggiamenti,
istituzioni e strutture in grado di creare e sostenere
società pacifiche, coerentemente con l’obiettivo 16
dell’Agenda 2030 “Pace, giustizia e istituzioni solide”.
Esiste uno spazio precettivo costituzionale che abbisogna di
una declinazione e di una cura nell’assetto ministeriale che
ad oggi non trova significativo riscontro attuativo.
Abbiamo bisogno di nuovi paradigmi istituzionali, e di una
nuova architettura ministeriale per una vera costruzione
strutturale di politiche di pace. Dalle ceneri del secondo
conflitto mondiale sono nati il Ministero della Difesa e
dell’Interno, sostituendo così il Ministero della Guerra. Un
parto che, per dare reale compimento alla promessa di
eradicare definitivamente dalla storia il flagello della
Guerra, avrebbe dovuto essere quanto meno trigemellare,
dando alla luce anche un Ministero della Pace.
Il Ministero della Pace sposterebbe il paradigma verso una
nuova architettura di pace, sostenendo e stabilendo attività
che promuovano una cultura della pace nel Paese, con piani
strategici strutturali nazionali pluriennali di cura,
mantenimento e promozione della pace. Garantirebbe un
dialogo illuminato per elevare, articolare, indagare e
facilitare soluzioni strategiche nonviolente ai conflitti
interni e internazionali, fornirebbe all'interno del governo
una competenza nella trasformazione nonviolenta dei
conflitti, attraverso la quale si potrebbero attuare tutti
gli spazi inesplorati della Carta Costituzionale.
(artt.11-52-41-4 2°comma, 2) |
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Lo immaginiamo con due organi consultivi e di
co-progettazione, la Consulta dei costruttori di pace, casa
di tutte quelle realtà del terzo settore impegnate
attivamente, un Comitato interministeriale che coinvolga
trasversalmente Ministeri, dipartimenti ed agenzie, e con
una sua articolazione in cinque dipartimenti specifici:
difesa civile non armata e nonviolenta nazionale ed
internazionale, educazione alla Pace, attività territoriali
interne e nazionali, disarmo e controllo armamenti, diritti
umani ed economici.
Un nuovo sistema nazionale per il mantenimento e la
promozione della pace. È tempo di dare nuovi strumenti alla
politica, perché abbia la lungimiranza nel prendersi cura
della Pace ed educare ad essa. |
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Il valore etico e
sociale che sta dietro alla istituzione del Ministero della
Pace è immediatamente percepibile, ma le chiedo: ci sono
anche solide basi giuridiche dietro questa proposta? E ci
sono altre esperienze simili?
Molte sono le norme internazionali, dell’Unione
europea, nazionali e regionali che esplicitano il concetto
di pace positiva nell’area dei diritti umani e dello stato
di diritto con politiche di pace. Ne citerò solo alcune.
Già dal 1994 con “Nuove dimensioni della sicurezza umana”,
l’ONU, nel suo Human
Development Report, libera il tema della
sicurezza da quelle interpretazioni restrittive legate alla
difesa armata, per formularne una completamente nuova.
Sicurezza significa creare sistemi politici sociali,
ambientali, economici e culturali che insieme forniscano gli
elementi costitutivi della sopravvivenza, il sostentamento e
la dignità. Purtroppo molta e troppa attenzione è stata
dedicata alla sicurezza basata sulle capacità di difesa
delle istituzioni militari, mentre nessuna o pochissima è
stata dedicata al dibattito sulle capacità di pace
attraverso un quadro civile e strutturale di pace.
Nella recente risoluzione dell'Assemblea
Generale del 2016 sul diritto alla
Pace (che riprende la Risoluzione dell’Assemblea
Generale 39/11, annex 1984) – si
riconosce che la Pace non è solo assenza di conflitto, ma
richiede anche un processo partecipatorio positivo e
dinamico (A/C.3/71/L.29, Preambolo) e gli Stati sono
esortati assumere appropriate misure sostenibili per
implementarla. L’articolo 4 recita: “si
dovrebbero promuovere istituzioni nazionali e internazionali
di educazione alla pace per rafforzare tra gli esseri umani
lo spirito di tolleranza, di dialogo, cooperazione e
solidarietà”.
