Abbiamo chiesto al cardinale
Francesco Montenegro, membro del Dicastero per
il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale un commento sulla
difficile situazione fra Russia e Ucraina.
Uno scambio schietto e sincero, come nello stile del presule che
in questo momento riveste un ruolo importante per il
riconoscimento e la promozione della pace e della dignità
dell’uomo.
Abbiamo conversato di pace e giustizia, armi e disarmo,
negoziati e risoluzione del conflitto.
Breve biografia
È stato per un quinquennio presidente della Caritas nazionale
(2003-2008) e lo è nuovamente dal 2015.
Nel 2008 viene nominato Vescovo di Agrigento e ha scelto come
motto: Caritas sine modo. Nell'arcidiocesi ha portato il suo
stile semplice e diretto, unito all'esperienza maturata alla
guida del più grande organismo caritativo nazionale. Sin
dall'inizio ha impostato la sua azione sulle idee forza di
comunione, missione e formazione, con un accento particolare
sulle situazioni di marginalità e di povertà. La speciale
attenzione al fenomeno migratorio – una delle priorità pastorali
in una diocesi che comprende nel suo territorio anche Lampedusa
e Linosa, mete continue di sbarchi di immigrati – gli è valsa il
24 maggio 2013 la nomina a presidente della commissione
episcopale per le migrazioni e presidente della fondazione
Migrantes. In questi anni il suo impegno come pastore ha puntato
a favorire l'accoglienza e l'ospitalità, ma soprattutto a
promuovere una cultura dell'incontro e della condivisione. L'8
luglio 2013 ha ricevuto Papa Francesco a Lampedusa nel primo
viaggio del Pontificato.
Dal 22 maggio 2021 è Arcivescovo Metropolita emerito di
Agrigento ed è membro del Dicastero per il Servizio dello
Sviluppo Umano Integrale.
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L'INTERVISTA |
a cura di Francesca Chirico |
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Cardinale, dopo Sarajevo
non pensavamo più di sentire fischiare le bombe nel cuore
dell’Europa e invece siamo ancora a contare vittime e danni.
Come pensa sia stato possibile? Cosa non abbiamo imparato
dalla storia?
Da quello che si vede, dalla storia abbiamo
imparato poco. Probabilmente alcuni non hanno voglia di
imparare per poter continuare a governare secondo le proprie
logiche e i propri interessi e anche perché, purtroppo, il
mondo lo vogliamo dividere in tante categorie.
Nel calcio ci sono le serie: serie A, serie B, serie C. Il
mondo lo abbiamo costruito e vogliamo mantenerlo per gironi.
Nazioni di seria A, di serie B e di serie C: e questo porta
chi è in serie A a prevaricare; perché, probabilmente anche
spontaneamente, gli viene di prendere le decisioni
autoritariamente, E quando si decide senza ricorrere al
confronto e al dialogo, si decide contro gli ultimi, che
sono quelli più facili da offendere e da eliminare.
Per cui io ritengo che sia un gioco spietato quello della
guerra a cui gli adulti non si vogliono disabituare. La
guerra la trovano interessante perché permette sempre al più
forte di venire fuori.
Il Santo Padre si è
espresso con fermezza contro la guerra e ha esortato a
riprendere i negoziati. Vede spiragli? Cardinale: armare o
disarmare con i negoziati di pace?
A me sembra difficile che si possa costruire la
pace con le armi perché sono due realtà completamente
diverse che cozzano tra di loro. Per cui, il problema non è
costruire armi per mantenere la pace, ma eliminare armi
perché ci sia pace.
Gli spiragli che ci possono essere dipendono dalla voglia di
incontro e di trattativa dell’uno con l’altro.
Se io voglio creare dipendenza ho bisogno della guerra, se
voglio cerare fraternità ho bisogno della pace. Se i più
potenti impongono le ragioni della forza e non del dialogo
ai più deboli, questo ci dice che la pace non si vuole.
Non voglio usare un’espressione forte, ma l’Europa non è
strutturata per vivere nella pace. Per dimostrare di essere
strutturata per vivere nella pace deve rinunciare alla
logica del profitto economico e mettere al centro, davvero,
l’uomo. Il denaro divide la gente in gradini, chi ha di più
sta più in alto e chi ha meno sta in basso e la
preoccupazione del denaro fa scegliere il male. La speranza
è che qualcosa cambi, che ci si renda conto che l’Europa è
per il bene comune, non per il bene di alcuni.
La mediazione degli Stati non può essere orientata alla
ricerca dei benefici economici ma al mantenimento della
pace. Finchè gli Stati intervengono nei negoziati per
mantenere il mondo in uno stato di allerta finalizzato alla
vendita delle armi che fabbricano, non potranno esservi veri
negoziati di pace.