Il concetto di infrastrutture per la pace è stato introdotto
dallo studioso John Paul Lederach e inteso
come una rete dinamica di competenze, risorse, strumenti e
istituzioni che aiutano a costruire relazioni costruttive.
Il tema è stato riaffermato dall'ex segretario generale
delle Nazioni Unite, Kofi Annan, nella
relazione del 2001 sulla “prevenzione
dei conflitti armati", in cui ha affermato che "l'obiettivo
dovrebbe essere la creazione di un'infrastruttura nazionale
sostenibile per la pace" che permetta alle società e ai loro
governi di risolvere i conflitti internamente e con le
proprie competenze, istituzioni e risorse" (Assemblea
generale delle Nazioni Unite, 2006, p. 7). Non solo
è necessario creare strutture nazionali adeguate, ma anche
ma anche rafforzare le capacità e le competenze
istituzionali e individuali al fine di diffondere e
implementare una cultura della pace, aumentare il dialogo
con la società civile su questo tema e migliorare il
dibattito nazionale.
Anche il trattato sull’Unione Europea più
volte richiama la necessità di politiche di pace. L’art.
3, in particolare il parag. 1 precisa: “L’Unione
si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il
benessere dei suoi popoli”, e il parag. 5 “Nelle
relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove
i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei
suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo
sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al
rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed
equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei
diritti umani…”
In Italia, è la stessa Costituzione
a fornire la base giuridica per una efficace politica di
pace positiva in vista anche della riqualificazione
dell’intera politica estera. Il lungimirante
articolo 11 della Costituzione Italiana contiene
infatti il quadruplice ripudio della guerra prevedendo:
1. rigetto delle sovranità statuali armate,
2. rigetto della pace negativa
3. rigetto dell’unilateralismo
4. la partecipazione attiva al multilateralismo
istituzionale per la realizzazione della pace positiva.
L’applicazione di questo articolo pertanto comporta la
formulazione non solo di un’agenda politica che tenga conto,
fondamentalmente, di ciò che comporta il primato del nuovo
diritto internazionale dei diritti umani ma anche una sua
efficace attuazione.
L'ultimo decennio ha mostrato un costante aumento
dell'interesse per le strutture di pace basate sulle
esigenze locali specifiche, tanti sono gli studi
internazionali sulle esperienze di infrastrutture per la
pace nei vari Paesi nel mondo. Proposte di legge e azioni
civiche per l’istituzione del Ministero della Pace sono
state e/o sono attive in Australia, Stati Uniti, Regno Unito
e Canada (BILL C-373) e in un vasto movimento di alleanza
internazionale (Gamip) e questo mentre il Costa Rica
ha istituito il suo Ministero della Giustizia e della Pace
già nel 2009, seguito da Nepal e
Isole Solomon, e di recentissima istituzione lo
abbiamo trovato in San Marino ed in
Etiopia. Per un approfondimento internazionale
anche con riferimenti normativi più estesi è liberamente
consultabile al seguente
> link |
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Secondo un sondaggio
realizzato da Demetra, due italiani su tre sono favorevoli
ad un Ministero per la gestione dei conflitti sociali,
difesa civile e diritti umani, perché allora la politica
lascia inascoltato il vostro appello al Parlamento?
Credo che ci sia ancora poca consapevolezza
politica, nel nostro Paese il concetto di pace positiva e
delle infrastrutture per la pace è ancora politicamente e
praticamente sconosciuto; se la società civile è andata
molto avanti, la politica non si è mai emancipata dalla
nefasta logica del “si vis pacem para bellum”;
l’istituzione di un Ministero della Pace è un cambio
talmente radicale di paradigma, da creare un certo sconcerto
istituzionale.
E poi vale anche per la politica, molto più che per gli
individui, il concetto di resistenza al cambiamento, e
soprattutto, quando ragioni elettorali estemporanee non sono
in grado di produrre una visione di lungo periodo e i
politici si limitano a cavalcare contingenti spinte
populiste.
Ma non dobbiamo mollare, perché oggi più che nel passato
stiamo toccando con mano e siamo in grado di vedere, alla
vigilia di un possibile terzo conflitto mondiale, ciò che
possiamo perdere; possiamo drammaticamente visualizzare il
possibile futuro che ci attende se non curiamo adeguatamente
e strutturalmente la pace.
Dove saremo noi o come sarà la nostra vita se non otterremo
il cambiamento? Questa sì che dovrebbe essere una forte
motivazione, anche per la politica. Solo costruendo giorno
dopo giorno la Pace si genera un tessuto sociale positivo,
che superi le forze disgreganti, i populismi e le crisi, in
grado di reagire alle spinte violente che scaturiscono dai
conflitti sociali ed economici e dalle tensioni delle
periferie dell’emarginazione. Il Ministero della pace è una
risposta innovativa al bisogno di sicurezza e benessere. |
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In questi mesi la
cronaca ci riposta indietro di decenni ad un clima di
blocchi contrapposti. Che idea si è fatta della guerra in
Ucraina a un anno dal suo inizio?
In primo luogo dobbiamo prendere atto che questa
guerra rappresenta senza ombra di dubbio il fallimento di
una diplomazia che probabilmente non ha saputo né
approfondire né essere sufficientemente creativa rispetto
alle conflittualità pre-esistenti e, soprattutto, non
ha colto la profondità della distanza delle diverse visioni.
Ci dobbiamo chiedere quanto - prima dello scoppio della
crisi - siano stati esplorati e praticati a sufficienza
tutti gli strumenti diplomatici e giudiziali di risoluzione
delle controversie internazionali e con quale pervicacia,
quanto i nostri Paesi europei abbiano offerto, allora, una
mediazione diplomatica. Resto convinta che si sarebbe potuto
fare molto di più, già dalla crisi del sequestro delle navi
ucraine nello stretto di Kerch (2018); era evidentissima la
volatilità della situazione in Ucraina, diversamente da
altri “conflitti congelati” presenti nello spazio
post-sovietico.
E’ chiaro che ora, con l’aggressione a uno Stato
indipendente, sono state infrante in modo esiziale norme di
diritto internazionale e trattati bilaterali e le posizioni
sono molto differenti; ma ciò che mi allarma è che gli
sforzi diplomatici che si dovrebbero moltiplicare, piuttosto
si stiano addormentando, che si sviluppi una sorta di
rassegnazione a questa guerra: i segnali dati lo scorso
gennaio al Parlamento europeo dove è stata bocciata la
richiesta di dare corpo a nuovi sforzi diplomatici non è un
bel segnale. Credo che non ci sia un’alternativa praticabile
ai negoziati e al dialogo, anche con i nemici. |
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Perché le trattative
negoziali sono in stallo?
Non sono un’esperta, ma è evidente che c’è una
incapacità militare di Russia e Ucraina di prevalere l’una
sull’altra: questo crea questo stallo mortale. Anche con
ulteriori armamenti al governo ucraino, difficilmente questi
potrà ribaltare i risultati della guerra. Militarmente, se
nessuno prevale, non c’è effettivo interesse a negoziare e
si potrebbe andare avanti ancora per anni con l’unico
risultato di alimentare i profitti dell’industria della
guerra. La debole speranza è che a fronte di questo
immobilismo mortifero, prima o poi con un cessate il fuoco,
si possa addivenire alla creazione di una fascia neutrale di
cuscinetto tra i contendenti, ma nel frattempo quanto sangue
di militari e civili scorre!! |
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Uno dei punti enucleati
nell'azione del Ministero della Pace è l'attuazione di
politiche di disarmo. Giovanni XXIII ai tempi della crisi
fra Cuba e Stati Uniti disse che la guerra totale (atomica,
biologica e chimica) è un crimine contro Dio e contro
l'umanità. In questa pericolosa corsa al riarmo, lei crede
che il rischio di una guerra nucleare sia concreto?