Le trattative si fanno in due: bisogna sedersi con la
determinazione di andare incontro all’altro. Ecco, la
speranza di tutti è che prevalgano le ragioni del dialogo
perché si trovi un accordo a vantaggio non dei potenti ma
della povera gente.
Viene in mente il
drammatico radiomessaggio di Pio XII per l’imminente scoppio
della seconda guerra mondiale: «Nulla è perduto con la pace.
Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a
comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona
volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno
che ai sinceri negoziati non è mai precluso un onorevole
successo».
Anche Parolin dichiara di essere
convinto che ci sia ancora e sempre spazio per il negoziato
ed ha offerto la disponibilità della Santa sede a fare da
mediatore, a facilitare il dialogo perché - dice - bisogna
fermare l’escalation e trattare”. La Santa sede può essere
un interlocutore?
Domenica scorsa il Papa lo ha detto pubblicamente:
la Santa Sede è disponibile a fare qualunque cosa purchè si
ottenga la pace. È soltanto da capire se gli altri la
vogliono davvero: non solo la pace, ma la Santa Sede.
A questo proposito il
Santo Padre ha inviato in Ucraina due cardinali,
l’Elemosiniere Konrad Krajewski e Michael Czerny, prefetto
del dicastero per lo sviluppo umano integrale, di cui lei
fa parte, e che si occupa anche dei rifugiati. Come mai
questa scelta?
Il Papa li ha inviati come segnale. Ci sono le
chiese diocesane, le chiese nazionali in prima linea, una
mobilitazione per dare una mano, per aiutare concretamente
la popolazione stremata. Ma la loro presenza è anche un
segno che tutta la Chiesa universale, tutti i cattolici
vogliono e cercano la pace.
E poi, in questo contesto conta anche l’informazione per
sensibilizzare l’opinione pubblica. In Russia i
giornalisti vengono allontanati senza mezzi termini. Addirittura
puniti se raccontano quello che sta accadendo utilizzando
determinati sostantivi. È strano non dire che quello che sta
avvenendo si chiama guerra…
C’è un problema di
indifferenza globalizzata che conduce alle guerre?
Noi siamo saltati sulla sedia perché queta volta la
guerra l’abbiamo alle porte di casa, in Europa. Eppure, nel
mondo ci sono più di quaranta guerre attive; però, se sono
lontane da casa nostra non ci interessa. Il rumore delle
bombe tanto più ci allarma quanto più è vicino. Ma questa
non è onestà.
Mi devo preoccupare perché vicino a casa mia scoppia la
bomba? Ma anche lontano da casa mia scoppiano le bombe e
questo mi deve interessare.
Stiamo assistendo a
grandi aperture di leader politici da sempre riluttanti sui
temi dell’accoglienza dei migranti. Lei ha fatto
dell’accoglienza il tratto distintivo del suo ministero ed
anche nel suo ruolo all’interno del Dicastero per il
Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, il riconoscimento
della dignità dell’altro è centrale. Le faccio una domanda
diretta: pensa che alcuni distinguano fra profughi di serie
A e profughi di serie B?
Siamo tutti disponibili ad accogliere gli ucraini e
questo per noi è un imperativo, questo è il bene. Un bene
per noi naturale, perché sappiamo che l’accoglienza di chi
scappa dalla guerra è un dovere.
Attenzione! Perchè se mentre accogliamo i fratelli ucraini
rifiutiamo gli altri dobbiamo chiederci: ma che accoglienza
è? Accolgo chi mi piace? Ma l’amore non è per chi mi piace,
l’amore è per tutti.
Ci siamo accorti anche in Polonia che chi aveva il colore
della pelle diverso non poteva attraversare il confine, non
poteva salire sul pullman. Vi chiedo, ma anche in un teatro
di guerra dobbiamo distinguerci dai colori? O quello che ci
unisce è l’essere uomini? Ed è uomo quello dell’Ucraina e
quello della Nigeria. Questa contraddizione nel tempo, la
pagheremo.
Fra poco - finita la
nostra chiacchierata - torniamo ai nostri tavoli di
negoziazione: lei a quelli internazionali e noi nel piccolo
tavolo di mediazione al quale oggi siederanno prima due
fratelli per una divisione ereditaria e poi due dirimpettai
per una lite condominiale.
Grazie per averci fatto
allargare lo sguardo a dimensioni più grandi e universali.
Non è banale il lavoro che fate ogni giorno, anzi.
Sono i piccoli tavoli quotidiani ai quali si costruisce la
pace che garantiscono il raggiungimento di una pace
universale. Mettere d’accordo i vicini, educa al rispetto
delle ragioni dei lontani. |
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