Assolutamente sì! Condivido ciò che, non più di
qualche giorno fa all’assemblea ONU, ha detto il segretario
generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres; un'ulteriore
escalation della guerra fra Russia e Ucraina può trascinare
il mondo in una "guerra più ampia" e "al più
alto rischio da decenni di una guerra nucleare". "Temo
che il mondo non stia camminando come un sonnambulo in una a
guerra più ampia, temo che lo stia facendo con gli occhi ben
aperti”. La minaccia è duplice, un annientamento
nucleare causato in modo accidentale o in modo deliberato.
Non scordiamoci inoltre che i sistemi digitali di gestione
di queste testate nucleari, che si avvalgono anche
dell’Intelligenza artificiale (AI), sono tanto più esposti a
malfunzionamenti ed attacchi cibernetici quanto più sono
complessi. Le nuove tecnologie addizionano alle
vulnerabilità generali dei sistemi altre pericolose
vulnerabilità specifiche e si sono già verificati svariati
episodi di malfunzionamenti accidentali, che hanno portato
l’umanità, anche in tempi con meno tensioni e crisi, a un
passo dall’ecatombe nucleare. |
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Spesso si parla di
guerra giusta, cui si contrappone una pace giusta. Esiste
una guerra giusta? E che caratteristiche deve avere la Pace
per essere giusta? Può esserci pace senza Giustizia?
Ci sono diverse prospettive da cui guardare la
guerra, uno giuridico e l’altro morale.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la proibizione
dell’utilizzo della forza per la risoluzione delle
controversie internazionali è diventato jus cogens,
considerato un valore supremo essenziale e inderogabile:
l’uso della forza è legittimo solo per l’autodifesa, solo ed
esclusivamente previa autorizzazione del Consiglio di
Sicurezza e con l’unico fine del ristabilimento della pace.
La Carta delle Nazioni Unite, rispettata e applicata con
trasparenza ed onestà, è riferimento necessario di giustizia
frutto della scelta di non violenza e strumento di pace.
Ma se la Carta delle Nazioni, ammette solo come ultima
ratio la guerra difensiva, archiviando alla storia
l’idea di “guerra giusta” come relitto di vecchie dispute
teologiche o medievali, dopo secoli in cui sembrava essere
stata messa al bando, abbiamo assistito ad una sorta di sua
rinascita camaleontica come prodotto nuovamente attuale del
pensiero politico e con il medesimo corredo retorico che la
contraddistingueva. Dissimulata sotto le altre vesti, di
“intervento”, “operazione di polizia” o di “prevenzione e
resistenza al terrorismo internazionale” è riuscita spesso
ad ottenere il tacito consenso delle popolazioni per gli
‘alti’ fini che gli eserciti si propongono di raggiungere.
Su questo è necessario aprire una seria riflessione.
Eticamente la Giustizia non può mai armarsi, non si può
combattere contro l’ingiustizia, che è violenza, usando la
violenza. Il mezzo non può contraddire il fine. La guerra,
che implica distruzione di vite umane, non può mai essere
accettata. Una reazione di forza all’ingiustizia, alla
violenza altrui è comprensibile, ma se non valica
l’irrogazione della morte. Solo rigorosissime condizioni di
legittimità morali che si pongano dolorosamente al limite
del sacrificio della coscienza nel bilanciamento di più
valori supremi, e che mai escludono possibilità di scelte
superogatorie come la difesa di massa popolare nonviolenta,
possono legittimare l’uso della forza.
Ogni altra espansione di questi fondamenti etici e giuridici
rende la guerra come soluzione dei conflitti, «alienum
est a ratione» ed oscena e finirebbe per rispecchiare,
più di quanto già oggi non faccia, la realtà di un sistema
internazionale retrivo e dominato dal “paradigma del caos”. |
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Un altro punto del
Ministero è quello della difesa dei diritti umani. Lei è un
avvocato esperto nella tutela dei diritti umani. Qual è la
situazione nel nostro Paese? E nel resto del mondo?
Un primo punto di riferimento generale
internazionale che possiamo esaminare è l'Indice di
Sviluppo Umano (HDI- UNDP) che è una misura sintetica
dei risultati medi ottenuti dai diversi Paesi nel mondo
nelle dimensioni chiave dello sviluppo umano (educazione,
aspettativa di vita e standard di vita). L’Italia si trova
attualmente al trentesimo posto in una posizione quindi
abbastanza alta.
Riguardo al monitoraggio del rispetto dei diritti umani
abbiamo uno strumento importante col quale poter avere una
panoramica di prospettiva. L' Indice universale dei
diritti umani (UHRI- United Nation - Human Right Index)
è un archivio centrale di informazioni sui diritti umani e
mira ad assistere gli Stati nell'attuazione delle
raccomandazioni internazionali e a facilitare il lavoro
degli stakeholder nazionali: le istituzioni nazionali per i
diritti umani (NHRI), le organizzazioni non governative, la
società civile e il mondo accademico, nonché le Nazioni
Unite.
Questo ci permette di sostenere gli sforzi di attuazione e
l'analisi dei diritti umani, compresa l'identificazione di
quali rischiano di rimanere indietro e la mappatura delle
questioni sistematiche, ricorrenti e irrisolte in materia di
diritti umani.
In Italia scopriamo che gli ambiti su cui si deve lavorare
ancora molto sono diseguaglianze, parità di genere e
soprattutto pace giustizia e istituzioni democratiche forti.
Inoltre tra le sfide principali troviamo la tutela dei
diritti di rifugiati e migranti; cooperazione con la Libia,
criminalizzazione della solidarietà, accoglienza,
sfruttamento e lavoro, i punti più critici. Parimenti
attenzionabili i diritti delle persone detenute o private
della libertà personale e la tutela della minoranza Rom e
Sinti. Se poi prendiamo a riferimento il Global Peace index
vediamo che c’è stata una progressiva erosione degli
indicatori che hanno portato il nostro Paese ad una
considerevole retrocessione dal 27° posto del 2008 al 32°
del 2022.
Nel mondo in generale non manca il coraggio di opporsi a
dittatori, despoti e al business predatorio, ma le
violazioni dei diritti umani sovrabbondano. Già nel 2019,
per il 14° anno consecutivo, si registrava un declino del
tasso di libertà e pluralismo a livello globale; aumento di
conflitti armati, soprattutto civili; minacce sempre più
complesse alla sicurezza umana; aumento di povertà e
disuguaglianze; migrazioni, cambiamenti climatici e collasso
della biodiversità; rischi di una nuova proliferazione
nucleare.
L'ordine globale è sempre più instabile, polarizzato e
segnato da agende e posizioni strategiche contrapposte,
nonché da un rischio crescente di frammentazione normativa e
di concorrenza sulle norme di regolamentazione. Il
multilateralismo, inteso come strumento pacifico di
organizzazione delle relazioni tra Stati sovrani, che era
stato costituito nell'intento di fronteggiare le sfide del
nostro tempo, è pericolosamente arretrato in molti settori.
La governance globale per la promozione dei valori
fondamentali delle Nazioni Unite va ricostruita ed in questa
crisi deve rinnovarsi e vedere la grande opportunità di
ricostruire la fiducia e il consenso sociale perché per
dirla con le parole di Thomas Sankara «…malgrado tutte
le critiche che le sono rivolte da alcuni dei membri più
importanti, le Nazioni Unite rimangono un forum ideale per
le nostre richieste, un luogo indispensabile di legittimità
per tutti i paesi senza voce». |
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Fra le possibili azioni
del Ministero c'è la gestione dei conflitti sociali. Quanto
incide la gestione del conflitto nel cammino verso la pace?
La prima cosa da tenere presente è che la
diffusione di modalità comunicative rozze e violente ha
ricadute profonde e misurabili sul livello di fiducia
interpersonale, collettivo e sul benessere individuale.
Nell’attuale società i contrasti e le divergenze sembrano
diventati la condizione permanente della vita sociale,
online e offline e persino istituzionale. Spesso assistiamo
alla costante e pervicace affermazione della nostra ragione
a discapito del dialogo, dello scambio, della relazione con
l’altro. Il ricorso alla violenza è l’esito negativo al
quale può portare un conflitto qualora non si sia capaci di
trasformarlo creativamente e funzionalmente per tutte le
parti in gioco. La pandemia, le disuguaglianze, la povertà e
le crisi energetiche, ambientali e finanziarie acuiscono i
conflitti sociali.
Il metodo scientifico della gestione e trasformazione
nonviolenta dei conflitti serve a capire le origini di un
conflitto e far sì che la metastasi della violenza che
invade tante parti della società civile, compresi i luoghi
dell’intimità familiare, non dilaghi. Tuttavia, e purtroppo,
i governi danno pochissimo peso alle molte validissime e
meravigliose esperienze che ha il nostro Paese.
Ogni volta che si generano nuovi conflitti sociali si
finisce per ricominciare daccapo con gli stessi errori di
percezione e di gestione, sarebbe un beneficio enorme ad
esempio se in Italia si introducesse finalmente
nell'educazione civica e nell'informazione sociale una
pedagogia dell'analisi dei conflitti sociali pregressi e
contemporanei che opponga resistenza alla violenza
strutturale delle nostre società.
La mediazione, come gestione, è un’altra delle tecniche più
impiegate nell’affrontare i conflitti simmetrici e capace di
facilitare la comunicazione e la ricerca di soluzioni da
parte dei confliggenti stessi, ma non è ancora
sufficientemente compresa dalle istituzioni. Parimenti la
giustizia riparativa allargata anche ai contesti scolastici
e collettivi, rimedia danni, ricostruisce relazioni,
protegge il presente e il futuro di persone ferite. Il
conflitto può essere sia fonte di violenza, sia di crescita
costruttiva: decisivo è il modo con cui lo si affronta e
decisivo è quanto i Governi investono su una gestione
nonviolenta e generativa. |
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Un'ultima domanda: Cosa
si può fare nel piccolo di ciascuno per prevenire i
conflitti?
Un primo consiglio per tutti, frequentiamo corsi di
comunicazione e trasformazione non violenta del conflitto
oramai se ne fanno tanti in Italia e nei diversi territori e
se possiamo facciamoci promotori e diffondiamoli là dove
siamo. Ma soprattutto impegniamoci per lo sviluppo della
comunità in cui viviamo, creiamo occasioni di festa e
convivialità, di partecipazione al miglioramento del clima e
all’ambiente del quartiere, costruiamo opportunità di
incontro fra i vicini che non si conoscono per prevenire i
conflitti inutili e i malintesi, per superare pregiudizi,
creare legami, promuovere il mutuo aiuto e stare meglio
tutti. Realizziamo legami e pratiche solidali,
focalizzandoci sulle categorie più in difficoltà.
Adoperiamoci con le nostre amministrazioni locali a
declinare sul territorio l’architettura pensata per il
Ministero della Pace, chiedendo l’assessorato alla Pace e
l’attuazione di politiche strutturali di pace nei Comuni
dove abitiamo.
La cultura del Bene comune che non esclude nessuno è quella
che ci fa sentire responsabili dei luoghi e delle cose, ci
rende consapevoli di essere parte di una comunità che può
anche ristabilire un ordine dei valori che si basino
finalmente sull’equità e il rispetto della dignità delle
persone e dell’ambiente. |
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